2001-01 "…non solo un oggetto d’amore", di Donato Margarito, La Busacca

In un certo senso la recente pubblicazione di Alfredo De Giuseppe, A volte bisogna scrivere, può essere considerata un libro di storia tricasina, costruito, però, da un’angolazione del tutto particolare. Sarebbe improprio cercarvi categorie storiografiche, canoniche o un disegno complessivo preordinato, volutamente ispirato alla linearità cronologica degli eventi raccontati. Il dato, infatti, che più colpisce nella scrittura di Alfredo De Giuseppe è l’antisistematicità delle enunciazioni, ragion per cui il racconto storico non può che essere schematizzato nella forma del “canovaccio aperto”. Ecco perché, valorizza e si nutre di elementi fortemente soggettivi (quali l’ironia, il sarcasmo, la goliardia giovanile, l’indignazione e l’eccentricità comportamentale) e anzi proprio su di essi elabora il suo procedimento discorsivo e, dall’altro evita di incorrere nei pericoli retorici dell’ufficialità celebrata e del municipalismo. Insomma la storiografia in questione è marginale, compiaciuta della sua architettura frammentata e delle sue dissacrazioni gioiose, conscia di essere diaristica ma con frequenti movenze di saggismo ipercritico moraleggiante.

Questa è la strategia costantemente adoperata: nell’analisi della politica tricasina e dei partiti ivi operanti; nell’inchiesta sociale, effettuata sul campo; nelle brevi note sulla questione meridionale; nell’indagine su molteplici aspetti che riguardano la mentalità e il costume locale; nella costante attribuzione allo sport e in particolare al calcio di un forte potere aggregante. Ognuno di essi offre lo spunto per una visione tendenziosa della comunità tricasina, che non è mai pura descrizione dei suoi connotati esteriori né una semplice ricostruzione oggettiva dei suoi meccanismi sociali e culturali di autoriproduzione. All’autore, infatti, non interessa una materia da osservare con spirito oggettivo o peggio ancora con scrupolo filologico. Questa procedura avrebbe potuto portare direttamente ad una identificazione conservatrice tra pensiero e realtà, tra analisi e organizzazione sociale, tra linguaggio e struttura economica. Non è mai stata questa, invece, l’intenzione esplicita di Alfredo De Giuseppe, animato da un controverso progetto che, per sintesi, potrebbe essere definito come la versione dilettantistica e giovanile di una dialettica negativa veemente e impietosa, tuttavia, nelle forme derisorie e beffarde già segnalate. Da questo punto di vista Tricase è non soltanto oggetto d’amore, la comunità verso la quale il forte senso di appartenenza simbolica induce l’autore ad attestati di considerazione esistenziale e sovrastorica, ma anche oggetto di decostruzione immediata e distruttiva, derivante dalla coscienza che pure la comunità propria, per la quale s’invoca un opportuno rinnovamento riformatore, è congiura, trama, consociativismo, appetiti clientelari, protezione accordata a ceti ed apparati locali della spesa pubblica attraverso la mediazione ordinatrice di un potere democristiano e pentapartitico che, a molti tricasini, ha dato negli anni addietro l’ossessione dell’incrollabilità.

Ora c’è da chiedersi se questo radicalismo permanente e immutato negli anni sia da considerare, in rapporto al passato e anche al presente, il gesto più appropriato di riforma sociale, di cui la comunità tricasina ha bisogno. Conosco, ovviamente, non da oggi tutto il dispositivo emotivo, culturale e ideologico di questa forma di radicalismo dai tratti estetizzanti, dalla vocazione testimoniale e solitaria, intriso di strano compiacimento per la propria estraneazione e, sotto sotto, non del tutto lontano da semplificazioni qualunquiste e posso dire, confermando una mia antica convinzione, che Tricase non aveva e non ha bisogno di tutto ciò. In fondo, credo che lo stesso autore sia pervenuto alla medesima convinzione, forse non ancora riconosciuta coscientemente. Infatti, quando crolla un’intenzione, legittimamente vissuta con intensità, il passo successivo può essere quello di abbandonarsi alla consolazione arcadica della scrittura. Mi auguro non sia questa la conclusione di un ingegno vivacissimo come quello di Alfredo De Giuseppe, di cui può aver bisogno sia Tricase che la sinistra del Capo di Leuca.

La Busacca – Gennaio 2001

Donato Margarito

 

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