2024-12-06 "3-CANDIDO BESTIARIO SETTIMANALE" - il Volantino
Nel 1945, dopo il successo del giornale “L’uomo Qualunque”, Guglielmo Giannini fonda un partito con lo stesso nome. Nasce un movimento che si definisce né di destra né di sinistra, ma che in realtà raccoglie molti fascisti (ormai ex) desiderosi di avere una nuova rappresentanza. Giannini per un paio d’anni raccoglie un certo consenso, nel 1948 è già finito, nel 1950 sciolto definitivamente. Giannini, che poi sballotterà senza gloria tra il MSI e il Partito Monarchico, lascerà in eredità all’Italia solo due termini politici: qualunquismo e qualunquista.
Qualche decennio dopo, un attore comico abbastanza mediocre e monocorde, Beppe Grillo, si inventa uno spettacolo urlato contro la partitocrazia, nello stile artistico di alcuni telepredicatori americani. Intorno al successo teatrale, inventa il “Blog di Beppe Grillo”, che negli anni dell’imperante berlusconismo diventa lo sfogatoio di una certa base di sinistra ormai persa dietro il lessico veltroniano e di una certa destra sociale stanca delle comparsate televisive senza costrutto dei suoi leader ormai venduti al capitale. Nel 2009 il blog, frequentato ormai da milioni di utenti cibernetici, fonda il Movimento 5 Stelle. Rappresentante legale e Presidente del Movimento è naturalmente il suddetto comico genovese. Alle elezioni del 2013, come capo della coalizione è indicato lo stesso Grillo, ma non si candida. Da quel momento in poi ha tentato di governare il Movimento né di destra né di sinistra senza mai candidarsi. Si è inventato di tutto, da promotore a garante, fondatore e consulente, purché non fosse coinvolto nelle vicende politiche quotidiane di un eventuale buon governo. Ha fatto governare i suoi poveri eletti (spesso oneste marionette indottrinate) con la destra e con la sinistra, con Renzi e con Draghi, per poi far emergere un professore qualunque, uno sconosciuto Giuseppe Conte, che ne divenne in effetti il leader. Ora Grillo in un video titolato “Movimento compostabile”, replicato poi in un altro girato all’interno di un carro funebre, declama: “Conte è un mago di OZ che parla di democrazia diretta. Rivoglio il simbolo e rivendico il mio diritto all’estinzione del movimento”.
La democrazia diretta è una bufala grandissima perché la rappresentanza, quella buona, genera buoni esempi e buone leggi, mentre tutto il resto rimane nello spettro delle offese, delle contumelie, delle lamentele, e delle guerre personali. Ogni fondatore ama morire con la propria creatura. Da qualche anno Grillo ci prova, in tutti i modi possibili. Sa di aver sbagliato molte cose, non sa come porre rimedio e ormai vive nell’unico desiderio dell’auto dissoluzione. Si consuma in queste settimana l’ultima inutile battaglia in seno al movimento che fu. Avanti il prossimo.
06 dicembre 2024 - il Volantino
alfredo de giuseppe
2024-12 "11domande con risposte" - 39° Parallelo
In un giorno di novembre 2024, facendo zapping tra mille canali televisivi e social, mi son fatto delle domande, undici come una squadra di calcio, e come in un quiz veloce mi son dato delle brevi risposte (possono essere sviluppate, usate a spezzoni, come meme, come atto d’accusa e difesa, come volete).
- Come ha fatto il Ku Klux Khan a diventare maggioranza negli USA? (Lo è sempre stato: noi volevamo vederli in altro modo. Chiedere ai milioni di negri segregati per secoli).
- Come ha fatto l’America puritana ad accettare un personaggio discutibile come Trump, pluricondannato, suprematista, sessista ed evasore fiscale? (La conquista del west non è mai finita e per west si intende oro, dollari, bere molto, mangiare male, misurarsi sulla velocità di estrarre la pistola. Tutto il resto conta poco).
2024-11-29 "2 - CANDIDO BESTIARIO SETTIMANALE" - il Volantino
La Puglia, così come tutto il Sud, per darsi un’idea di futuro dovrebbe passare attraverso una programmazione urbanistica di grande respiro. I numeri della nostra Regione sono invece allucinanti: solo 46 Comuni su 258 hanno adottato in via definitiva un Piano Urbanistico Generale. Appena il 18% dei Comuni. Negli ultimi sette anni se ne sono aggiunti solo 9, nonostante gli sforzi per snellire le procedure.
