1995-04 "Un turismo che esige qualità" - Convegno sul “Futuro del turismo”

Uno degli aspetti maggiormente presenti, verso cui si stanno avviando tutti gli operatori ecologici e, quindi, anche quelli turistici è sicuramente quello relativo alla qualità totale.

Un termine che indica, con estrema semplicità, quello che in questo momento è necessario per sviluppare un’idea di marketing molto forte.

Ogni messaggio deve trasmettere la qualità dei prodotti, la qualità del prezzo (il che significa essenzialmente “prezzo giusto”), la qualità della comunicazione tra i diversi soggetti e la qualità professionale degli operatori. In sintesi una concezione globale, trasmessa, (magari a livello subliminale) di una ricerca costante nel miglioramento della qualità della vita. Principi, che riguardano anche il turismo, anzi soprattutto quest’ultimo. Infatti dai temi è venuto spontaneo pensare che qualsiasi sviluppo ed interconnessione tra turismo e commercio vada affrontato premettendo sempre e comunque il concetto di “qualità totale”.

È una politica per la qualità del territorio, nella logica imprenditoriale, turistica e commerciale, non può prescindere dai bisogni del viaggiatore di oggi né dalla qualità complessiva dell’offerta.

La considerazione sulla qualità dell’offerta turistica, pur non essendo il mio settore specifico, è alla base di ogni ragionamento di Enti preposti ed imprenditori privati. Senza continuare a blaterare sulla cause dell’inefficienza, mi sento di sostenere immediatamente che non ci potrà essere mai sviluppo senza un’idea comprensoriale e meno localistica del turismo.

Penso ad un “circuito”, formato da tutti i Comuni del basso Salento, con a capo un “authority”. Essa dovrà essere in grado di coordinare i Piani Regolatori dei Comuni (abbandonati spesso alle ripicche personali all’interno delle singole Amministrazioni), di colloquiare, in maniera costante e univoca, con la Regione e infine, partendo dall’esistente, di proporre ad imprenditori privati la realizzazione di villaggi, alberghi, attrezzature sportive e di relax e comunque strutture ricettive.

Questa idea che presuppone una mole di lavoro che appare immensa e, per certi versi, irrealizzabile quando si tiene conto delle piccole gelosie comunali (retaggio di non so quale guerra o conflitto ancestrale), non è nuova, e nella realtà e in più parti del mondo è stata efficacemente realizzata.

In Italia l’esempio più classico è sicuramente quello del Consorzio Costa Smeralda, realizzato in Sardegna. Ma, allo stesso modo, alcune isole sperdute del Pacifico o alcune città del nord Europa sono riuscite a mettere a punto un “progetto turismo” più globale, capace di investire tutti gli operatori del terziario.

L’authority di cui parlo dovrebbe essere un organismo in grado di sviluppare un’idea di “tipicità”.

È una teoria che tento di veicolare da molti anni, ma (devo riconoscerlo) con scarso successo.

Eppure il teorema è semplice. Un posto – al di là del sole, del mare e degli alberghi di lusso – funziona anche su tempi lunghi se riesce a crearsi una sua tipicità e, soprattutto, a conservarla.

Il basso Salento (specie 20 anni fa) in questo senso aveva una sua tipicità che negli anni proprio per l’assenza di un progetto globale, di un controllo sul progetto stesso e per i farneticanti progetti faraonici mai realizzati sta purtroppo perdendo.

Ci sono posti nel mondo che milioni di turisti visitano puntualmente per cose che sembrano, tutto sommato, di poco conto: una corrida per strada, un’ubriacatura di 5 giorni, un museo, una discoteca.

Il Salento, per esempio, poteva sublimare le sue pietre.

Le pietre per dire, forse, la cosa più banale, ma quella che permette di far capire bene l’idea.

Avere un progetto in testa, che ruoti intorno alle “pietre” non permetterebbe per esempio, di abbattere i muretti a secco, le pajare, i villini di campagna per costruire “chalets” di montagna in riva al mare; né di usare piastrelle luccicanti sui frontespizi delle case, né di cementificare litorali solo per far parcheggiare il vicino di casa che, fra il 10 e il 15 Agosto, decide di “prendere il fresco” al mare.

Un “progetto pietre” significherebbe valorizzare dolmen e menhir, studiare le più antiche civiltà e le trasformazioni della terra, costruire senza lasciar spazio a tutte le fantasie dei singoli ed immaginare tutte le strutture turistiche in tono con un progetto molto più ampio e preciso.

Se la tipicità si deve creare attraverso le pietre – qualsiasi altra cosa – è necessario che l’authority, comprensoriale e al di sopra delle parti, sia in grado di incidere in modo molto pratico sulle varie concessioni edilizie, e sarebbe comunque ipotizzabile la presenza di un suo rappresentante nelle varie commissioni comunali.

Ritengo, dunque, che solo in questo modo si possa ipotizzare uno sviluppo armonico delle attività turistiche commerciali e, probabilmente, anche industriali che, in ogni caso, in questo modo dovrebbero essere rigidamente controllate da un punto di vista ambientale.

Uno sviluppo “armonico” che permetterebbe di realizzare quelle sinergie tra commercianti e strutture turistiche che altrimenti sembrano utopiche o, comunque, diventano discorsi di piccolo cabotaggio. Solo in questo senso si capiscono anche, e si accettano, le ipotesi di aperture dei negozi con orario continuato – e qualcuno magari anche di notte – e le tipiche iniziative a favore del turismo come le isole pedonali, sconti particolari e così via.

Un progetto di tal fatta, che comprenda una ventina di Comuni del basso Salento, da tutti sottoscritto ed inderogabilmente accettato, potrà essere l’unica via di sviluppo praticabile per la nostra zona. In altro modo, essa rimarrà periferica e di scarso interesse per i turisti.

E finché la richiesta scadente, nessun imprenditore privato può presumibilmente da solo sovvertire tale situazione.

Si sono gettate delle pietre.

Ad ognuno di voi (di noi!) la voglia e la forza di raccogliere per costruire.

 

Relazione tenuta nel convegno sul “Futuro del turismo”,
organizzato dall’ENAIP di Tricase – Aprile 1995

Alfredo De Giuseppe

 

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