2021-10 "Morti di lavoro, al tempo delle nuove schiavitù" - 39° Parallelo

 

 

Lunedì 27 settembre un signore di sessantotto anni di Tricase è deceduto cadendo da una scala. Pare che stesse tentando di salire su una pensilina per un piccolo lavoro di imbianchimento, senza che avesse le opportune modalità di sicurezza e senza una regolare attività dichiarata. Se così fosse, questo tragico caso, che pure ha scosso la comunità tricasina, non rientrerebbe statisticamente negli incidenti sul lavoro.  Dal 1 gennaio al 30 settembre 2021 ci sono state in Italia circa 800 “morti bianche” ufficiali, con un certo decremento rispetto agli anni precedenti nei primi sei mesi dell’anno ed un incremento in queste ultime settimane. Ciò probabilmente è dovuto alla ripresa abbastanza sostenuta dei lavori edilizi, delle manutenzioni e dell’economia in genere, in questa fase che sembrerebbe di uscita dall’emergenza Covid. Ci sono naturalmente tanti altri decessi collegati al lavoro che non sono contabilizzati, dal vecchio contadino che muore da solo mentre cura la sua campagna al pendolare che rimane coinvolto in un incidente stradale con un mezzo non di proprietà o a piedi.

Un dato significativo è quella della suddivisione per età: oltre il  50% delle morti si verifica nella fascia d’età che va dai 55 ai 67 anni, soprattutto nella popolazione maschile. Questa percentuale fa riflettere molto intorno all’approccio che si dà oggi al lavoro manuale nel suo complesso. Però altre statistiche ci possono aiutare ad inquadrare meglio la situazione: al Sud, in percentuale agli occupati, si muore più che al Nord, e il 70% degli infortuni avviene nelle aziende medio-piccole. Inoltre la provincia di Lecce è ottava in Italia in questa speciale classifica. Nella sola Puglia l’incremento di infortuni nei primi otto mesi dell’anno è pari al  54% rispetto al 2020.

 “Gli incidenti mortali – si legge nel rapporto Eurostat - sono definiti come quelli che portano alla morte della vittima entro un anno dall'incidente. In termini più generali, un infortunio sul lavoro è definito come un evento nel corso del lavoro, che porta a danni fisici o mentali della persona interessata. Il numero di incidenti in un determinato anno è probabilmente correlato in una certa misura al livello generale dell'attività economica di un paese e al numero totale di persone impiegate nella sua economia. I tassi di incidenza standardizzati mirano ad eliminare le differenze nelle strutture delle economie dei paesi.”.

Negli ultimi anni in Europa, i tassi di incidenza standardizzati più bassi sono stati registrati nei Paesi Bassi (0,7 per 100.000 lavoratori), Germania (1,1), Svezia (1,2) e Regno Unito (1,5). L'Italia si colloca al 10° posto con una media di 2,6 incidenti mortali ogni 100.000 lavoratori, un dato  superiore alla media Ue pari a 2,2.

Fino a qualche decennio fa non c’erano le attuali norme di sicurezza, eppure gli incidenti mortali sul lavoro erano inferiori a quelli registrati oggi. Le spiegazioni sono molte, ma su una dobbiamo concentrare la nostra attenzione: tutti noi corriamo di più, abbiamo fretta. Ha date inderogabili di consegna l’impresa edile, così come il padroncino con il suo furgone che ci porta il pacco di libri a casa, ha urgenza il committente che ha bisogno di mille autorizzazioni di legge prima di iniziare una qualsiasi attività, il singolo dipendente che spesso guadagna in relazione al risultato finale, il piccolo imprenditore di sé stesso che lavora nell’autonomia più incontrollata e pericolosa. Naturalmente c’è anche una parte di lavoro in nero, quello che si fa con l’amico, per arrotondare lo stipendio o la pensione minima, che si consuma quotidianamente senza mettere in conto le conseguenze sociali e sanitarie di tale “innocente” operazione. Ma mi chiedo: basterebbe il semplice rispetto delle norme sul lavoro e quelle sulla sicurezza per debellare del tutto questa tragedia quotidiana, questo stillicidio di poveri cristi, sacrificati sull’altare del lavoro veloce e del capitalismo feroce?  È un prezzo da pagare comunque e ovunque, come concessione fatalistica al lavoro moderno, quello inteso a basso costo, vicino alla pura sopravvivenza? Che morte è quella sulla strada del ragazzo che ha finito di fare il cameriere (a chiamata) alle tre di notte?

Se allarghiamo lo sguardo nel mondo, nel nostro pianeta, la situazione è ancora gravissima, direi quasi che lo sfruttamento, il dominio totalizzante è ancora in voga (ma con meno vergogna e indignazione). Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro 246 milioni di bambini (1 su 6) sono vittime del lavoro minorile, 73 milioni dei quali hanno meno di 10 anni. La tutela della loro sicurezza e salute è spesso trascurata: lo attestano gli oltre 25mila infortuni mortali sul lavoro che hanno come vittime bambini. In questi ultimi mesi è emerso che per costruire le tanto agognate batterie elettriche per le nostre nuove auto, migliaia di bambini africani scavano a mani nude dentro miniere approssimative. Un lavoro sottopagato e inumano che porta malattie e morte, spesso nascoste dalle autorità locali e dalle grandi aziende, come ad esempio la cinese Congo Dongfang  Mining International che è lo schermo dietro cui si nascondono tutti i grandi marchi automobilistici. L’unico modo che abbiamo per sopperire a tali nefandezze è girarci dall’altra parte, non vedere, fare finta che tutto stia procedendo per il meglio. Lì, in Africa, si muore per un piatto di lenticchie, qui si muore per poterci permettere il telefonino costruito con i materiali estratti da quei poveri ragazzi innocenti. Altro che morti bianche, qui parliamo di morti annunciate, di morti per lo schiavismo del consumo esagerato, figlio delle nostre quotidiane contraddizioni. La civiltà deve essere la moderatrice del consumo di ogni cosa, non la divoratrice di terre e vite umane, di alberi e animali, di pensiero e umanesimo.

39° Parallelo, ottobre 2021

Alfredo De Giuseppe

 

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