L’ultima notizia riguarda la città di Lecce, governata ora dalla sempiterna Adriana Poli Bortone, che ha deciso in questi giorni di revocare la Delibera di adozione del PUG confezionato dal predecessore Carlo Salvemini e ormai giunto a un passo dall’approvazione consiliare. Terzo azzeramento in 20 anni e il rischio di ricominciare tutto daccapo, in un continuo gioco dell’oca che tanto piace ai vincitori di ogni elezione.
Intervistato da “Quotidiano”, Salvemini ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Hanno bloccato l’iter di approvazione per pura irresponsabilità, tesa ad annullare un lavoro serio e approfondito durato anni, del quale si sbarazza semplicemente per pregiudizio politico. Nelle scarne tre pagine della delibera di revoca non c’è traccia di ragioni di illegittimità. Per scelta della sindaca, Lecce resterà governata da un PRG concepito negli anni ‘80 e approvato nel 1989.».
La parte più interessante della delibera di revoca della Poli è la formazione di un comitato di esperti di professionisti che a titolo gratuito sarebbero pronti a suggerire le linee guida del PUG prima dell’affidamento vero e proprio. Ora, è chiaro a tutti quanto sarebbero importanti i Piani per uno sviluppo regolato e sostenibile, ma è chiaro anche che il Partito dei Tecnici ha sempre l’ultima parola. È avvenuto in tante altre cittadine del Salento. I tecnici sono sempre pronti a dare buoni consigli: gratis, naturalmente.
29.11.2024 - il Volantino nr 37
alfredo de giuseppe
2024-11-23 "Pubblichiamo uno stralcio dal libro di ALFREDO DE GIUSEPPE, “40 lunghi campionati”" - il Volantino
Come siamo cambiati…
In quarant’anni il mondo è cambiato. E il mondo del calcio non poteva che cambiare con esso. Non parlerò qui di Internet e del dominio tecnologico, ma limiterò lo sguardo al calcio e alla città che ho sempre tentato di raccontare, la mia Tricase.
Il calcio professionistico si è radicalmente modificato, è diventato uno show planetario, dove le star sono calciatori e allenatori, dove i tifosi allo stadio sono folklore perché, ovviamente, sono una minoranza rispetto alla grande platea televisiva. L’introduzione del pagamento da parte dell’utente per poter godere di un’ottima visione da casa ha fatto il resto, ha cioè allargato la possibilità economica di ogni società. Del resto non è che ai tempi del Grande Torino, della Juve targata Fiat o dell’Inter di Herrera e Mazzola, del Napoli di Maradona e Careca o del Milan di Berlusconi e Van Basten girassero pochi soldi, anzi la sproporzione con il reddito di un medio lavoratore è stata sempre elevatissima.
Molte riforme invece si son rese via via necessarie (!) per rendere più telegenico lo sport del pallone che gonfia una rete (una trasmissione come la prima edizione di 90° minuto, di puro servizio pubblico, oggi non sarebbe concepibile). Nei primi anni ’80 la Serie A aveva 16 squadre, poi portate a 18 e oggi a 20, due stranieri per squadra. Poi è arrivata la legge Bosman, una rapida liberalizzazione totale, tant’è che oggi anche alcune squadre giovanili delle Serie professionistiche non hanno neanche un italiano in campo. Non c’erano sponsor sulle magliette, oggi ci sono tanti marchi, spesso di società di scommesse, quando un tempo era ammesso solo il Totocalcio e vincevi indovinando 12 o 13 risultati. Il calcio-mercato era molto limitato, oggi i giornali sparano ogni giorno in prima un nome sconosciuto (un record dell’atletica, del tennis o del ciclismo va con un trafiletto in quinta) che serve a vendere i giornali e a scaldare i lettori-tifosi, sempre desiderosi di grandi nomi. La Coppa dei Campioni la disputava solo chi vinceva lo scudetto, la 2° e la 3° disputavano la Coppa Uefa. I mondiali si giocavano con 16 squadre, gli Europei con 8. Oggi si perde il conto tra recuperi, play-off e nuove norme d’accesso, con gare importanti solo perché trasmesse in diretta europea. E poi una serie di piccole modifiche delle regole di gioco, dal retropassaggio al portiere fino all’introduzione del VAR che fanno dire a tanti: il calcio si sta evolvendo verso un altro sport. Ma poteva la tecnologia rimanere fuori dal calcio? Hanno cambiato anche i palloni, li hanno fatti più leggeri e colorati, pur di far notare che il calcio si evolve. Certo è un business, ma ormai non conosco molte categorie dove non vige sopra ogni cosa la regola della domanda e dell’offerta. Il famigerato MERCATO ha pervaso le nostre vite, vince ovunque e farsene una ragione, magari avendo qualche strumento critico nel proprio bagaglio, aiuta a sopportare meglio il mondo che ci circonda. Nello sport in generale contano molto i soldi, è una divagazione di massa che piace ai potenti e ai rivoluzionari. Di questo dobbiamo esserne certi: la contraddizione alberga nel nostro cervello ominide.
