Libere Fenomenologie del 2023-09-16 ... della nuova sociologia

 

Possiamo affermare con una certa approssimazione che la Sociologia nacque con Montesquieu (1689-1756) che indagò approfonditamente le differenze sociali tra i vari popoli. Lui e Rousseau (1712-1778) anticiparono alcune analisi sociali riguardanti le disuguaglianze e l’uso della proprietà privata. A loro si unì Turgot (1727-1781) che adottò, nell'analisi dei fatti, il metodo cosiddetto positivo, ove è esclusa la possibilità di una causa sovrannaturale. Di grande importanza per il successivo sviluppo della sociologia, gli approfondimenti dell'economista Adam Smith (1723-1790) sull’analisi della divisione del lavoro e sui possibili benefici sociali provenienti dalla concorrenza mercantile. Adam Ferguson (1723-1816) fu uno dei primi ricercatori ad evidenziare, invece, i lati negativi indotti dalle attività ripetitive, mentre John Millar (1735-1801) anticipò alcuni punti fermi dell'analisi marxista sul rapporto tra attività produttive e idee.

In Italia, benché fossero presenti in varie università importanti sociologi, la prima facoltà di Sociologia venne aperta soltanto nel 1962 all'Università di Trento. La vivacità culturale data dall'incontro di studenti giuntivi da tutto il Paese portò l'Università di Trento ad essere uno dei centri della contestazione studentesca del 1968 oltre che del movimento femminista italiano. In quell’Università esercitava Francesco Alberoni, che sviluppava nelle sue lezioni la teoria definita dello stato nascente.

L'evoluzione della Facoltà di Sociologia di Trento è anche emblematica del ruolo che il sociologo ha occupato nell'immaginario collettivo italiano degli anni Sessanta e Settanta. In quel periodo si riteneva la Sociologia, piuttosto che uno strumento di interpretazione scientifica della società, come un avviamento all'azione di cambiamento della società stessa. In grado di unire all'osservazione puntuale dei nuovi fenomeni sociali, una vocazione critica e trasformatrice della società stessa, Trento fu territorio fertile per studenti impegnati, già allora o di poi, a Sinistra; per il successo di ogni sorta di intellettuali visionari”.

Nella realtà le cose sono andate diversamente. Francesco Alberoni nel 1979 pubblicò “Innamoramento e amore” che in definitiva chiudeva la stagione della contestazione collettiva. E noi, che allora lo leggemmo tutti, avemmo la stessa netta sensazione: era il manifesto di quel che poi fu definito “il riflusso”, cioè il ritorno all’introspezione personale. Alberoni è deceduto il 14 agosto del 2023 a 93 anni.

Neanche un mese dopo, precisamente il 9 settembre, è morto anche Domenico De Masi, altro sociologo di fama nazionale, più propenso di Alberoni alle apparizioni mediatiche, più allegro e distensivo, anche durante le sue lezioni universitarie. De Masi ha cercato durante tutta la sua carriera di intuire i processi della sociologia del lavoro e delle organizzazioni, alla società postindustriale, alla creatività come rimedio delle nuove alienazioni dovute allo sviluppo industriale. Nell’ultima parte della sua vita aveva ispirato al M5S l’adozione del reddito di cittadinanza, come segno di appartenenza generalizzato alla vita comunitaria di una società post-industriale.

Circa un anno fa, precisamente il 28 settembre 2022, ci lasciava il nostro concittadino Gigi Za, sociologo per lunghi anni presso l’Università del Salento. Benché avesse pubblicato importanti ricerche sull’Italia del Sud, Basilicata soprattutto, e Albania, conoscitore profondo di usi e costumi di vari popoli balcanici, Gigi negli ultimi anni aveva delle idee molto chiare sulla sua materia: “la sociologia non serve a nulla, meglio un ottimo romanzo che un elenco di dati statistici”.

In effetti quella che era nata come studio ideale della società e quindi misura per la trasformazione etica e positiva dei rapporti tra vari gruppi sociali, oggi è diventata una materia come le altre, che studia le organizzazioni umane e le istituzioni, utilizzando largamente il metodo comparativo, applicato in particolare alle società industriali complesse.

Questa breve riflessione nasce dalla lettura di un’intervista a Daniel Susskind, autore del libro “Un mondo senza lavoro” (Bompiani) che delinea tendenze sociologiche mai viste e vissute prima di oggi. Da almeno 300 anni, ad ogni innovazione tecnologica, ci sono smottamenti sul piano lavorativo, ma ora sta per concretizzarsi l’idea che moltissime funzioni - manuali e intellettive - potranno essere eseguite da macchine, con l’intervento umano ridotto al minimo. L’introduzione massiva dell’Intelligenza Artificiale nei  processi produttivi aprirà prospettive impensabili fino a pochi anni fa. Uno di questi risvolti è il tempo libero e come impiegarlo senza che si scivoli nella più totale alienazione: questo l’argomento principale del libro del giovane professore di Oxford. Alla domanda: “il lavoro non è solo fonte di reddito, per molti è anche il senso della vita”, il giovane sociologo/economista irlandese ha così risposto: “Grandi nomi del pensiero occidentale hanno analizzato il rapporto tra lavoro e senso della vita. Per Freud il lavoro era garanzia di ordine sociale. Per Max Weber una forma di evoluzione religiosa. Per A. Marshall il modo di accedere alla pienezza della vita. Di conseguenza non lavorare è un demerito, una vergogna. Eppure in altre società di diverse epoche storiche, il lavoro era considerato degradante. A Tebe, nell’antico Egitto, la legge vietava di esercitare qualsiasi attività commerciale per dieci anni prima di candidarsi alle elezioni. A Sparta, i giovani guerrieri dovevano astenersi da qualsiasi attività produttiva. Nella città ideale teorizzata da Platone i lavoratori non potevano occuparsi degli affari di Stato. Nelle antiche mitologie e scritture sacre, il lavoro era considerato una punizione. Oggi, invece, siamo talmente dipendenti dal lavoro che non riusciamo a immaginarci senza. Invito quindi a riconsiderare il rapporto tra lavoro e senso della vita, di come trascorreranno il tempo libero se non lavoreranno”.

Altro che Reddito di Cittadinanza, tra poco ci sarà chi pagherà pur di lavorare, perché si annoierà mortalmente su quel famoso divano. L’umanità si evolve, prende nuove strade, si accartoccia su sé stessa, a volte. La sociologia è tendenzialmente inutile, perché è sempre un po’ in ritardo.

 

 il Volantino – 16 settembre 2023

alfredo de giuseppe

 

 

 

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