074 - Il Quadrano di Tricase Porto - 2019-03-16

Esiste a Tricase Porto un posto conosciuto come “Quadrano”. Il nome deriva probabilmente da “Vetrano” per dire che il mare era trasparente come un vetro. È uno scoglio alto, c’è una grotta marina, fino a pochi decenni fa trovavano rifugio e refrigerio famiglie di foche monache. Era punto di accoglienza e smistamento per uccelli migratori, era uno scoglio magico, fra il Porto e la Serra, appena prima del Canale del Rio. Vicino a tutto ma lontano da tutto, riservato, buono per animali in cerca di privacy, uccelli, pesci, zanzare o umani.

Agli inizi del ‘900 fu concesso il permesso di costruire alla famiglia Cortese un immobile per deposito di tabacchi. Per quanto oggi possa apparire stravagante, il primo immobile aveva questa destinazione d’uso: un tabacchificio a poche decine di metri dal mare, su uno dei promontori più belli che guardano verso Corfù. Poi con l’avvento del fascismo quel magazzino di tabacchi divenne colonia estiva per giovani balilla. E i giovani balilla imparavano a fare tuffi, a immergersi e a nuotare nel mare più trasparente che c’era. Finito il fascismo finirono le colonie, si sa, e il manufatto cominciò ad essere diviso in tante piccole proprietà. Nel frattempo la famiglia Antonaci aveva costruito a ridosso del vecchio magazzino un bel palazzotto, la cui facciata dava sulla strada principale.

Agli inizi degli anni ’60 anche i tricasini scoprirono il senso delle ferie e quindi le seconde case al mare, anche se a due chilometri dal centro cittadino. Il “Quadrano” divenne in estate stabilmente abitato da un certo numero di persone, tipo un condominio. A metà degli anni ’70 nacque anche una discoteca cui venne dato il nome de “La Palma”. Il locale consisteva in una spianata di mattoni e un casotto in lamiera mal messo: la discoteca non era granché ma le serate con la luna piena divennero indimenticabili: il panorama, l’atmosfera che si creava era davvero unica. In alto le famiglie che mangiavano due frise al pomodoro sul limitar della casa, in basso la lenta risacca del mare e di fronte il bagliore della luna sulle lampare. Oggi sembra solo poetico, un quadro agiografico imbalsamato dal ricordo, ma era proprio così. Infatti “La Palma” non ebbe un grandioso successo e chiuse dopo pochi anni.

Verso la fine degli anni ’70 Vincenzo Cortese e Luigi Antonaci decisero di costruire un primo piano che comprendesse entrambe le proprietà per fare un albergo o un residence. Le cose non andarono come erano state immaginate e oltre lo scheletro in tufi di Alessano non si riuscì ad andare. Da allora poche cose sono cambiate: lo scheletro è sempre lì (anche lui fortemente danneggiato dal tifone del 25 novembre 2018), la proprietà Antonaci è passata nelle mani di Giorgio Tamborino Frisari di Maglie, dodici famiglie continuano a vivere le loro casette nel periodo estivo, uccelli e foche non si avvistano più.

Tricase Porto deve avere un grande problema con tutto ciò che viene concepito come albergo. Oltre all’albergo sul costone del Porto, tristemente noto per non essere mai stato albergo, e lasciato marcire per decenni, c’è questo scheletro del “Quadrano” che merita nuova attenzione. I due manufatti, nati per ospitare, chiudono lo sky-line di Tricase Porto, quella che possiamo definire la sua baia, in modo indecoroso. E come succede sempre più spesso al Sud, nella totale indifferenza dei più, politici, archistar, funzionari e intellettuali.

Il complesso immobiliare del “Quadrano”, nella sua interezza, può passare però dal degrado alla nobilitazione. Potrebbe diventare un fiore all’occhiello della costa salentina. Ci vorrebbero alcune condizioni: i proprietari decisi a vedere realizzato qualcosa di bello anche a costo di non monetizzare quanto ipoteticamente previsto; uno o più investitori di un certo livello, convinti di poter realizzare un’opera dalle grandi potenzialità, ma da trattare con attenzione e delicatezza; un’Amministrazione comunale che sappia guidare l’intero processo per definire al meglio la salvaguardia del paesaggio, unendo utilità e bellezza (e posti di lavoro, perché no?). Però dopo oltre un secolo dalla sua costruzione, dopo oltre quarant’anni dalla sopraelevazione del primo piano, dopo decenni di assoluto silenzio, non c’è più tempo. Bisogna intervenire subito, bisogna prendersi carico delle proprie responsabilità, ognuno per le proprie competenze.

Ci scommetto: ci sarà ancora un tempo in cui sarà possibile ascoltare un po’ di musica su una terrazza sul mare, dormire accarezzati dal rumore delle onde, tentare di osservare una foca monaca, senza disturbarla.

 

La mia colonna - il Volantino, 16 Marzo 2019

Alfredo De Giuseppe

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