Libere fenomenologie del 2023-05-27 - ...dell'Occidente di Cuba

Per capire le incongruenze dei Paesi più industrializzati, del G7, di quello che per comodità chiamiamo l’Occidente, basterebbe approfondire il rapporto con la piccola isola caraibica di Cuba.

Partiamo dall’attualità: da settimane il carburante scarseggia in tutta l’isola. Secondo il New York Times “la colpa sarebbe dei Paesi produttori che non ne hanno garantito la fornitura. E la debolezza dell’economia ha reso difficile importare diluenti necessari per raffinare il greggio di bassa qualità disponibile. All’inizio di aprile il Presidente Miguel Diaz Canal ha dichiarato apertamente che non sa come risolvere il problema”. La mancanza di carburante ha bloccato completamente il traffico automobilistico, con code chilometriche alle pompe di benzina, i tassisti chiedono tariffe esorbitanti e le università hanno optato per la didattica a distanza. Del resto il Venezuela, unico vero fornitore di Cuba è a sua volta in piena crisi economica. Negli ultimi anni, la pandemia e il concomitante inasprimento delle sanzioni economiche imposte dagli USA, hanno stravolto la principale fonte di sostentamento dell’isola: l’industria del turismo. Non si trovano facilmente prodotti alimentari e neanche medicinali, spesso manca l’elettricità per molte ore al giorno.

Questa è la situazione al maggio 2023. Ma da dove parte tutto questo? Da una considerazione molto semplice: Cuba non vuole rinunciare al proprio modello sociale, non vuole allinearsi all’american way of life, quindi la sua popolazione può morire di fame. Senza neanche che se ne parli più di tanto.

Cuba fu scoperta da Cristoforo Colombo nel 1492. Fu subito meta ambita per la sua bellezza e le sue ricchezze minerarie. Le gente nativa dell’isola fu schiavizzata nella quasi totalità e nel giro di appena un secolo sparì dalla faccia della Terra per le malattie causate dagli spagnoli e per le estreme condizioni di lavoro. Cuba per secoli fu terra di disputa tra spagnoli, francesi e inglesi, per finire poi all’inizio del Novecento nelle mani degli americani del Nord. Nel frattempo, nei secoli precedenti, erano stati importati dall’Africa migliaia di schiavi, che avevano sostituito i nativi cubani, nello svolgimento dei lavori più umili e specialmente nella raccolta del tabacco e della canna da zucchero. Il protettorato degli Stati Uniti finì per far diventare Cuba il buen ritiro di americani ricchi e vogliosi di natura, belle donne e rhum. (Hemingway è morto lì, suicida). Una specie di Las Vegas ancora più sregolata e ingiusta, dove regnava un sistema dittatoriale corrotto e giustizialista, ben voluto dal governo americano perché la dittatura aveva dichiarato illegale il Partito Comunista. In questo contesto avviene la rivolta di Fidel Castro e Che Guevara, che raccolgono il profondo dissenso dei contadini e di quasi tutta la popolazione che viveva sotto il terrore di Battista e del suo esercito. La vittoria di Castro significò nel 1960 la nazionalizzazione delle industrie americane e l’allontanamento dal potere dei funzionari più corrotti. Ma significò anche un’educazione scolastica per tutti, una sanità efficiente e gratuita, un’agricoltura cooperativistica e infine un’ottima gestione del territorio che fin lì era stato devastato dai predatori occidentali (ad iniziare dai legni pregiati).

Cuba è anche terra di uragani e tempeste, ma i residenti hanno imparato come difendersi e nell’ultimo terribile evento climatico del 2004 sono morte 4 persone contro le 30 nella sola Florida. I medici cubani vanno ad aiutare popoli ancora più poveri di loro quando c’è una crisi umanitaria, son venuti anche in Italia durante la pandemia. La Regione Calabria ne ha chiamati una cinquantina, alcuni mesi fa, per sostituire i medici italiani che scappano da quella Regione. Il sistema cubano non sarà il paradiso, ma non è neanche il posto peggiore del mondo.

Nell’ultimo G7 tenuto a Hiroshima, conclusosi domenica 21 maggio, si è parlato di armi all’Ucraina, di prezzi del petrolio e del gas, delle tensioni tra la Cina e Taiwan, tra Israele e Palestina, tra il Kosovo e la Serbia e poi di Afghanistan e Sudan. Per la verità si è anche deciso di mettere sul piatto 600 miliardi di dollari entro il 2027 per finanziare, insieme a capitali privati, le infrastrutture dei paesi in via di sviluppo al fine di ridurre il loro gap con i paesi avanzati, ulteriori 100 miliardi annui in fondi di finanza destinati al clima per raggiungere gli obiettivi dell’Agenza 2030. Altri fondi per la lotta alla fame e alle malattie endemiche, come la malaria. Però nessuno dei Paesi partecipanti ha osato parlare della grave crisi umanitaria ed economica di Cuba. Per non disturbare la democrazia degli Stati Uniti d’America che ha un’ossessione, una crudele e persecutoria mania contro quell’isoletta che decenni fa osò ribellarsi, che ha tentato di dare uguale dignità ad ogni suo cittadino. Una battaglia che Cuba ha inesorabilmente perduto, un’idea che forse rimane utopistica, ma forse proprio per questo non se ne deve parlare. Ora è ancora più isolata, i suoi abitanti vogliono scappare all’estero, dove pensano che il mondo sia migliore, dove le opportunità che si vedono nei film girati a Hollywood sembrano realistiche. Ora i cubani che resistono devono morire in silenzio.

 il Volantino  n 17– 27 maggio 2023

Alfredo De Giuseppe

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