2024-06 - "Al di là dei limes" - 39° Parallelo

Noi ragioniamo spesso sulle diatribe europee e tra pochi giorni andremo a votare per il Parlamento di Bruxelles. Poi vediamo con preoccupazione i conflitti che si sviluppano vicino a noi. Raramente sappiamo quel che succede prima delle guerre vere e proprie sulle terre di confine. Del resto non è successo così con l’Ucraina e la sua guerra fredda nella Crimea che era iniziata già nel 2014?

In queste settimane, la regione separatista moldava della Transnistria ha chiesto alla Russia di proteggerla dalle «pressioni» moldave. Il governo di Chisinau l’ha definita “pura propaganda”. Il distretto, considerato come una piattaforma logistica della guerra ibrida di Mosca in Europa, ha visto una seduta del Congresso, che ha approvato una risoluzione in cui annuncia di appellarsi a entrambe le Camere del Parlamento russo, «con la richiesta di attuare misure per proteggere la Transnistria di fronte alle crescenti pressioni della Moldavia». L’enclave non riconosciuta, che confina a est con l’Ucraina, ha mantenuto l’autonomia da Chisinau con il sostegno di Mosca, che ha inviato più di 1.500 uomini come “forza di pace”, soprattutto allo scopo di proteggere il più grosso arsenale lasciato in eredità dall’Unione Sovietica. Nella terra secessionista, secondo le autorità locali, vivrebbero 220mila cittadini con passaporto russo, su un totale di mezzo milione di persone, tra cui oltre 100mila ucraini e altrettanti moldavi.

Il 7 maggio 2024 la Bielorussia fa sapere che parteciperà alle esercitazioni nucleari tattiche che la Russia terrà a breve. Minsk ha iniziato a mettere alla prova la prontezza delle sue forze per dispiegare le armi tattiche nucleari simultaneamente a quanto farà la Russia, che opererà nel Distretto Militare Meridionale su ordine del presidente Vladimir Putin. Mosca lo scorso anno ha dislocato armi nucleari tattiche - "diverse decine" secondo il presidente Aleksandr Lukashenko - anche sul territorio della Bielorussia.

12 maggio, una domenica primaverile a Tiblisi. Migliaia di persone invadono il centro della capitale georgiana contro la legge che censura media e ong e per difendere il cammino della Georgia verso l’Unione europea. Il premier: “Arresteremo chi blocca il Parlamento”. E’ stata la manifestazione più partecipata da oltre un mese, da quando a Tbilisi sono iniziate le proteste contro un progetto di legge sulle “influenze straniere” con cui il governo intende stringere le maglie del controllo nei confronti dei media.

Ho riportato solo tre notizie, a mo’ di esempio, che in queste settimane hanno riguardato Paesi che sono confinanti con l’Europa, di cui però poco sappiamo e poco discutiamo. Esattamente come parecchi secoli fa, quando l’Impero Romano creò i Limes, una serie di confini militari fortificati, che in teoria dovevano proteggerlo dalle invasioni da popoli poco civilizzati, l’Europa crea oggi dei confini geografici e tenta di giocare in difesa. Dispiace dirlo, ma oggi, come allora, stiamo sbagliando tutto. E purtroppo sono errori che ci stiamo trascinando dall’inizio degli anni ‘90.

Quando cadde il Muro di Berlino, nel 1989, tutto l’Occidente ebbe l’impressione che finalmente il Male era stato sconfitto per sempre. Non ci fu da parte di nessun governo, né dell’Europa, né tanto meno da parte degli USA, una minima forma di autocritica, di consapevolezza che il modello occidentale di sviluppo aveva comunque delle profonde imperfezioni e ingiustizie. Sembrava ancora una volta la vittoria dell’uomo bianco, bello e moderno contro altri indefiniti, ma certamente sporchi, brutti e cattivi. Se ci fosse stata una pur minima discussione intorno alle sorti del mondo futuro, sarebbe stato palese che la pressione demografica di alcuni Paesi e la distribuzione delle risorse economiche e naturali dovevano diventare immediatamente i temi principali su cui concentrarsi. Si doveva in quel momento, inizi anni ’90, rivedere il concetto di difesa comune mentre si è continuato a credere che l’equivoco della NATO dovesse perpetrarsi all’infinito. Quello era il momento del vero disarmo: da una parte la dissoluzione dell’URSS, dall’altra lo smantellamento delle basi NATO con un vero e programmato disarmo mondiale. Era una finestra di breve durata, forse quattro o cinque anni, non di più, ma nessuno ha voluto coglierla. Ci sentivamo i vincitori assoluti e potevamo fare ciò che volevamo… e guai a mettere in discussione il nostro modello vincente. I governi dell’epoca, e ancora quelli successivi fino ad oggi, pensarono che una NATO più forte fosse eterna garanzia di stabilità per tutti noi, popoli che volevano la pace, la tranquillità, godersi la settimana bianca, la gita ai Caraibi, i figli istruiti, l’ordine supremo legiferato da sovrastrutture molto umanitarie. Invece quello era il momento per dare un segnale di vera umiltà a tutto il mondo, smantellare le fortezze geopolitiche nate dopo la seconda guerra mondiale, disarmare davvero i nostri Stati e creare una piccola, quasi invisibile, e poco costosa difesa comune europea. Ma l’America certamente non poteva accettare, né l’Europa ha davvero lottato per questo. Il risultato, a oltre trent’anni di distanza, è demenziale e potrebbe diventare catastrofico.

La conclusione a cui stiamo assistendo oggi di quel mancato disarmo, di un possibile (ma negato) coinvolgimento di una Russia in difficoltà, di una nuova visione del mondo, è una sequela senza fine di autoritarismi e nazionalismi, in alcuni casi il ritorno di antichi regionalismi. Insomma, non aver premuto sull’acceleratore del disarmo e della pace in quel preciso momento storico (Boris Eltsin presidente col cappello in mano) è stato l’avvento di Putin, il tecnocrate proveniente dalla pancia peggiore del KGB russo. Putin doveva dare slancio e nuova energia al suo popolo e l’unico mezzo era spingere sull’orgoglio nazionalistico, gioco da sempre più semplice che risolvere alla radice i problemi economici.

Oggi in Europa si rischia di avere una serie di potenziali piccoli dittatori mascherati di democrazia (vedi Orban, LePen, Mark Rutte, Alice Weidel e magari Giorgia) che, a loro volta avranno una sola, disastrosa strada per governare: accelerare i sentimenti protezionistici, nazionalistici, chiudere le frontiere, acuire i conflitti, spegnere l’idea di un mondo più giusto. Mentre al di là dei Limes si comincerà a spingere sempre di più per prendersi l’Europa come gli Unni e i Visigoti fecero con l’Impero Romano, spazzando via in poco tempo imperatori e senatori.

È un destino ineluttabile, un percorso naturale? No, non credo. Conoscere meglio le dinamiche storiche e quelle che si svolgono sotto i nostri occhi è l’unico antidoto che può anticipare guerre e conflitti perenni, dove vincono solo i tiranni e le loro famiglie. La libertà purtroppo fa rima con tre parole: studio, conoscenza, tolleranza.

39° Parallelo – giugno 2024  

                                                                                                     alfredo de giuseppe

 

 

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