2020-08 "Marina Serra: storia di una piscina divenuta naturale" - 39° Parallelo

Quanto è naturale la “piscina naturale” di Marina Serra? All’interno un’approfondita ricerca storica di Alfredo De Giuseppe. Un’esclusiva del nostro giornale che riconduce la vicenda ad una “definitiva” risposta per un luogo “cult” delle vacanze salentine.  

Questa è la strana storia di uno scoglio di roccia sedimentaria che inglobava tanti fossili, diventato prima una cava di tufi, e poi una piscina naturale per bagnanti sognatori.

Andiamo con ordine: per lenire la drammatica emergenza occupazionale del dopoguerra, quantificabile in quasi 2 milioni di persone senza lavoro, viene varata la Legge n. 26/4/1949 che si preoccupa della qualificazione dei disoccupati e della riqualificazione degli occupati. Agli inizi degli anni ’50 partono una serie di cantieri-scuola dove i giovani, per lo più contadini, lavorano 5 ore al giorno per 400 Lire, aiutando di fatto gli Enti pubblici a ricostruire e modernizzare il Paese a costi contenuti. Nasce così il progetto del porticciolo della Serra che viene affidato nel 1954 alla ditta di Giuseppe Battocchio, con l’ausilio della forza lavoro dei giovani disoccupati. Marina Serra, da sempre la marina di serie B del Comune di Tricase, comincia ad essere abitata, si intravede qualche bella casa, costruita soprattutto da persone non residenti. Uno dei primi ad accorgersi della primordiale bellezza dell’insenatura della Serra è Vittorio Andretta che possiede dei grandi negozi di abbigliamento a Lecce. Vi costruisce una villa a ridosso del mare a forma di nave, con le piastrelle colore marrone. Vi risiedono in estate le famiglie Solidoro di Ruffano, Bleve e Biasco di Corsano, Niceforo di Tiggiano, i Coluccia di Specchia, altre di Miggiano e poi i tricasini Gino Girasoli e il col. Antonio Resci (che era stato Sindaco di Tricase dal 1951 al 1956). Una Marina per pochi intimi, affollata solo il 15 agosto, il giorno dei festeggiamenti della Madonna Assunta.

Approssimandosi la fine dei lavori del porticciolo, Andretta e compagnia estiva propone al Comune di  continuare i lavori, a far lavorare quei ragazzi con uno scavo proprio sotto casa sua, al fine di unire con una curva due piccole insenature, che in dialetto possiamo definire “conche”. In questo modo l’acqua sarebbe stata sempre pulita e ci si poteva bagnare anche con il mare mosso. Da una parte, quella verso l’antica Torre Palane, c’era una specie di grotta aperta, detta Grotta dei Monaci, dove l’acqua del mare entrava solo nelle giornate di mare alto e dove alcuni pastori usavano lavare le pecore (si narra che all’inizio del Novecento un piccolo pastorello cadde dal costone della grotta e morì in mezzo alle sue stesse pecore). Dall’altra una delle tante insenature che in maniera naturale si insinuava nella bassa scogliera per una decina di metri. In mezzo c’erano delle rocce che già in antichità erano state parzialmente utilizzate come cave di tufi, probabilmente proprio per costruire la cinquecentesca torre d’avvistamento. Questa parte di rocce affioranti erano (sono) geologicamente formate in modo tale da essere resistenti ma anche relativamente facili da estrarre con tagli precisi. Quindi dal 1500 in poi alcune parti di queste rocce venivano di tanto in tanto prelevate da costruttori di case e palazzi (e dopo secoli tirano fuori ancora salmastro e umidità), lasciando la scogliera alquanto disastrata. E proprio in quel punto c’erano stati molti prelievi di tufo: dovette sembrare semplice portare quelle rocce a livello del pelo dell’acqua: si trattava di abbattere un tratto lungo circa 15 metri e largo 7.

