2021-08 "Senza limiti, senza parole" - 39° Parallelo

 

Nel 1968 nacque il “Club di Roma” che nelle intenzioni dei fondatori doveva essere  “una sorta di cenacolo di pensatori dediti ad analizzare i cambiamenti della società contemporanea”. Questa associazione no-profit, fondata dall'imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel e leader politici e intellettuali fra cui Elisabeth Mann Borgese, comincia a intravedere agli inizi degli anni ‘70 la crisi dello sviluppo industriale e commissiona ad un gruppo di scienziati un rapporto sulla sostenibilità del nostro Pianeta in relazione alle sue risorse naturali. Gli scienziati lavorano all'Istituto di tecnologia del Massachusetts, cominciano ad utilizzare i computer, creano modelli matematici capaci di proiettare nel futuro una serie di dati. Gli accademici, guidati dai coniugi Donella e Dennis Meadows lanciarono in realtà il primo grande allarme sull’ecosistema della Terra, anticipando addirittura la prima crisi energetica che arrivò nel 1973. Il loro rapporto, pubblicato con il titolo “i limiti dello sviluppo” affermava attraverso vari scenari, basati sulla simulazione al computer World3, le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. Dissero cose così chiare e sconvolgenti che naturalmente pochissimi le presero in seria considerazione. Il loro rapporto fu contestato anche dalla maggior parte degli scienziati che avevano un approccio ottimistico rispetto alla capacità dell’uomo di creare nuove tecnologie per superare le problematiche emerse di volta in volta sul nostro pianeta. Molti politici invece li definirono spesso “catastrofisti dell’apocalisse”, “uccelli del malaugurio” e “scienziati da strapazzo”. I Meadows (scriveva materialmente Donella che era anche un’ottima penna) obiettarono che le risorse sulla Terra avevano fisicamente una loro finitezza e non tener presente tale dato significava non capire la limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta.

Era il 1972, era già tutto scritto: il rapporto non si limitava a denunciare l’insostenibilità dello sviluppo illimitato dell’industria e della popolazione ma suggeriva anche alcuni sistemi per non arrivare al collasso completo e quindi all’estrema difficoltà di vita sulla Terra. Secondo le loro previsioni, nel 2072,  continuando con il “business as usual”, i limiti dello sviluppo si riveleranno in un improvviso declino sia della popolazione che dell’industria: nell’ordine, questo comporterà un picco della produzione industriale seguito da una rapida depressione e quindi da una serie di eventi incontrollabili.

Subito dopo, quel rapporto fu messo in un cassetto della memoria, utilizzato solo da scienziati silenziosi. Tempo fa ho visto un documentario sulla vicenda di quel libro, sulla vita degli scienziati che con passione scrissero quelle parole chiare e precise. In quel filmato il marito di Donella, Dennis, ancora oggi vivo e vegeto, raccontava quanto ostracismo trovarono le loro conclusioni, specie da parte dei governi sia occidentali che di quelli dei Paesi in via di sviluppo. (Consiglio di vedere i 6 minuti del trailer del 2012 dal titolo “The last call” all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=7OFwre5JweI). In alcuni casi vennero presi in giro, trattati come scienziati hippie, come stravaganti portavoce di una generazione confusa. Il Club di Roma, ancora attivo, fu spostato prima ad Amburgo ed ora ha sede a Winterthur in Svizzera. Naturalmente in Italia non ne ha mai parlato nessuno, se per qualcuno intendiamo importanti esponenti di partito o di cariche istituzionali.

La pandemia ha riacceso i riflettori sulla sostenibilità del nostro pianeta, si sono aperti dibattiti le cui partite appaiono molto complesse, molto di più che nel 1972: chi può fermare lo sviluppo di intere aree depresse del pianeta? È corretto immaginare ancora i Paesi occidentali portatori delle migliori tecnologie e quindi sostenitori del loro modello di sviluppo? Soprattutto, siamo ancora in tempo oppure il processo di veloce tracollo è ormai irreversibile? Ghiacciai che si sciolgono, acque che si alzano, temperature sempre più infuocate, consumo inarrestabile di suolo, abbattimento di immense foreste, emissione di sempre maggiore anidride carbonica, aree sovrappopolate in contiguità con aree selvatiche: da dove partiamo per fermare tutto questo e tentare di bloccare la catastrofe? 

Quest’estate 2021, oltre a incendi, alluvioni e caldo vicino ai 50 gradi, è anche la stagione della ripresa, la prima dopo due anni di chiusura, e quindi viviamo anche l’epopea dei dibattiti pubblici, presentazioni di libri, di autocelebrazioni, di annunci di progetti sostenibili, di una farsesca virata ecologica. Nella realtà siamo ancora all’anno zero delle scelte forti, delle controversie, delle nuove tecnologie. Ho partecipato anch’io a quest’orgia collettiva di parole e buoni sentimenti, ma non ho ascoltato due cose base per favorire veramente la cosiddetta “transizione ecologica”. La prima dovrebbe essere una sorta di autocritica, una pratica molto importante prima di iniziare un nuovo corso. Mai sentito nessun politico o para-ambasciatore esclamare: scusate non avevo capito, oppure avevo sottovalutato il problema, anzi non me lo ponevo per niente e amavo tutto il consumismo al suo più alto livello. Mai ascoltato un sindaco, un parlamentare o un baciapile parapolitico affermare: da domani stop alle lottizzazioni, stop alle strade inutili, stop alle discariche abusive, basta con le mafie degli appalti e dei rifiuti. Mai sentito nessuno dire: facciamo riposare il pianeta, invece di correre come pazzi, blocchiamo per due settimane all’interno delle città il traffico automobilistico privato, blocchiamo per almeno un anno le barche dei diportisti inutili (quelli dei motoscafi) e così via. Finché non sentirò pronunciare queste parole non crederò che sia stia invertendo la rotta, continuerò a pensare che sia in corso solo un’evoluzione lessicale, un linguaggio più idoneo, ma nessun intervento concreto. La Penso come Greta Thunberg, che fra l’altro in questi mesi ha ricevuto il pieno sostegno del Club di Roma.

L’evoluzione ecologica dell’homo sapiens passa attraverso i nostri comportamenti individuali ma soprattutto attraverso accordi tra governi, leggi più chiare e finalizzate, una cultura di base diffusa dalle scuole di ogni ordine e grado. Il tutto mentre nel luglio 2021 qualche miliardario si costruisce un bel razzo a forma del suo pene e decide di andare nello spazio solo per fare turismo (il biglietto costerebbe circa 25 milioni di euro). Così per gioco, tanto per inquinare anche la stratosfera.

39° Parallelo, agosto 2021

Alfredo De Giuseppe

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