Libere fenomenologie del 2023-07-29 - ...della nuova scala mobile

 

Parlando con un gruppo di amici di prezzi, di aumenti più o meno giustificati, di salari, di bonus e quant’altro, mi sono reso conto che pochi conoscevano il meccanismo della “scala mobile”, che pure fu molto importante dalla fine della seconda guerra fino a metà degli anni ‘80.

Cos’era in sintesi la scala mobile? Un meccanismo che ogni sei mesi adeguava gli stipendi e le pensioni all’inflazione, calcolata su un paniere di prodotti e servizi. Era l’unico modo, approvato da economisti e sindacati, per garantire la sostenibilità del tenore di vita in caso di aumento dei prezzi al consumo. Infatti nacque già nel 1946, quando la lira subiva una fortissima svalutazione e divenne nuovamente attuale e importante negli anni ’70, specie dopo le prime crisi petrolifere. C’è da aggiungere che dal 1951 al 1969 la lira divenne una moneta stabile, fissa nel cambio con il dollaro, gli stipendi erano adeguati al costo della vita e vi era una certezza mondiale sul valore delle materie prime. Quella stabilità economica favorì il boom economico, la ripresa e l’industrializzazione fino a far diventare l’Italia una delle maggiori potenze economiche del pianeta. La scala mobile non era argomento di dibattito politico, né era messa in discussione dalle Istituzioni monetarie, in quanto le oscillazioni dei prezzi per oltre 15 anni furono davvero minime.

Agli inizi degli anni ’70, in coincidenza con la presa di coscienza dei Paesi produttori di petrolio, con le rinnovate esigenze dei lavoratori e l’adeguamento ad alcuni standard di civiltà globali, i prezzi iniziarono a correre. Si arrivò, a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 con un inflazione che si avvicinava costantemente al 20%. Il costo dei prodotti di prima necessità aumentavano ogni giorno, i prezzi al dettaglio si modificavano con una velocità che spiazzò tutti, l’unica salvezza fu “la scala mobile” che riuscì in parte a calmierare l’impatto del carovita sulle famiglie del ceto medio. (Parliamo sempre del ceto impiegatizio, perché quello basso non ha mai avuto tutele e quello in alto cominciava a fare speculazioni miliardarie – dai terreni fino ai Buoni del Tesoro -).

Verso metà degli anni ’80 cominciò a farsi largo anche in Italia l’idea liberista che non poteva più essere lo Stato ad intervenire con leggi “socialiste” (vedi anche l’abolizione dell’equo canone) ma doveva essere il mercato a moderare le diseguaglianze, attraverso la naturale gestione della domanda-offerta. Su questo principio, su questa filosofia di fondo, sposata soprattutto da Thatcher e Reagan,  si è fondata purtroppo la politica dei decenni successivi e di conseguenza l’infelice situazione  attuale. Pure io lessi all’epoca il best-seller mondiale “Liberi di scegliere” scritto da Milton e Friedman che ispirò molti politici, molti industriali e molti poveri cittadini (sempre pronti ad un leggero masochismo).

Sull’onda di queste teorie monetariste, nel 1984 il governo presieduto da Bettino Craxi, con l’accordo di CISL e UIL (senza la CGIL), ne decretò di fatto l’abolizione. Il PCI di Berlinguer propose un referendum abrogativo della legge firmata DC-PSI, che gli italiani in maggioranza bocciarono, avallando la fine della scala mobile, senza indicare nessun altro meccanismo alternativo. La soppressione definitiva per legge avvenne col governo Amato, un altro socialista, nel 1992, forse anche in previsione delle riforme richieste per entrare a far parte del ristretto cerchio dei Paesi aderenti alla nuova moneta che si stava preparando, l’Euro.

Da quel momento in poi, i salari in Italia hanno continuato a perdere un sostanziale potere d’acquisto. Possiamo affermare che la povertà del ceto medio italiano è iniziata con quella sconfitta referendaria, che tra l’altro divise i sindacati, che, a loro volta, iniziarono ad essere solo delle propaggini dei partiti, vicini alle peggiori pulsioni autonomiste e loro stessi dei potentati lobbistici.

Ora si è di nuovo in una fase di inflazione, anche se con alti e bassi non facilmente controllabili. In ogni caso molti aumenti, vedi luce, gas, benzina, non paiono seguire davvero l’andamento del costo delle materie prime. Ci sono piuttosto degli adeguamenti correttivi su prezzi anche esageratamente bassi (basti pensare al prezzo pagato ai produttori di latte), ma spesso si tratta di articoli che hanno trovato un consolidamento in alto, anche quando in effetti si tratta di una vera e propria speculazione ai danni del consumatore.

 In ogni caso la verità è che l’Italia è l’unico Paese europeo che dal 1992 ad oggi ha fatto perdere gran parte del potere d’acquisto ai propri cittadini: la percentuale varia a seconda della modalità di calcolo e soprattutto secondo l’Istituto che lo effettua, comunque mai inferiore al 30%.

Una bella proposta per le opposizioni, (le mie sono gratis, non come quelle del liberista americanizzato Cottarelli) sarebbe quella di reintrodurre una “nuova scala mobile”, che nella fantasia lessicale italiana potrebbe chiamarsi in qualsiasi altro modo, purché faccia salvo un principio: gli stipendi e le pensioni si devono adeguare al costo della vita e non viceversa. Invece di dispensare bonus, aumenti irrisori e mance varie, sarebbe il caso di ridare il giusto peso al lavoro dignitoso e sufficiente per una buona qualità della vita. Perché a questi sapientoni che vanno girando a sparare sentenze bisognerebbe fare ogni volta una semplice domanda: come si fa a vivere in una città con 1.300 € al mese se una casa di 50 mq, tra affitto, tasse comunali, costi energetici e condominiali costa ormai mediamente intorno alle 1.000 Euro?

   il Volantino n. 27 – 29 luglio 2023

alfredo de giuseppe

 

 

 

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