Le persone che si occuparono del “progetto” erano tutte di un certo spessore: il Comune di Tricase autorizzò l’opera senza grandi prescrizioni. Era l’estate del 1957 e il cantiere della “piscina” prese forma: si operò con grosse serre per tagliare la pietra e poi alla fine con piccole cariche di mine. Si estraevano grossi tufi di pietra calcarenitica detta “carparo” che vennero utilizzati per costruire i muretti del lungomare, le scale e gli spogliatoi (ora occupati dal bar “Lido Piscina”). I lavori di sbancamento andarono avanti fino all’estate del 1959: la ditta appaltatrice, quella di Battocchio li aveva concessi in subappalto alla ditta specializzata in scavi di Vito Panico (padre dell’ammiraglio Giuseppe R. Panico e di altri quattro figli). Entrambe le ditte erano di Tricase e molte opere degli anni ‘60 furono fatte da loro, con pericolo e dedizione (e pochi soldi) come lo sbancamento della litoranea per Leuca, o il campo sportivo comunale di via Matine. La ditta Panico era diventata nota nell’ambiente anche per essere la prima ad utilizzare il martello pneumatico, che non era però sufficiente per smantellare la roccia posta sotto la linea dell’acqua. La ditta Tagliaferro di Corsano aveva appena comprato una pala meccanica con cingolati: con estrema difficoltà fu fatta arrivare fin dentro l’acqua e cominciò a scavare per l’altezza di circa un metro, riportando poi verso il mare il materiale di risulta. La ditta in seguito a tale lavoro ebbe un serio danno al cingolato che immerso in parte nell’acqua salata diede segni di continui blocchi e guasti. Direttore dei lavori era il giovanissimo geometra Cosimino De Benedetto (che poi scelse di fare l’insegnante di educazione fisica, oltre che il politico).

Nel 1960 i lavori di taglio del costone, di congiungimento fra le due insenature, la realizzazione di bagni e spogliatoi, di un piccolo locale-bar, delle scale e del cemento posto a ridosso della risacca, erano terminati. La sua realizzazione era costata la cifra di due milioni delle vecchie lire. Fu subito chiesto all’Ente Provinciale del Turismo e al demanio l’autorizzazione per l’utilizzo dell’opera come stabilimento balneare. L’Autorizzazione fu prontamente concessa. Per cui la data di nascita della piscina “naturale” la possiamo determinare con l’inizio dei favolosi anni sessanta (e Gino Paoli cantava “il cielo in una stanza”).

La prima concessione del neonato stabilimento fu intestata a Tommasino Errico che, oltre ad essere proprietario di una casa sul fronte strada della “piscina”,  cercò di darle un’impostazione più o meno legata all’interesse pubblico del Comune di Tricase negli anni che vanno dal 1960 al 1967. Nel 1968 l’Autorizzazione demaniale fu rilevata da Davide Caloro di Vitigliano che la mantenne fino al 1982. Caloro non era soddisfatto del fondale della piscina, che presentava parecchi spuntoni e i segni dello scavo del 1959. Organizzò allora una specie di zattera, ci mise sopra una di quelle enormi macchine levigatrici e iniziò un lavoro di livellamento che ancora oggi permette di camminare in un fondale privo di inciampi e pericoli. Di fronte agli spogliatoi cementificò un’area di circa 80 mq e ci mise degli ombrelloni. Era il 1972, la piscina cominciava a prendere l’attuale fisionomia in ogni sua parte. Davide Caloro pensò di dover recuperare un po’ dei costi sostenuti per il miglioramento generale dell’area e tentò, oltre all’implementazione del bar con flipper e jeux box, di far pagare una modica cifra per l’ingresso alla piscina. Naturalmente ci furono molte polemiche e dopo poche settimane il progetto rientrò nel nulla di fatto.

Lo stabilimento passò nella mani di Pasquale Marzo di Lecce nel 1983 che lo tenne (completamente abbandonato) fino al 1985, anno in cui subentrò Luigi Montinaro di Calimera che lo gestisce ancora oggi. Montinaro nel 1990 ha trasformato gli originali spogliatoi in un piccolo bar dal sapore anni sessanta, che accoglie in estate visitatori da ogni dove.

Da qualche anno, anche quando arriva l’inverno, anche quando il lido Piscina è chiuso, c’è sempre qualcuno che prova l’ebrezza di un tuffo nelle sue acque limpide, prive di alghe e cozze, e chi lo fa dice che fa bene al cuore e all’anima, specie quando spira la fredda tramontana dei Balcani (provare per credere).

Da quel lavoro prettamente umano, figlio di un’intuizione un po’ egoistica, basato sul sudore di quei giovani apprendisti, sulla creatività di quegli imprenditori poco famelici, da una serie di eventi più recenti, ben pubblicizzati sul web, da un mix così variegato è nata la leggenda della “piscina naturale”, la cui naturalità è da ricercarsi nella casualità dell’intelligenza umana.

