2013-04-25 "2011, l'Italia (dis)unita galleggia nel default", recensione di Francesco Greco, da giornaledipuglia.it e italianotizie.it

Nel Belpaese del bunga-bunga, le Olgettine, Ruby e papi, che nei 150 anni della nascita scaccia l’infedele Berlusconi e si affida ai “tecnici” bocconiani di Monti,

non immaginando lo tsunami-Grillo, non si riesce a mettere su un gruppo che unisca l’Italia attraverso il ballo erotico, impudico, dionisiaco. Idea devastante,

sulfurea, destrutturante sotto l’aspetto filologico: vuol dire che l’Italia ha sprecato un secolo e mezzo passato a far finta di essere retoricamente uniti, in realtà

combattendo guerre sorde, e sordide, sottolineate dal razzismo. Sottinteso: Cavour e Garibaldi hanno perso il loro tempo.

Il povero Uccio da Montesano Salentino ce la mette tutta, come dice lui stesso: bevendo caffè, telefonando e sudando in palestra, cerca i vecchi compagni

del militare sparsi qua e là, ma il momento è topico, la crisi morde, lo spread fa i capricci, il default si profila all’orizzonte di un Paese cristallizzato nella

precarietà, pieno di choosy e zomby politici evocati da frammenti di tg che fanno da infida, iconoclasta e grottesca colonna sonora. Così uno, imprenditore,

ora fa l’autista ai cinesi che gli hanno comprato l’azienda, un altro la moglie lo vuole lasciare. Nada se la tira: prima fa soffrire Uccio (nella foto mentre piange)

e poi accetta di cantare ai suoi spettacoli: “Lei canta e io mi spoglio…”. Ma nessuno la vede.

“2011: Italia unita sex symbol”, di Alfredo De Giuseppe (in foto con la videocamera), imprenditore, scrittore, poeta, regista pugliese, è un film aspro, politico, che fissa un momento storico di passaggio, una transizione verso l’ignoto di cui oggi sappiamo sono stati traditi i presupposti essendo tornati, come nel gioco dell’oca, al punto di partenza più poveri e disillusi del novembre 2011. Una delle tante rivoluzioni fallite di cui è impregnata la storia patria.

Lo stile asciutto, sicuro, privo di barocchismi, rende l’opera (durata 60 minuti, prodotta da Perlesalento e distribuita da Salento Cinema: è stata appena presentata a Londra presso l’Istituto Italiano di Cultura) ancora più potente nel suo messaggio amaro, un affresco di grande forza dialettica. L’autore regge con mano ferma la storia che racconta e che procede su più livelli: politico, sociale, storico, esistenziale, etico, sociologico. Che si dividono e si intrecciano in un gioco di echi e risonanze scandito da estrapolazioni dai tg in cui i 150 anni sono festeggiati da Bossi con i gestacci “Mai più schiavi di Roma!” e Berlusconi che aggredisce i magistrati facendo la vittima. Quando la politica trascolora nell’horror, come un film Jodorowsky.

Lo sguardo dell’autore è disincantato e graffiante: come del navigato documentarista, coglie l’essenziale, l’humus profondo, l’anima delle cose e la fissa sullo schermo. Col senso della tragedia imminente dice che questa ormai è l’Italia, meglio rassegnarsi e non aspettare messia, guru, traghettatori. Curioso l’acronimo involontario (?) del titolo: Iuss (quelli che schiavizzano il Sud immerso dai suoi politici cancrenosi in un neo-feudalesimo senza speranza).

De Giuseppe ci consegna un documento di rara potenza e stile. Gli è riuscita una difficile sinergia: location, facce, parole ben scritte e recitate senza malizia né accademia, con lampi di fatalismo e disperazione che ne moltiplicano la potenza affabulatoria. In certi passaggi ha la forza dirompente del primo Pasolini (“La ricotta”, “Mamma Roma”) con i marginali delle borgate, ma anche la teoria del pedinamento sostenuta da De Sica e Zavattini che diceva agli autori di seguire le loro “prede” e di salire sull’autobus per vedere le facce. Un po’ “nouvelle vague” un po’ neorealismo alla Truffaut e “Ladri di biciclette”, un po’ il cinema sociale che viene da Oltremanica: da “Full Monty” (Peter Cattaneo) alle opere di Frears.

La faccia di Antonio Bitonti (Uccio) è intensa e drammatica. Rimasto senza padre da piccolo, la madre ogni tanto gli passava qualche soldo (“per pagare le tasse”), ma un giorno si ribella, si sposa e decide di metter su uno spettacolo. Addii a celibati, compleanni, spogliarelli scarseggiano: è la crisi, bellezza! Chiede aiuto al nipote Simone, laureato in Ingegneria, che vive da precario a Torino lavorando al bar dell’Arci e a Border Radio (poi lo assumerà un’azienda olandese a 4mila € al mese). “Qua è una depressione: non si sposa nessuno e le 5-6 fabbriche hanno chiuso…”. Per il suo sogno (“Qualche tv ci chiama e facciamo i soldi”) interpella un avvocato che lo mette in guardia dal non essere troppo esplicito nello spogliarello (“atti osceni, da 3 mesi a 3 anni”), un commercialista, che lo ammoscia con tutti i balzelli che dovrà versare, un comunista sospira: “Oh, Signore!”, il berlusconiano plaude: “Bella inziativa!”, il leghista propone “spogliarelli federali: la gnocca è la gnocca!”.

Confuso si arrende: “Tutto negativo!”. Andrà a Italia’s Got Talent, con la De Filippi (dea della tv monnezzara, berlusconiana) che ridacchia “Sei fisicato!” e la Geppy Cucciari che minaccia: “Se ci provi ti denuncio”. Oltre a Bitonti recitano Simone Baglivo, Beatrice Rosaria Baldari, Greta Ferruzzi e alcun personaggi in veste di se stessi. Bella la fotografia di Diego Silvestri e il montaggio di Juan Gambino.

Francesco Greco

 

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