Libere Fenomenologie del 2023-12-23 ... dei Calvino, Levi e altri

 Su questo giornale cartaceo di otto facciate, che viene stampato da oltre un quarto di secolo, ho scritto per molti anni, ogni benedetta settimana (o quasi). Ho cercato di variare tra le sensazioni personali e le notizie del momento, tra il Mondo e il paesello, cercando di districare le bugie del potere dai dati di fatto storici, per come poi sono andati evolvendosi. È stato un impegno bello, gratificante ma che mi ha anche molto impegnato. Tra l’altro da questi brevi interventi sono stati pubblicati due libri: “Anni di getto” e “Oltre le mie colonne”, rintracciabili come altri sul web. La rubrica che in quest’ultima versione si intitola “Libere Fenomenologie” va in letargo e per ora cessa le sue pubblicazioni. Pur rimanendo vicino al “Volantino”, vorrei potermi esprimere solo quando ne sentirò la necessità o quando lo riterrò davvero utile e non come impegno fisso (non essendo tra l’altro un giornalista professionista). Ringrazio pertanto tutti gli affezionati lettori, senza dire addio, ma un più semplice “ci sentiamo di tanto in tanto”.


È chiaro che a volte la stanchezza ci assale e pervade ogni singola molecola. È chiaro anche che il nostro cervello è oggi molto più allenato di un secolo fa (forse anche meno) a ricevere stimoli, immagini, video, informazioni. Siamo più preparati, nella media, a gestire oggetti per la casa, strumenti tecnologici e fantasticherie voluttuose, dal cibo alla cura della nostra persona. Insomma siamo già esseri diversi rispetto all’immaginario che ci siamo fatti di noi stessi. Quella sedimentazione durata qualche millennio ci pare oggi stanca nella sua più comune interpretazione, forse dispersa nei tempi e nei luoghi più sconosciuti.

L’uomo è partito dalla pura sopravvivenza in mezzo agli altri animali, poi ha costruito gli imperi, le dominazioni di un popolo sull’altro, ha fatto importanti scoperte, ha capito come girano le stelle e i pianeti, ha infine conosciuto l’agiatezza delle cose costruite da lui stesso. E lì non si è fermato più, né poteva fermarsi, consapevole com’è della morte e quindi intrinsecamente votato all’autodistruzione finale.

Il Novecento è stato l’emblema della massima aspirazione al dominio, alla conquista, all’ingordigia e quindi alla distruzione del pianeta Terra, che pure è stato meraviglioso di doni e bellezza. Per un breve periodo, alla fine della seconda guerra mondiale, si è sperato che si potesse dare inizio ad un’era di pace tra i popoli, ma fu subito chiaro che la speranza era vana. L’unica promessa mantenuta fu il miglioramento delle classi meno abbienti, a costo però di uno straordinario stress quotidiano, di una foga consumistica che via via ha contagiato tutti, rendendoli quasi tutti infelici. È passato quel modello americano che è frutto, in definitiva, del vuoto di un popolo che non aveva Storia, non aveva coscienza di sé, e si è inventato il desiderio per l’oggetto più inutile, a sua volta desiderato da persone ancora più povere, che hanno ritenuto solo l’oggetto come paradigma della felicità. L’Occidente è stato il primo a perdersi dentro il sogno “consumistico”, poi di volta in volta, nel breve volgersi di un quarto di secolo, quasi tutti gli altri. Oggi è in vigore una vera e propria guerra tra i molti che non vogliono cambiare nulla intorno a questo sistema di cose e i pochi che vorrebbero un mondo migliore e non sanno ancora come fare, cosa fare, quale condivisione delle masse vada davvero creata. Quale costo si è davvero disposti a pagare.

Per queste feste c’è da augurarsi che anche con meno soldi ci sia più empatia, meno regali e più attenzione ai nostri simili, meno case e più alberi, più arte e meno guerre, più letteratura e meno twitt, meno cose intorno a noi e un po’ più di noi.

Cento anni fa, nel 1923, nasceva Italo Calvino. Vorrei chiudere quest’ultima “Fenomenologia” proprio con una citazione di Calvino, che insieme a Carlo Levi, Elio Vittorini e Pier Paolo Pasolini, rappresenta quell’intellettuale del Novecento italiano che ha saputo unire poetica e impegno civile, l’amore per le cose semplici attraverso lo studio della complessità, che ha intuito i processi evolutivi, mettendo in guardia dai pericoli dell’abisso del fanatismo. (Quanto ci mancano!).
Nel 1962 Calvino coglieva i danni già visibili del boom economico, sperava che qualcuno lo ascoltasse:
E' inutile che vi guardiate intorno cercando di identificare i barbari in qualche categoria di persone. I barbari questa volta non sono persone, sono cose. Sono gli oggetti che abbiamo creduto di possedere e che ci possiedono; sono lo sviluppo produttivo che doveva essere al nostro servizio e di cui stiamo diventando schiavi; sono i mezzi di diffusione del nostro pensiero che cercano di impedirci di continuare a pensare; sono l'abbondanza dei beni che non ci dà l'agio del benessere ma l'ansia del consumo forzato; sono la febbre dell'edilizia che sta imponendo un volto mostruoso a tutti i luoghi che ci erano cari; sono la finta pienezza delle nostre giornate in cui amicizie affetti amori appassiscono come piante senz'aria e in cui si spegne sul nascere ogni colloquio, con gli altri e con noi stessi.”

Dal saggio del 1962 di Italo Calvino, “I beatniks e il sistema” pubblicato anche sulla raccolta “Una pietra sopra” (Einaudi, 1980)

il Volantino  n 41– 23 dicembre 2023

Alfredo De Giuseppe

 

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