2024-11-22 "1- CANDIDO BESTIARIO SETTIMANALE"
di Alfredo De Giuseppe
La scuola pubblica è da anni allo sbando. Insegnanti sottopagati e delegittimati da Presidi (rinominati Dirigenti) che pensano più ad avere iscritti per assicurare una pur minima sopravvivenza a quella che è definita Azienda piuttosto che ricercare il massimo della qualità formativa. Genitori che hanno usato i nuovi mezzi informatici e soprattutto i social per diventare aggressivi e prepotenti, contando su due fattori: non si boccia nessuno e ogni lamentela diventa un atto d’accusa. In mezzo a tutto questo si vedono famiglie ormai lontane dai figli, tranne nell’apparenza di un ottimo voto. In questo scenario proprio non ci voleva un Ministro dell’Istruzione dell’Istruzione e del Merito come Giuseppe Valditara.
Costui, leghista della prima ora con Bossi, poi missino con Tatarella, eletto senatore due volte con AN, è poi tornato Con Salvini. Nonostante le liste bloccate, non viene eletto nel 2022 nelle fila della Lega dove svolgeva il ruolo di consigliere politico del segretario Matteo Salvini. Quest’uomo fattosi successivamente Ministro, dopo varie gaffe e inciampi anche sulla lingua italiana, ha avuto l’ardire di partecipare il 18 novembre scorso alla presentazione della fondazione dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa dal supposto fidanzato italiano, tal Filippo Turetta. Ha affermato il Ministro, attraverso un video pre-registrato, che il patriarcato non esiste più e che c’è un legame tra violenza sessuale e immigrazione. Anche se la circostanza stessa dimostrava il contrario, anche se le statistiche dicono altro, anche se i familiari di Giulia si sono sentiti offesi, quel che conta annotarsi è che il Ministro Valditara, classe 1961, non ha nessun Merito nel ricoprire quel ruolo.
2024-11-15 "La GMN"
Cos’è il mare in tempesta? Un fenomeno termodinamico o un riflesso dei nostri pensieri? Era il novembre del 2004, giusto venti anni fa, quando scrissi questo capitolo del mio “Miracoli e birre a Tricase Porto”. Siamo alla vigilia dell’esplosione dei social: si intuisce la loro assenza da alcune mie osservazioni. Novembre era anche un mese poetico.
La GMN
Poi ci sono delle estati che non finiscono mai. Iniziano ad aprile, magari il giorno di Pasquetta e a fine ottobre ancora si va al mare. In quelle stagioni, a Tricase Porto c’è sempre qualcuno, il giorno di Ognissanti, che fa il bagno. Il microclima di Tricase non è stato studiato a fondo e le differenze fra il bassopiano di Scorrano - Maglie e la dorsale Marina Serra - Montesardo saranno attentamente valutate quando l’Unione dei Comuni del Capo avrà il suo satellite. (Mentre per il Presidente non c’è storia: sarà il Sindaco di Tricase perché rappresenta il Comune – Faro di Leuca).
Ma a novembre abbiamo un appuntamento immancabile: l’autunno e il suo vento di scirocco. Allora arriva la Grande Mareggiata di Novembre. C’è gente che ha interi album di foto sulle Grandi Mareggiate di Novembre. Ogni anno, a dispetto dei cambiamenti climatici, arriva puntuale la tempesta di scirocco grecale, il mare si ingrossa fino a superare il muraglione, le barchette del porto prendono acqua e rischiano di affondare. E tu puoi osservare una lenta colonna di auto che dal paese scorre lentamente verso il Porto, per godere del mare in tempesta. A ben vedere i curiosi, questi tifosi della GMN sono sempre gli stessi da decenni: a novembre non ci sono turisti e non ci sono casalinghe. Quando arrivi all’altezza del Quadrano ti puoi fermare quasi a misurare la potenza della natura, però sei in sosta vietata e ti devi spostare. Allora continui lentamente verso i bar di Tricase Porto che nelle realtà sono dei grandi schermi sulla GMN.
