2001-11-29 “Il villaggio delle ore Otto”, di Virginia Peluso, Nuove Opinioni

Mercoledì 21 Novembre (2001 n.d.r.) presentato all’osteria Adelante il libro “Ore otto sotto l’orologio” di Alfredo De Giuseppe con gli interventi di Gigi za, Carlo Cerfeda e Antonio Errico

Stasera l’Adelante ha aperto prima. Fuori due alberi di limone e due lanterne accese. Invitano ad entrare. Dentro è illuminato solo per riconoscersi. Quanto basta. E il profumo di mandarini sa di casa. Dietro il bancone Toni. Simone esce dalla cucina. L’atmosfera ti avvolge come quella di una vecchia osteria dove gli amici vanno a bere vino e a raccontarsi la vita. I camini sono accesi e, in fondo, tre botti fanno da scrivania. Davanti a loro le sedie di paglia sono disposte a platea. Poche donne (tra loro, anch’io) e diversi uomini ascoltano. Dietro le botti: l’autore del libro, il moderatore, il sociologo e il fotografo. Mi torna in mente l’ironia di una poesia di Prévert (Non bisogna lasciare giocare gli intellettuali con i fiammiferi. Perché signori miei se lo si lascia solo… il mondo mentale mente monumentalmente). La stessa ironia della voce del sociologo Luigi Za, la stessa di alcune pagine del libro. Ma non è gratuita, è salutare. È quell’ironia che serve nella vita per sdrammatizzare, per riderci sopra. Sopra noi stessi, alle nostre manie, ai nostri difetti, per vivere meglio, per sopravvivere. E non è per caso che Ore otto sotto l’orologio sia presentato all’Adelante invece che nella biblioteca comunale. Non lo è perché questo è un libro che non appartiene a una categoria, che un critico non può giudicare con lo stesso metro che si adopera per la letteratura. Questo è un libro da custodire come si fa con una vecchia fotografia in bianco e nero, come si conserva il primo quaderno delle elementari o le cuffiette di un neonato. Perché rappresenta come dice Za “la quotidianità del luogo”. Insieme al rito del caffè delle 8. E di rito aveva già parlato Antoine de Saint-Exupéry nel suo libro dedicato al “bambino che la persona grande era stato” (“che cos’è un rito?” disse il piccolo principe “anche questa è una cosa da tempo dimenticata” disse la volpe. “è quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso”). E Za ha anche sottolineato come “i riti della comunicazione tra gli umani ci aiutino a diventare più democratici e più civili”. Perciò il luogo dell’incontro è importante e, purtroppo, lo stiamo perdendo. “Ma ne esiste ancora una forma molto forte che è il centro del villagio. Ernesto De Martino diceva che bisogna avere sempre un villaggio nella memoria per non diventare apolidi. Un luogo in cui ritornare”. Per questo Za ha ritenuto il libro di Alfredo De Giuseppe importante. Definendo lo stesso autore un non apolide. “Perché solo chi non ha radici non si può aprire. Le radici ci fanno capire che conoscere un angolo del mondo è come capire il mondo”.

Questo concetto non è del tutto condiviso dal fotografo Antonio Errico. Per Errico ogni paese è unico. Ogni luogo è da fotografare. Ogni volto è da immortalare, e la bellezza fotografica è nella quotidianità. Linda Hand non è intervenuta ma dopo la presentazione per così dire “ufficiale”, ha spiegato come in ogni luogo puoi condividere la quotidianità e scegliere di abitare in un posto anziché in un altro non ti distacca né ti separa dal resto del mondo. E a sottolineare i tuoi pensieri c’è una foto di un volto tricasino esposta, a Firenze, nel museo storico nazionale dei Fratelli Alinari. Come a sottolineare che l’arte, le buone abitudini, i sentimenti non appartengono a un luogo soltanto e che esistono tradizioni che devono essere tramandate, trasferite.

Si è anche parlato di invidia. Sembra che sia un forte stimolante! Luigi Za ha invidiato l’autore per come è riuscito a descrivere la società tricasina, o meglio un suo spaccato. Antonio Errico, invece, per come alfredo De Giuseppe è riuscito, con l’aiuto della parola scritta, a dare voce ai volti da lui fotografati, a dare movimento, privandoli della staticità, del limite della fotografia. E non poteva mancare il pettegolezzo. Non il chiacchericcio di donnine di paese, ma quello “comunicato” come lo ha definito il professore Za. Il vecchio passaparola che serviva anche a tramandare le leggende, i fatti di famiglia. E dopo l’ironia, l’invidia e il pettegolezzo, il pubblico è intervenuto allegramente e con affetto verso l’autore. Perché la serata è stato un confronto tra amici, un parlare di cose che a ogni cittadino devono stare a cuore: le sorti del proprio paese e il suo avvenire, il villaggio al di sopra dell’individuo per Luigi Za, l’individuo prima del paese per Antonio Errico. Il moderatore, Carlo Cerfeda, ha concluso la serata leggendo la dedica che l’autore gli aveva scritto. Un augurio a essere sempre sotto quell’orologio, per campare a lungo negli anni e nella memoria.

Nuove opinioni – 29/11/200

di Virginia Peluso

Stampa

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.

Ok