2009-02 "Come una parte di un tutto", di Serena Laporta

E’ bello questo libro, a cominciare dalla copertina, in cui aleggiano tante sublimi creature, gli alberi, uguali  eppure diversi, cellule di un unico organismo, ognuna una parte di un tutto, come appunto “spesso è un paese” , anche se piccolo e unico ma con il suo patrimonio genetico tale e quale a quello del Paese.

Siamo nella piazza di Tricase,  al Caffé Pisanelli , che  è qualcosa di più  che un  qualunque luogo di ritrovo, non è solamente un bar,  è  piuttosto una sorta di club,  quindi significativamente elitario, rigorosamente maschile, in cui l’unica donna ammessa è Milena, musa mescitrice di caffé, debitamente “istruita” da Attrotto, il protagonista, sul cerimoniale mattutino al momento dei primi cappuccini.

Attrotto - con i suoi distinguo, i suoi tic, i suoi pregiudizi, la sua filosofia -  ha preteso di trasformare il Caffè  in una sorta di Transatlantico di periferia, in cui si muovono, purtroppo per loro sotto un dio minore, perché minore è il contesto, minore è il Sud, le mediocri  maschere della commedia politica locale. Ed è sempre lui, Attrotto, il consapevole emblema di un Paese in cui fare qualcosa per la comunità, per il solo piacere di farlo, per passione, anche gratuitamente, non è concesso.

L’autore  ci descrive con la leggerezza che gli è propria questo spaccato paesano, ma sono solo i suoi occhi che illuminano e trasformano  la scena in qualcosa di  tenero e a tratti comico, come le  foto che ha voluto darci tra le pagine,  ma di glamour, come invece dice Za,  c’è quasi nulla;  se qua e là ci vien da sorridere,   amarognolo è il fondo che rimane a fine lettura: in questa piazza, in questo paese troppi ex, ex comunisti, ex socialisti ex dc, ex grandi e piccoli imprenditori,  ex sindaci e consiglieri insomma alla fine  ci appaiono tutti la riproduzione in scala ridotta dei trasformismi e dei fallimenti d’Italia, tanti, troppi, di loro con un bel futuro alle spalle, proprio  come Attrotto: nel presente solo frustrazioni, disillusioni.

E proprio come specchio di un Paese che non svecchia, in questo Caffè Pisanelli assordante è l’assenza  delle donne, non so se l’autore ha deliberatamente deciso di ignorarle ma  certo è che latitano dal contesto, dal Caffè, dalla piazza e a certe ore del giorno. Possibile che  qui al sud le donne la colazione la fanno da qualche altra parte? la politica non la frequentano? o se lo fanno si guardano bene da condividerla al tavolino di un bar? il salto al Caffè prima di andare al lavoro non se lo sognano? possibile che le uniche trame che possono tessere forse sono quelle amorose, possibilmente extra coniugali, ben lontano dalle piazze?

Rimangono questi avventori da bar,  accuratamente catalogati e selezionati da Attrotto, convinti e contenti di far parte di un’elite, di una sotto-classe dirigente che dirige il nulla.

Rimane a vigilare,  così  in ogni luogo abitato d’Italia, un illustre antenato, appollaiato perennemente sul trespolo, invisibile, dimenticato seppur  perpetuo ospite di quella casa comune che è la piazza di ogni paese.

E ci rimane un’ultima  pagina dove l’autore relega un deliziosa poesia, come un fiore in un vecchio libro, segreto pegno d’amore verso la sua città.

Febbraio 2009

Serena Laporta

 

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