Mentre prendi un caffè vuoi sapere se il mare ingrosserà ancora: puntualmente ti sei perso il momento culminante della GMN che c’è già stato, o di notte e l’hanno visto in pochissimi compreso colui che ti sta parlando, o qualche ora prima appena il vento sembrava volersi scatenare. Ed è così, per brevi contrattempi, che non riesci mai a vedere l’onda che è arrivata sulla strada o quella che ha superato le barriere del porto ed ha raggiunto i vetri del bar “Bolina”. Queste gesta leggendarie della GMN saranno prima o poi pubblicate in esclusiva dal fotografo professionista che colleziona in segreto immagini della Tricase che fu.
Eppure, nonostante non sarai mai il privilegiato che ha visto finalmente la tregenda, puoi stare intere ore a guardare quello spettacolo senza mai stancarti. Puoi contare le onde altissime e quelle di riflusso, quasi pesare l’immondizia che si accumula dentro il porticciolo, osservare il pericoloso ondeggiare delle barche attraccate e soprattutto farti prendere da quel moto perpetuo, l’onda che sembra devastare e la risacca che riposiziona.
E allora ti osservi la GMN seduto al bar, senza parlare, seguendo le onde e i suoi pensieri, ora di morte ora di vita, ora un attimo di tregua felice ora di stanchezza estenuante, ora di vivacità ora di spossatezza, poi fragrante e poi ripugnante, ora di paura e infine di coraggio. Infine di coraggio…
2024-11-06 "Alfredo De Giuseppe e il calcio a Tricase, a un mese dalla scomparsa di Sergio Adelchi e Rocco Maglie", Spotify di Distinti Sud Est - Tutto il calcio del Salento
2024-11-02 "Noi del dopo-Gutenberg" - il Volantino
Noi siamo quelli che hanno atteso un po’ di millenni prima di vedere un libro stampato con la tecnica di Gutenberg. Fino alla metà del 1400, le storie e le notizie ce le tramandavano per via orale. Noi, per informarci, e capire che cosa succedeva intorno al nostro mondo, abbiamo dovuto lottare contro un’élite che già si era data strumenti di conoscenza e comunicazione. Noi no, noi stavamo in uno stato animalesco, calmierato da informazioni approssimative, riti mistici intorno a pietre e colonne, credenze miracolistiche.
Dopo aver imparato a leggere, dopo aver connesso il cervello con la conoscenza, dopo aver illuminato il nostro cammino di creatività e nuove sfide, abbiamo sviluppato un certo senso critico. Così noi, leggendo e confrontando, abbiamo espresso pareri diversi e conosciuto mondi nuovi.
Noi siamo quelli che hanno sviluppato una certa insofferenza verso i vincenti, i forti, i poteri armati, le ipocrisie collettive, le dimenticanze storiche. Noi non abbiamo creduto alla Conquista del West come modello di successo, perché non abbiamo dimenticato il genocidio dei nativi americani. E neanche quello dei nativi australiani e amazzonici e di tutte quelle persone che non avevano i tratti dei vincenti.
2024-10-26 Tricase, Consiglio mancato, crisi politica - il Volantino
Avevo deciso già da tempo di occuparmi sempre meno della politica politicante del mio paesello. Qualcuno dice che amo scrivere dei “massimi sistemi mondiali” ed in verità non riesco a non pensare (a volte studiare) la situazione in Medio Oriente dove Israele si è giocato un credito secolare attaccando indiscriminatamente civili, terroristi, città, caserme, donne e bambini. Né posso fare a meno di pensare alle connessioni della guerra in Ucraina, armi si armi no, pericolo nucleare, aggressioni e diseguaglianze. Né posso far finta di non vedere le involuzioni delle democrazie occidentali a partire da quella americana per finire a quella italiana. Il tutto in nome di una ipotetica difesa dei confini che è un male secolare dal quale non riusciamo a liberarci.