Speciale su 39° Parallelo, agosto 2020

Alfredo De Giuseppe


Un luogo da raccontare

Grazie alla memoria ancora formidabile di Vincenzo Battocchio, di Giuseppe R. Panico e dei pochi documenti disponibili, ho potuto ricostruire la vera storia della “piscina naturale” di Marina Serra. Questo è un posto che per fortuna, grazie ad un marketing azzeccato, ad una certa propensione del web a fotografare con il grandangolo solo alcuni particolari, è divenuto un luogo-cult dei turisti che vengono nel Salento. In effetti in alcuni giorni, l’acqua limpidissima, lo squarcio della Grotta dei Monaci, la Torre Palane sullo sfondo e il mare aperto a pochi metri, formano uno scenario di alto livello attrattivo, un unicum che permette di cucire racconti, leggende e sensazioni.

Qui volevo soltanto dare un piccolo contributo ad una ricostruzione storica che in realtà nulla toglie al fascino del luogo, anzi se possibile aggiunge una componente umana che a volte, un po’ casualmente, riesce a produrre bellezze pari a quelle naturali.

Però alcune brevi considerazioni vanno fatte: 

  1. Non credo che dopo il 1960 quell’opera avrebbe  mai visto la luce: nessun Ente avrebbe davvero mai permesso un lavoro del genere fin dentro gli scogli del mare. 
  2. Gli abitanti di quei luoghi, un tempo, avevano un potere non indifferente nelle scelte pubbliche: spesso opere importanti furono realizzate su input di pochi proprietari per soddisfare loro esigenze private.   
  3. È facile creare posti mitologici, basta lavorarci un po’ di fantasia, basta insistere un po’: le persone hanno bisogno di sentire sulla propria pelle cose belle e rassicuranti.
  4. Per questo continuerò a chiamarla “piscina naturale” pure io, anche se il nome più appropriato sarebbe “Piscina dei Monaci”. Metterò in un archivio questo pezzo e lo tirerò fuori solo in caso di bisogno, perché anch’io amo quel posto per come è andato formandosi e non per come si presentava in una remota era geologica. 

Alfredo De Giuseppe


Sullo stesso argomento, nel 2011, si è parlato nel libro "Stagioni mediane", da cui è tratto il brano:

“Lido Piscina”

….“Quando arriva la sera puoi sederti e bere qualcosa insieme alle zanzare, sotto i gazebo di plastica, senza che nessuno ti possa disturbare. C’è la musica dei Sud Sound System al jukebox e c’è la luna. Se qualcuno voleva far sentire che sei in un posto che ricorda insieme la Giamaica e la Magna Grecia, eccoti accontentato. Hai la piscina d’acqua salata alla tua destra, i vecchi camerini pieni di patatine e gelati alle tue spalle, il mare a due metri, la luna davanti e nessuno intorno. Puoi stare qualche minuto a sentire la risacca oppure ascoltare la musica e berti il tuo rhum di marca guatemalteca, amplificando oltremodo i tuoi pensieri atei. Pensi che nessuno, nemmeno un dio soprannaturale che tutto vede e tutto sente, poteva immaginare, al momento della creazione, quattro miliardi di anni prima o forse cinque, uno come te, lì al Lido Piscina, di fronte al mare e alla luna, in una semplice sera di maggio. (Manca solo un mandolino, il Vesuvio e divento un neo-melodico, uno struggente cantautore di matrimoni camorristi).

Sei al lido piscina di Marina Serra, con la luna che biancheggia il mare, con l’odore del salmastro ad essiccare sugli scogli e allora pensi che sei pronto: puoi iniziare a scrivere il tuo primo libro per i posteri dal titolo “pensieri atei in provincia”. Però ti auguri che la religiosità possa restare nell’alveo personale, adesso è più urgente avere pensieri sociali, ragionare sulla nostra organizzazione di base, sulle prospettive future di una società complessa chiamata umanità. Senti nell’attimo di una risacca ripetuta di aver compreso il tuo tempo, quello che verrà e quello che potrebbe essere”.

Ulteriori informazioni sul libro possono essere ottenute cliccando qui o sulla copertina.

 


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