2010-05 "L'ARTE del CINEMA", di Bianca Paris - 39° Parallelo

Sulla scia della cinepresa di Alfredo De Giuseppe, in ricognizione poetica di quelle fucine di varia umanità che sono le OSTERIE paesane.

 

In teoria tutti pronti a disprezzare le frasi fatte, i luoghi comuni.

Nella pratica tutti (fretta, pigrizia, indifferenza?) a guazzarvi dentro.

Per cui, le insegnanti? sedute in cattedra anche quando suggeriscono all’amica la ricetta della torta di mele. Le prediche dall’altare? lunghe e noiose. I ragazzotti? Te li raccomando: tutti internet messaggini e allergia ai libri. I migliori naturalmente, perché degli altri manco a parlarne. E via snocciolando.

Poi di tanto in tanto questo dolce rilassarsi sui cliché esplode e i luoghi comuni vanno a farsi benedire. Come meritano.

Da dove viene questo salubre scossone?

Viene da certi spiriti irrequieti, insofferenti della stabilità che, inquadrati per lavoro status sociale anagrafe in un qualsiasi schema,in quello ci stanno stretti.

Boccheggiano scalpitano. Aprono un varco e appena fuori, si dannano per fare qualcosa di diverso dal lavoro abituale che, ben inteso, non si sognano di abbandonare; e che anzi curano come e forse meglio di prima, in quanto la gratificazione tratta dall’impegno nuovo è ossigeno per quello vecchio.

Pare che il numero di questi escursionisti creativi in campi diversi, sia in crescita. Ma crescita o no, il fatto certo è che, per fare un esempio, l’imprenditore Alfredo De  Giuseppe da Tricase in quel novero ci sta alla grande.

Alto robusto, con la grinta giusta di chi sa il fatto suo, Alfredo ad uno sguardo superficiale appare davvero il classico uomo d’affari impegnato ad incrementare il profitto e insensibile al resto.

Ma l’impressione dura un attimo, perché sotto quel ciuffo ribelle di capelli brilla lo sguardo birbante e l’aria scanzonata di chi la sa lunga, ma lunga davvero per rassegnarsi agli schemi e ai recinti. È l’aria tipica di chi non riesce a prendere sul serio niente e nessuno, perché sa che l’esistenza è acqua fluttuante, dominata in gran parte dal caso che si diverte da matti a scompigliare i piani più meditati. E quindi tanto vale esplorarla in tutti i cantucci.

Non c’è che dire, questo è già uno sberleffo allo stereotipo dell’imprenditore tosto e compassato. Ma a frantumarlo del tutto, c’è il fatto -documentato- che, ad intervalli regolari, Alfredo sforna delle chicche artistiche nel loro genere piccoli capolavori, che comprovano la sua curiosità indomabile di spiare tutto lo spiabile.

L’ultimo, in ordine di tempo, è il cortometraggio girato sulle Osterie di Tricase – Porto e dintorni.

Detto così, sembra che la cosa si riduca ad un freddo documentario sull’incontro fra anziani ai tavoli dell’osteria, su cui si gioca per bere e si beve per giocare.

Vederlo quel breve filmato (dura meno di un’ora) è tutta un’altra cosa. La simpatia, proprio nel senso di voglia di calarsi nel vissuto dei protagonisti, avvolge la pellicola e sparge tutt’intorno quel calore umano che nei rapporti sociali di oggi sembra in discesa libera.

Prendete questa osservazione alla lettura.

Assistevo alla proiezione, mi beavo alla vivacità dei dialoghi, al sapore genuino delle battute, all’arguzia delle risposte, al disappunto del giocatore perdente, obbligato per regola a pagare da bere a tutti, rimanendo lui solo a bocca asciutta.

Assistevo, dicevo, a questo fermento di varia umanità, e il tutto mi pareva surreale, lontano le mille miglia dal formalismo che ormai domina le nostre giornate: incontri frettolosi, brevi saluti, banalità, promesse di rivedersi, puntualmente inevase da ambo le parti… E amen.

Perché la società di oggi non ha tempo da perdere, è più concreta bada al sodo. È la società del fare. Punto e basta. Con buona pace della calda convivialità a cui tutti sotto sotto aspiriamo. Ma c’è qualcuno che a questa perdita non si rassegna.