Ma, come sempre accade, anche la realtà più vicina ti piomba addosso, non puoi schivarla, non puoi far finta di niente. Ed ecco che il posto in cui vivi è un paese senza regolamentazione urbanistica che detta così sembrerebbe una cosa per tecnici e d invece tocca ogni aspetto della nostra vita sociale. Non aver uno strumento è significato negli anni splafonare in ogni dove, costruire in campagna e in collina, avere difficoltà nell’avere servizi adeguati di fogna nera e fogna bianca, strade bianche e nere, un’organizzazione adeguata del traffico cittadino. Questa difficoltà urbanistica si trasforma spesso in difficoltà relazionali, in dispersioni economiche e in un caso, in una specie di soffocamento ambientale. È il caso dell’Ospedale Panico di Tricase che, pur avendo in fase di costruzione oltre 12.000 mq, non ha trovato di meglio che chiedere una parte di una strada pubblica per costruire con opere immaginifiche e impattanti il nuovo Pronto Soccorso.
2024-10-18 "La leggenda di Gino Scarascia"
Nei giorni scorsi la signora Stefania Scarascia mi ha fatto dono di una voluminosa serie di raccolte e ritagli di giornali riguardanti suo padre, Gino Scarascia, calciatore a Modena, nella forte serie B degli anni ’50. La signora, nello svuotare la sua casa di Lucugnano, notava insieme a tanto materiale anche il mio libro “il calcio e Tricase” del 1985 in cui citavo più volte suo padre, decideva di contattarmi per donarmi le preziose rilegature che lo riguardavano. La ringrazio per il gesto e per l’interessante documentazione storica contenuta in quelle raccolte ben conservate: tenterò di custodirle al meglio anch’io.
Chi era Gino Scarascia? Nato il 7 febbraio 1928, era figlio di Tommaso, viveva con la famiglia in una casa affacciata su Piazza Capuccini, dove al tempo si giocava a calcio. Il piccolo Gino vive per tirare due calci al pallone, nella piazza sotto casa, sfuggendo al padre e al lavoro di costruttore/manutentore di ruote di carretti da traino. Quando diventa un bel giovanotto, robusto e veloce, gioca insieme al fratello Nicola e al cugino Alfredo (che a sua volta era un ottimo stopper, ricercato dalle migliori squadre della Provincia). Proprio Alfredo lo propone al Maglie, dove vi arriva a 22 anni: ha sperperato la gioventù tentando di superare l’avversità del padre verso il calcio professionistico, considerato lontano e illusorio.
Ma Gino è un talento puro: esordisce in serie C a Maglie, senza aver mai militato fin ad allora in una organizzata squadra dilettantistica e men che mai in un qualche settore giovanile. Aveva solo giocato sulle pietre del Cappuccini di Tricase, imparando a schivare botte e avversari, saltandoli in velocità come birilli. A Maglie conquista subito i tifosi, segna in due anni 24 gol che sono un bel bottino per un’ala sinistra (allora le ali saltavano l’uomo e crossavano al centro). Nonostante i suoi 24 anni lo notano osservatori del Modena che milita in serie B e da anni cercando di andare in serie A, in competizione col Bologna. Scarascia arriva al Modena in cambio di due giovani promesse, Seghedoni e Gozzi. Alle prime visite mediche si presenta con un piede rotto: lui dice che è caduto del motorino, probabilmente si è fatto male giocando con gli amici qualche giorno prima di partire. Il Modena crede comunque in lui e lo aspetta. Esordisce alla sesta di campionato e diventa subito protagonista: fa gol, assist e soprattutto vola sulla fascia sinistra, in un modo entusiasmante e incontenibile, per i tifosi del “Braglia” è ormai “la freccia del sud”. Tanto è forte, robusto, veloce che gli avversari ricorrono spesso al fallo sistematico: in uno di essi si frattura di nuovo il piede sinistro (partita in casa contro il Marzotto). La sua prima stagione finisce così. Son bastate però dieci partite e cinque bellissimi gol per creare la leggenda del ragazzo del sud, venuto dal nulla, come un vento nuovo, inatteso. Però quell’infortunio cambiò un poco la percezione del confronto con l’avversario e Gino divenne un po’ più attento, quasi timido rispetto al passato. Segna di meno ma rimane un idolo per dirigenti e tifosi del Modena, una società forte che un certo punto aggiunge anche il nome Zenit, dal marchio di un’azienda cremonese di costruzioni che investe nel club una cifra mostruosa (oltre 100 milioni).
