17 - Voti senza frontiere del 2021-06-12

Paco e gli altri

Mi occupo di supermercati da qualche anno, almeno 35. Ho fatto in tempo a vedere avvicinare i ragazzi neri che chiedevano con discrezione una monetina fuori dalla porta d’ingresso. Ho visto molti clienti infastiditi, alcuni addirittura violenti nei loro confronti. Li ho sempre difesi dai miei irritabili compatrioti, senza chiedere il perché di quello stato di povertà, non c’è bisogno di chiedere ad un povero perché è così povero. Magari la vedevano come una parentesi della loro vita, non come l’unica scelta possibile. È accaduto anche a noi di chiedere aiuto, qualche volta, ma ce lo dimentichiamo appena ci sediamo a mangiare una pizza in compagnia.

A Ventimiglia (voto 2, compreso il suo sindaco), Italia, confine con la Francia, il 9 maggio 2021, non un secolo fa, tre bravi ragazzi italiani bianchi, anzi bianchissimi, hanno aggredito un giovane africano, Moussa Balde (voto 10 per le sofferenze che gli abbiamo riservato), che agli occhi dei suoi aggressori aveva due grandi colpe: chiedeva degli spiccioli all’uscita del supermercato ed aveva la pelle nera. I tre, appena fuori dal supermercato, si sono sentiti molestati da una tale presenza e lo hanno preso a sprangate, fino a ridurlo in fin di vita. C’è anche un video che riprende il tutto. Il ventitreenne arrivato cinque anni fa dalla Guinea, è riuscito a prendere la licenza di terza media ma mai un permesso di soggiorno. È riuscito a scappare in Francia, ma anche lì niente da fare: riaccompagnato alla frontiera italiana. Girava intorno a Ventimiglia nella speranza di trovare una soluzione alla sua misera esistenza tra l’Italia e la Francia. Dopo la pesante bastonatura ricevuta dai tre coraggiosi millenians italiani (voto 1 per la codardia) è stato curato in ospedale e poi in tutta fretta trasferito al centro Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di corso Brunelleschi a Torino (voto 2 per l’inadeguatezza). Mai come ora i termini del vocabolario sono stati distorti, stravolti a favore di un’ideologia terribile, di sofferenza e di morte: in altri tempi quelli sarebbero stati definiti semplicemente Carceri. Il 23 maggio il giovane Moussa, a suo tempo definito dagli educatori di Imperia “un ragazzo con una marcia in più, tenace e curioso”, ha deciso di smettere di vivere impiccandosi con le lenzuola del carcere. Da quel luogo infimo, di cui l’Italia è piena, vedeva un’unica fine: un rimpatrio senza gloria e senza prospettive.

Seid Visin, vent’anni, era nato in Etiopia, adottato da una coppia di Nocera Inferiore, provincia di Salerno, quando ne aveva sette. Aveva il sogno del grande calcio: aveva giocato nelle giovanili di Inter e Milan, non era riuscito ad emergere ed ora si divertiva in una squadra amatoriale.  Nel 2019 aveva scritto: “appena arrivato in Italia mi sentivo amato e apprezzato. Ora invece vedo intorno a me sguardi schifati per il colore della mia pelle. Neanche il cameriere riesco a fare». Il 4 giugno, il ragazzo si è suicidato nella sua casa di Nocera. I genitori si sono affrettati a dire: «Il gesto estremo non deriva da episodi di razzismo». Forse è vero, a vent’anni si può essere fragili per mille motivi, ma il contesto del disagio è ben descritto dalla lunga riflessione di Seid (voto 10, come avesse vinto la Champions).

Ma non solo italiani. In questi stessi giorni si ritiene che la giovane Saman Abbas, (a lei un 10 per quel coraggio misto a fiducia) di origini pakistane, residente a Novellara (Reggio Emilia), sia stata uccisa dai familiari perché lei non accettava un matrimonio combinato con un suo cugino. Saman era già scappata da casa e rifugiata in una struttura protetta di Bologna. Appena compiuto 18 anni, pensando di essere libera, e fidandosi di una qualche promessa dei genitori, è rientrata a casa e poi, probabilmente uccisa dallo zio.

Tre fatti di cronaca, terribili e disarmanti, che dimostrano quanta strada avremmo ancora da fare, se solo volessimo realizzare un mondo più tollerante.

Però voglio chiudere con un altro evento, certamente più lieto. A Lecce c’è un certo numero di residenti senegalesi, per lo più venditori ambulanti, a volte sulle spiagge, a volte alle feste patronali. Da oltre vent’anni conosco Paco, un ragazzo alto, snello e simpatico che con educazione mi salutava all’interno di un supermercato e sapeva chiedere le cose con cortesia e un sorriso. L’ho sempre chiamato Paco (non ricordo perché) anche se il suo vero nome è Latim. Nel frattempo, in questi anni si è sposato con una sua connazionale, Ndiiem. Mi ha cercato molte volte, in questi ultimi mesi, per salutarmi, annunciarmi la nascita della sua terza figlia, e anche per dirmi quanto si fosse fatta complicata la situazione economica. Un paio d’anni fa ero stato a Lecce alla festa della sua seconda figlia italiana e avevo trascorso un bel pomeriggio di musica e dolci africani. Paco ha superato i momenti più difficili, il 2 giugno ha tenuto un piccolo ricevimento con gli amici che in questo periodo hanno aiutato, nel loro piccolo, quella famiglia. Si può vivere nel rispetto reciproco, aiutandosi l’un l’altro, fosse anche con un sorriso. A te Paco, niente voto, sarebbe scontato ora. Ci vediamo tra vent’anni.

il Volantino, 12 giugno 2021

Alfredo De Giuseppe

 

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