38 - Voti senza frontiere del 2021-12-18

  

Il calcio elettronico

Il calcio come paradigma della società, come anticipatore delle dinamiche di classe, come consolidamento delle abitudini quotidiane di ogni singolo individuo. Pensatori più o meno grandi, scrittori di ultima generazione e sub filosofi/copiatori seriali di citazioni di altre citazioni, la pensano più o meno così. Del resto quando parliamo di calcio, inteso come gioco, stiamo parlando del fenomeno sportivo più seguito al mondo, da almeno la metà della popolazione di questo pianeta.

Facevo queste scontate riflessioni serali, guardando qualche giorno fa su Rai2 la Domenica Sportiva (voto 3) uno dei tanti programmi dedicati ormai per il 90% del tempo allo sport omnivoro, il calcio appunto, condita di inutili discussioni sui centimetri, commentata da ormai patetici ex sportivi. E non potevo non fare riferimento al calcio dei decenni precedenti, non potevo non intrecciare alcuni suoi eccessi attuali con i comportamenti socio/economici del Novecento. Possibilmente senza farmi cogliere da nostalgie, ma al solo fine di notare le differenze sostanziali che dividono la nostra vita di oggi con quella di pochi anni fa.

In effetti oggi la differenza la fanno due cose: la tecnologia e lo strapotere dei superricchi. Nel calcio di oggi, quello milionario e televisivo, è stato introdotto il VAR (voto 1 a chi l’ha voluto), che non poteva che essere un anglicismo e cioè Video Assistant Referee, che si è aggiunto al GLT cioè Goal Line Technology che in meno di un secondo segnala sull’orologio dell’arbitro se una palla ha oltrepassato la linea di porta. Ora pare che si vogliano dotare gli stadi di un numero imprecisato di telecamere (almeno altre 50) per seguire in campo ogni singolo calciatore e ogni suo movimento in modo tale che, secondo la Bbc: “il sistema semi-automatizzato del fuorigioco possa raccogliere dati da 29 parametri per 50 volte al secondo e per ciascun giocatore. Il nuovo sistema dovrebbe essere non solo più rapido - con beneficio del ritmo della partita - ma anche più preciso rispetto all’attuale configurazione del Var”. E’ prevista l’introduzione del fuorigioco elettronico, già in prova alla Coppa Araba, che si è tenuta in Qatar dal 30 novembre al 18 dicembre di quest’anno (antipasto dei prossimi campionati del Mondo che si svolgeranno a  Doha e dintorni). Alla fin fine, quel povero omino che alza la bandierina diventa solo un figurante, una persona degradata ad ascoltatore di input che vengono dall’alto, uno che non si potrà permettere una sua percezione e segnalare un qualcosa ma solo rispondere automaticamente a ciò che gli viene impartito via radio. Povero Guardalinee  di una volta, divenuto nel tempo Assistente dell’arbitro e ora sbandieratore di impulsi senz’anima. Per ora almeno, perché in futuro le possibilità saranno moltiplicate, come ad esempio mettere un pupazzo vestito da arbitro, che in effetti sarà un robot che non sbaglia nulla, collegato con 500 telecamere, visionate tutte in contemporanea. E il pubblico pagante, da casa, sarà felice che non ci saranno più errori arbitrali. Queste super tecnologie sono gestite da super aziende che hanno sedi indefinite, che possono permettersi il lusso di avere la regia di tutto, senza dichiarare effettivamente qual è il luogo del controllo centrale, che a quel punto rimane anonimo e incontrollabile.

In tale scenario, in cui uno sport di squadra, complesso e fallibile, diventato una specie di gioco da Playstation, dove tutto è codificato e controllato dall’esterno, non può che diventare dominio di interessi feroci, di miliardi che girano per il globo in nome di uno sport che smette di esserlo per divenire uno dei business mondiali più importanti. E in tali interessi entrano senz’altro quello dei calciatori più famosi e dei loro procuratori, attori ormai famelici e senza alcuna etica se non quella di impinguarsi a dismisura. (Pare che qualche procuratore di calciatori guadagni stabilmente intorno ai 100 milioni di € l’anno). Le società più importanti, ormai costosissime da gestire, sono per lo più in mano a fondi sovrani di stati dittatoriali (Qatar compreso) dove il calcio, come da prassi storica, è il miglior stordimento per masse annichilite. Si sono buttate nell’affare anche delle società americane, giudicate da molti opache nella loro attività, senza una storia aziendale ben precisa, guidate da manager improbabili.

A parte i calciatori nati per strada (e non in provetta), i dirigenti appassionati e disinteressati, sto rivalutando addirittura Moggi e Co. che fino a qualche anno fa cercavano di condizionare gli arbitri, regalandogli qualche telefonino, aprendo e chiudendo una parentesi di monetizzazione quasi dilettantesca. Fanno quasi tenerezza di fronte a masse gigantesche di denaro, riversato su procuratori e calciatori robotizzati che devono soprattutto saper correre molto e infortunarsi il meno possibile, pur giocando ogni due-tre giorni, a notte inoltrata a dicembre o a mezzogiorno a giugno.

La partita di calcio, giocata in tanti nuovi Colossei ipertecnologici, esempio di lotta e sopravvivenza, di vittoria raggiunta all’ultimo respiro da eserciti coraggiosi, di abbandoni e tradimenti, di bellezza e lealtà, ora è anche il prototipo del futuro che ci aspetta. Il calcio popolare, quello delle terze categorie e delle promozioni, rimane confinato ormai in un alveo di nicchia, che interessa solo ai diretti interessati, senza alcun coinvolgimento collettivo che non sia appunto quello di una sparuta minoranza. Come con i partiti, come con la democrazia, abbandonarsi totalmente al tecnologico modificherà radicalmente il DNA delle nostre (già misere) esistenze.

il Volantino, 18 dicembre 2021

Alfredo De Giuseppe

 

 

 

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