2024-10-14 "Albania come una prigione"
16 ragazzi, provenienti da Egitto e Bangladesh, su una nave italiana, presa appositamente a noleggio, sono destinati a due centri albanesi, nati per smistare migranti che poi dovrebbero essere rimpatriati. Uno scellerato (e tollerato) accordo tra Italia e Albania è alla base di questo ennesimo atto disumano verso chi fugge da miseria e discriminazione. Nessuna pietas per i deboli, i poveri, i neri.
Al di là dei costi, e della mera propaganda del governo italiano e purtroppo in parte di quello europeo, Amnesty International scrive oggi sul proprio sito:
“L’accordo prevede la detenzione automatica di chi viene trasferito in Albania, incluso chi richiede asilo. La detenzione generalizzata, che può durare fino a 18 mesi, è una misura arbitraria e quindi illegale. Secondo il diritto internazionale, la detenzione deve essere un’eccezione, non una norma, e deve essere convalidata dal giudice sulla base di valutazioni individuali. Le persone detenute in Albania potrebbero affrontare ostacoli nell’accesso ai ricorsi legali a causa delle difficoltà logistiche e burocratiche legate alla distanza. La mancanza di meccanismi chiari per la liberazione delle persone vincenti nei ricorsi potrebbe prolungare ulteriormente la loro detenzione. Inoltre, la detenzione potrebbe persistere anche dopo la decisione giudiziaria, a causa del tempo necessario per organizzare il trasferimento in Italia”.
La cosa più grave, che ancora una volta lascia basiti e ci fa fare una grossa riflessione sul futuro di questo continente, è l’indifferenza generalizzata, l’adesione intellettuale di gran parte dei cittadini, la malafede di politici e giornalisti. Passa ancora una volta, come quasi sempre nella Storia, la teoria che accanendoci contro i più deboli, andremo a risolvere tutti i nostri problemi.
Tricase (che fotografa l’Albania), 14 ottobre 2024
FB - alfredo
2024-10-12 "L'ospedale e Tricase" - il Volantino
Tricase sarebbe più povera senza l’Ospedale Panico. Tricase respira grazie all’Ospedale, è una risorsa incalcolabile in una piccola economia come la nostra. E poi è un presidio stabile, generalista, eccellente e generoso rispetto alla nostra salute, vicino alle nostre case, come un amico su cui contare. Questo è in sintesi l’Ospedale per i tricasini.
Però è anche qualcos’altro e non posso esimermi dal dirlo, fosse anche per un semplice pro memoria. L’Ospedale di Tricase è un cantiere aperto da decenni, è in una perenne espansione, che pare non tenga conto di due fattori essenziali: 1) l’esasperato consumo di suolo in deroga ad ogni norma, specie quelle in materia idrogeologica; 2) il cantiere si espande all’interno di una struttura urbana disordinata e frammentata che pare non poter assorbire altre costruzioni.
È evidente che una ventina di anni fa qualcuno doveva porsi delle domande sul futuro di questa struttura. Quando fu progettata, nel 1962, era in aperta campagna, tra Tutino e Tricase, non c’erano nei dintorni altre costruzioni civili, né si poteva immaginare il boom edilizio che negli anni ‘60 e ’70 ha fatto di Tricase la solita caotica e poco aggregante città del Sud. L’assenza di un Piano Regolatore ha permesso di tutto, qualsiasi lottizzazione è stata approvata senza mai immaginare il futuro ma sempre assecondando le logiche elettoralistiche del momento, per cui quell’area è divenuta nel tempo una delle più urbanizzate del paese.
Forse all’inizio del 2000 si poteva immaginare qualcosa di diverso, tipo andare in altezza piuttosto che ampliarsi in orizzontale, come una piovra tentacolare, in uno spazio ormai soffocante. Deroga per deroga, si poteva autorizzare una costruzione più alta dei canonici 5 piani. Oppure si poteva immaginare di utilizzare una parte della zona industriale e costruire da zero un ospedale più funzionale e studiato fin da subito per l’idoneità delle nuove esigenze ospedaliere. Sarebbe costato senz’altro di meno che organizzare un cantiere senza fine in mezzo a case, auto, pazienti, dipendenti e cittadini.
