2022-10 "Annibale, Vito e altri come noi.", recensione di Angelo Lazzari - 39° Parallelo

 

di Angelo Lazzari, 39° Parallelo, ottobre 2022

 La presente nota non vuol essere il frutto di un’analisi né storica né letteraria del romanzo “Annibale, Vito e altri come noi”, quanto una rapida e intima esposizione delle impressioni, che mi hanno accompagnato nella sua lettura.

Il lavoro di Alfredo De Giuseppe inizia con tre stacchi, che fungono da vera e propria premessa alle sequenze figurative, le quali, in qualche modo, stanno a significare una visione della vita e del mondo, che ha poco senso senza la consapevolezza della morte; la morte, che anziché rappresentare il limite dell’esistenza, diviene l’unica certezza della stessa.

Tale consapevolezza non può che condurre al cimitero, casa comune ineluttabile di ognuno di noi; il cimitero, come centro gravitazionale dell’Autore, diviene, perciò, il costante motore del suo racconto, che, in vario modo, talora aereato e pregante, significa l’unica voce della storia, narrata o sottintesa, delle varie vicende, così come realmente accadute o supposte. Il luogo dei ricordi lapidari diventa il vissuto di una quotidianità del borgo individuale e sociale, tipizzando volti, corrucci e sorrisi, autentico calendario della storia non narrata, ma eternamente vera; esattamente all’opposto di quanto respirava il Valéry nel suo Cimètiere marin.

Quindi, il volto della tomba come documento unico della storia, sudario essiccato, e quasi sempre appena sfiorato dal percorso accademico. Pure, dal rosario dei morti emergono i valori più autentici della vita, purificata dai limiti degli egoismi e delle falsità dei suoi protagonisti.

Scorrendo il diario temporale hanno inizio le sequenze di Annibale, racconto diaristico sparso di sortite politiche, etiche ed intellettuali, galleria e rassegna di vari momenti storici importanti, condivisibili o meno, spesso drammatici, e ancor più spesso assolutamente negativi, che hanno trascorso la storia della nazione dal 1945 al 2001.

L’Autore in ognuno degli episodi sotto lente, dal suo punto di vista, è andato alla ricerca di una possibile verità storica alternativa, tentando di scrostare il tutto dal sovrapensiero delle tendenze, ma, indubbiamente, animato da una fede coerente nel principio, cui non ha saputo, né voluto, rinunciare, partorendo, talvolta, un esito metastorico.

Caratteristica che accomuna la maggior parte dei personaggi, non sappiamo quanto elitaria, è l’esito drammatico della loro fine: morti violente, malattie inguaribili, eventi inattesi, quasi a significare che il filo della vita è sospeso tra quanto l’oscurità del destino racchiude e quanto la condizione umana produce. 

I vari personaggi, indotti a raccontare le proprie esperienze e missioni di vita, rimarcano costantemente, quale comun denominatore, un profondo angoscioso rimpianto del fallimento delle proprie azioni e dei propri ideali, tra ciò che poteva essere e ciò che è stato, intimamente convinti, alla fine, di essere stati il lunario delle appartenenze rinchiuso in quel cimitero paesano della lontana Tricase.

Dall’insieme emerge una raffigurazione delle varie situazioni molto soggettiva, sia negli esiti che nelle narrazioni, quasi che l’Autore avesse aspirato ad una riscrittura della Storia del Novecento, prescindendo dalla oggettività fattuale, prediligendo un nostalgico memoriale sul come il tutto sarebbe dovuto accadere, e relegando all’unica certezza della morte tutto l’accaduto.

L’analisi dell’insieme è permeata da una visione e da un sentimento totalmente laici, che se da un lato possono diventare un limite all’interpretazione degli eventi, dall’altro sottintendono un profondo e genuino amore per la libertà.

In definitiva, la biografia esistenziale apre e chiude nella cornice di un cimitero, povero e diseredato, ma autentico, come la vita e la volontà del suo narratore.

 

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