Sono i poeti, i pittori, i musicisti, o più semplicemente sono certi personaggi che vivono un po’ sopra le righe, per irrequietezza congenita, per voglia matta di cose genuine vive senza formalismi; tipi che forse non sanno di formare una bella cricca, ma la formano eccome. Con un denominatore comune: il disgusto per le etichette che sopprimono le differenze e le sfumature della diversità. E allora che ti fanno questi originali?

Rubano la vita degli altri, quella quotidiana casereccia, ne colgono le manie, gli aspetti caratteriali, i modi di andare in collera, gli sprazzi di intelligenza gli slanci generosi e le schiettezze.

Per farne cosa, si chiederà.

Per restituirli alla visione di coloro che magari vorrebbero guardare un po’ più a fondo la realtà, ma che presi da tutt’altro, le cose le sfiorano appena e passano oltre.

E in tal modo si lasciano sfuggire le scintille di vita che pure occhieggiano sotto la superficie delle apparizioni, degli scenari dell’esistenza.

A soffiare via quella polvere che l’abitudine accumula, strato dopo strato sulle cose e sulla sensibilità delle persone, maestra insuperabile è l’Arte. La prova sta nel fatto che attorno  ad un’opera pittorica, musicale letteraria aleggia come un’aria ossigenata. È il fascino del mistero che trasfigura tutto ciò che sta attorno.

Questo accade sempre con la grande Arte, quella che abita la casa delle Muse. Ma questo può accadere anche con l’Arte minimale, quella che, per intenderci, nella casa delle Muse riesce appena a far capolino dalla porta di servizio. E li si ferma.

Ebbene sì, anche lei, l’Arte in tono minore ha il dono di scuotere un po’ la polvere dell’abitudine; ci distoglie dalla tirannia del fare e ci fa intravedere qualcosa di vero di autentico.

Il cortometraggio di Alfredo ha tutti i titoli per entrare in questo piccolo tempio.

Chi non l’ha visto potrebbe dire: sì, d’accordo, ma che sarà mai. Le osterie le tipologie dei loro frequentatori sono cose risapute. Chi non le conosce?  Bella domanda, si fa per dire, perché è proprio su quella che casca l’asino.

Perché tutti, quando leggiamo un racconto una poesia un accordo musicale una pittura un film un cortometraggio, tutti, dicevo, NON cerchiamo cose nuove. NO. Noi cerchiamo cose che conosciamo benissimo, ma che desideriamo vedere e gustare attraverso le parole le immagini la musica proposte da altri.

Perché quello che pensiamo noi, singolarmente presi, dell’enigma dell’esistenza non ci basta. Sospettiamo che le cose stiano in tutt’altro modo. Vogliamo sapere in che maniera questa realtà appare agli altri: è più ampia più profonda più scura più rosea di come la vediamo noi? La curiosità ci punge. E dalli a bere avidamente le interpretazioni che ne danno uomini e donne, altri da noi.

I quali altri, se riescono a riproporle con quella grazia che aleggia nei dintorni del Parnaso, possono ben dire di averci donato un briciolo di gioia.

Alfredo con questa carrellata tra le Osterie tricasine ci è riuscito, eccome.

Ah, la verità di quelle facce segnate dal tempo e dalla fatica; rigate da quel sudore remoto spremuto con amore sulla terra natia, e con amarezza su quella straniera… E dove le mettiamo le vampe della convivialità che la telecamera di Alfredo ha fatto brillare intorno alle partite di carte? Dove le vampe di quegli sguardi accesi dalla fame di riscatto dopo una vita di lavoro e rinunzie; sguardi addolciti dal piacere di ritrovarsi insieme, amici e complici, nell’ora del relax all’osteria?

Quanta bellezza, amico Alfredo, ci hai regalato con questo tuo lavoro. Hai offerto uno scorcio significativo della storia tricasina. A tutti: a coloro che non lo conoscevano ma anche a coloro che, pur conoscendolo, fino a ieri lo hanno riguardato in modo opaco distratto attraverso strati di abitudine alti così.

39° Parallelo - Maggio 2010

Bianca Paris

 

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