2024-10 "Colonia Scarciglia" - 39° Parallelo
COLONIA SCARCIGLIA
Prima luogo di sofferenza, poi di degrado
A Leuca, su Punta Meliso, all’estremo scoglio del tacco d’Italia, fu costruita la Colonia Scarciglia. Un edificio imponente, progettato sul tetto carsico di una serie di grotte marine, denominate Grotte Cazzafri, bellissimi anfratti naturali, frastagliati da innumerevoli stalattiti. Nelle grotte ci si addentra per una trentina di metri con la barca, essendo accessibili esclusivamente dal mare. Luigi Scarciglia, un possidente di Minervino di Lecce, a metà degli anni venti del Novecento, dona una cifra sostanziosa per una struttura da destinare, durante le vacanze, ai ragazzi ammalati di tubercolosi, una malattia che minava la forza della stirpe italica. Il motto era “Salvate la razza dalla tubercolosi”: il regime fascista dedicò un impegno massiccio alla lotta contro questa malattia. Oltre agli elevati tassi di mortalità, vi erano altri risvolti sgraditi: l’immagine del tisico pallido, gracile e potenziale corruttore della razza, contrastava troppo con l’ideale fascista dell’uomo forte e muscoloso e con la necessità di preparare “la grande Italia di domani”.
Siamo sotto il Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae e vicino alla Colonna che segna la fine dell’Acquedotto Pugliese, dove il regime volle una specie di cascata monumentale. È il 1928 quando si inaugura: il tempo delle colonie estive e della convinzione che alcune malattie si curino meglio respirando l’aria del mare, magari in un edificio costruito fin quasi dentro il mare. Per quanto riguarda il Sud Salento, oltre alla “Scarciglia” ne fu aperta un’altra ai Laghi Alimini di Otranto, chiamata “Colonia Trieste” (anch’essa completamente abbandonata). Ricordiamo comunque che in tutte le colonie l’età dei bambini andava dai 6 ai 13 anni e divennero un vero e proprio status sociale delle famiglie più povere: nel 1939 furono oltre 800.000 i ragazzi presenti nelle colonie estive di tutta Italia. Mentre tutte le colonie negli anni trenta furono gestite dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) e dall’Opera Nazionale Balilla (ONB) e dal 1937 dalla Gioventù Italiana del Littorio (GIL), la Colonia di Leuca rimase in mani religiose, perché velocemente si trasformò in una specie di sanatorio permanente, perdendo fin da subito qualsiasi connotazione vacanziera.
2024-09-14 "Carni e benzine" - il Volantino
Ciccio sta per chiudere l’ultima macelleria della storica famiglia di macellai, Rocco è diventato un affiliato kuwaitiano, suo malgrado
Gerardo Chiuri è mancato qualche settimana fa, all’età di 96 anni. Suo padre Emanuele Chiuri agli inizi del Novecento aveva aperto una macelleria in Piazza del Popolo. Non era una novità: tutti i fratelli di Emanuele avevano uno spaccio di carni. La sua famiglia era nota in paese come “taiacapre”. Sembrava un imprinting naturale: nascevi taiacapre e quindi eri destinato a diventare un macellaio.
La storia, in realtà, inizia subito dopo l’Unità d’Italia: Salvatore Chiuri aveva sposato Vincenza Musio, che era figlia di un allevatore/macellaio, da cui sarebbero nati 4 figli maschi, Angelo, Francesco, Giuseppe ed appunto Emanuele. Tutti e quattro i fratelli e molti dei loro figli, tra cui Gerardo, divennero a loro volta macellai. Anzi, gli unici macellai del paese, per lunghi decenni i detentori assoluti della vendita di carni di ogni tipo. Non che fossero ricchi o che avessero fatto un cartello sulla vendita al dettaglio delle carni: la quantità pro-capite consumata dai loro paesani era così bassa che si faceva fatica ad acquistare una mezzena tutt’intera e consumarla prima che andasse a male. Non c’erano frigoriferi o congelatori e spesso nel macello comunale di Piazza Cappuccini (una piccola stanza attiva fino alla fine degli anni ’60) si dividevano i pezzi dell’animale, tanto per fare un’economia di scala e di freschezza. Quasi sempre mezzene di bovini e suini allevati nelle campagne circostanti, in piccole stalle, spesso nei terreni dietro casa. Le attività erano aperte solo nei giorni buoni, quelli prefestivi e durante le settimane di Pasqua e Natale, oppure in occasioni di macellazioni importanti, dovute a cause da accertare, ma ben propagandate dall’urlatore itinerante che avvertiva la popolazione dell’occasione da non perdere. Poca carne per tutti, pochi incassi, poco colesterolo, e mezzo chilo riservata allu vannisciatore.