2022-12 "Ascoltare il respiro di otto miliardi" - 39° Parallelo

Stamattina mi sono svegliato e ho provato un esercizio difficile: sentire il suono del respiro di otto miliardi di esseri umani, variegati, diversi, dipinti, razionali e folli, forti e deboli. Mi sono concentrato, ho spento per un attimo ogni rumore, senza bisogno di spegnere nessun apparecchio, ma solo riducendo il pensiero all’essenza, lasciando spazio al sentire profondo ed ho ascoltato. Un piccolo spazio di tempo, ricavato nella nebbia novembrina, per sentire un rumore di fondo, un respiro affannato, una sostanziale stanchezza globale. Non c’è bisogno di allucinogeni, medicine alternative, esercizi di yoga o thai chi, è sufficiente uno sforzo del nostro computer di bordo, un momento di concentrazione - forse di reset - di quel che ancora rimane il mistero più affascinante: il nostro cervello.

Quando avevo sei anni e iniziavo a giocare per strada, non badando alle auto che cominciavano a riempire anche la vita del sud, nel mondo respiravano poco più di tre miliardi di umani. Andavo a scuola insieme ai miei vicini di casa, giocavo a piedi scalzi, non avevo né la televisione né i termosifoni, e mia nonna mi cuciva i pantaloni corti anche per l’inverno. Però il respiro aveva un’altra ampiezza, sembrava che il sole avesse un altro tepore, che il futuro era l’uomo sulla luna o il satellite che trasmetteva di notte le Olimpiadi. E Iannacci cantava Messico e Nuvole, oppure Vengio anch’io No tu no. L’ottimismo era tutto nel bagno nuovo, nel posto fisso e nella pasta al forno in riva al mare il giorno di pasquetta.

Oggi sento la guerra che c’è sempre stata: in mezzo al mare calmo, gli schiavi incatenati continuano a remare dentro le galee, per far vincere al re la corsa all’oro. Noi, otto miliardi, togliendo l’un per cento, schiavi di noi stessi, affannati dalla quotidianità, del lavoro mai abbastanza, del denaro insufficiente, delle organizzazioni statali onnivore, delle frontiere invalicabili. Però il raziocinio sopravanza e so che vivere il presente è la condanna della sopravvivenza, fatta di emozioni, speranze, amori, odi e sensibilità. Oggi è il giorno degli otto miliardi, oggi non è come ieri e non sarà come domani. È inutile tentare di recuperare il meglio del passato mentre il futuro fugge, insieme agli anni, insieme alla tecnologia invasiva, ai miliardi di  persone interconnesse senza essere riusciti a migliorarsi neanche un po’…E’ importante imparare a capire il proprio tempo, a percorrere una strada sconnessa e oscura, stare in piedi quando tutto porta a inginocchiarsi, lottare ancora per un futuro migliore. Per noi stessi, per gli altri otto miliardi che sono al di là del nostro corpo, ma dentro lo stesso cerchio. Nell’imperfezione che sembra innata nell’umanità, nelle nostre scelte, nelle nostre vicende relazionali, che pure riflette il caos di un infinito che si intravede ogni giorno di più.

Ci sono per fortuna ancora cose concrete, vicine ma artistiche, degne di dare un senso, un piacere alla nostra intelligenza. Alcuni quadri, alcune cose scritte, alcune immagini, opere architettoniche e soprattutto la musica, quel senso di immortalità che emana la musica, quando è un mix di strumenti, voci, melodie e sentimenti. Ho pensato molto con quale canzone chiudere questo pezzo improvvisato e poi son arrivate, da una postazione remota della mente e della memoria, le parole dell’ultima strofa di “Modena” (1979) di Antonello Venditti. E qui le ripropongo, ad uso e consumo dei miei migliori amici, sentendoli respirare lontano lontano.    

E non c'è tempo per scoprire, tempo per cambiare cosa abbiamo sbagliato.
La nostra vita è Coca-Cola, fredda nella gola
di un ordine che non abbiamo mai voluto.
Ma cos'è questa nuova paura che ho?
Ma cos'è questa voglia di uscire, andare via?
Ma cos'è questo strano rumore di piazza lontana?
Un nuova tenerezza o un dubbio che rimane.

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