Libere fenomenologie del 2022-11-26 - …dei PUG e dei PSC…

   

 

Quando l’Unità d’Italia prese corpo, uno dei primi provvedimenti a cui si pensò di mettere mano riguardava l’Urbanistica. Era il 1865, si varava una legge che voleva regolamentare lo sviluppo urbanistico-edilizio. Si tendeva ad unire culturalmente e amministrativamente il paese: si voleva in questo modo affermare la presenza dell'apparato pubblico in ogni parte della nuova Nazione, in modo omogeneo e legalitario. Nonostante la quasi totalità dei Comuni sia molto piccolo, non conosce ancora alcun sviluppo edilizio, si viva quasi esclusivamente di agricoltura, i legislatori del primo Parlamento italiano, ancora a Torino, pensano come fondamentale un regolamento che possa dare certezza del diritto e uno sviluppo basato su principi di igiene, utilità, conservazione e bellezza. Si definisce oltretutto il concetto di esproprio in relazione all’esecuzione dell’opera pubblica come bene primario per la comunità e quindi l'indennità di esproprio da corrispondere al proprietario, che “consisterà nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita”. In definitiva si trattava dei primi Piani Regolatori Edilizi che avevano la funzione di tracciare “le linee ad osservarsi nella ricostruzione di quella parte dell'abitato in cui sia da rimediare alla viziosa disposizione degli edifici”. Fra le prime città ad adottare un Piano Urbanistico figurano Cagliari, Firenze, Catania, Milano e Roma.

Questa legge, la 2248 del 1865, nonostante quel che si creda, fu abbastanza contrastata dai grandi proprietari, tanto che vi fu fino ai primi del Novecento un acceso confronto tra studiosi del diritto, circa la costituzionalità e la legittimità delle norme contenute nei Regolamenti Edilizi, che prescrivevano ai privati l'obbligo di richiedere l'autorizzazione all'autorità comunale per edificare nei propri terreni.

Tutto rimase sostanzialmente immutato fino al 1942, quando in piena seconda guerra mondiale, il regime fascista approva la legge urbanistica n. 1150 che istituiva a pieno titolo la formazione dei Piani Regolatori Generali (PRG), che dovevano interessare l'intero territorio comunale.

Nel 1951 fu votata la Legge 1402 che prevedeva, per i Comuni compresi in appositi elenchi (Tricase ad esempio vi era inclusa), l'obbligo di adottare entro tre mesi un "piano di ricostruzione"; attraverso successive proroghe, molti Comuni hanno potuto beneficiare di quel regime particolare fino agli inizi degli anni ottanta. Nei primi anni cinquanta del Novecento anni viene fondata anche Italia Nostra, la prima onlus ambientalista, con l'obiettivo della conservazione e della tutela dei centri storici e degli ambienti naturali, a dimostrazione che già nei primi anni del dopoguerra vi era la consapevolezza del disastro urbanistico-edificatorio verso il quale l’Italia si stava avviando.

In ogni caso tra rinvii e decreti tampone, si arriva al vero capolovoro italiano, la famigerata “legge-ponte”, la 765 del 1967 con la quale si pensava di costituire un tramite tra la vecchia Legge del 1942 e la futura riforma urbanistica. La "Legge ponte" cerca di portare un minimo di ordine nell'attività edilizia ed urbanistica: cerca di estendere la formazione dei PRG, limitando fortemente l'attività edilizia nei Comuni sprovvisti. L'innovazione fondamentale riguarda i cosiddetti "standard urbanistici", cioè la quantità minima di spazio che ogni Piano Regolatore deve inderogabilmente riservare all'uso pubblico e la distanza minima da osservarsi nell'edificazione ai lati delle strade. Però, guarda caso, durante il dibattito parlamentare, per evitare di scoraggiare l'attività edilizia, passa un emendamento che rinvia di un anno le limitazioni: è il cosiddetto anno di moratoria della Legge ponte. Dall'1/9/67 al 31/9/68 l'Italia è inondata di licenze: vengono approvati in un solo anno 8.500.000 di vani residenziali e tutto sembrò possibile.

Mi fermo qui con la ricostruzione storica (fonte: “Breve storia della legislazione urbanistica”) perché dopo il 1970, con l’istituzione delle Regioni, la materia è diventata più complessa, parcellizzata e ancora una volta più consona a interpretazioni personalizzate. Ne è riprova che attualmente quel che doveva essere un piano unico nazionale è legiferato a livello regionale con i più svariati acronimi: in Puglia si chiama PUG (piano urbanistico generale), in Lombardia è denominato PGT (piano generale del territorio), in Emila Romagna è PSC (piano strutturale comunale) e così via.

Il Sud, la provincia di Lecce, i nostri paesini sono naturalmente allineati verso il basso, verso le peggiori pulsioni politiche-affaristiche. Solo 18 Comuni della nostra Provincia hanno un Piano regolatore approvato e adottato, secondo quanto riportato dal sito della regione Puglia aggiornato al maggio 2022. Non sarò qui a fare l’elencazione della necessità di un piano regolatore generale che sappia coordinare un piano traffico in sintonia con un piano coste e uno ambientale, con una programmazione economica a lungo termine degna di questo nome. Non lo farò per il semplice fatto che è tempo sprecato, perché la cultura di base che abbiamo inculcato nei cittadini non accetta regole valide per tutti, ma solo la sistemazione degli interessi del singolo.  La relazione definita “CONSIDERAZIONI, OSSERVAZIONE E SUGGERIMENTI SUL NUOVO PIANO URBANISTICO GENERALE redatto dai tecnici di Tricase all’ipotesi di piano avvenuta qualche anno fa dall’Amministrazione Chiuri ne è la chiara dimostrazione (di fatto il documento ne bloccò l’approvazione). I tecnici sono a loro volta la voce distorta dei tanti portatori di interessi, ognuno col proprio sogno, ognuno con la casa più grande che c’è, con la propria attività, fino allo sfinimento di un territorio che non ha più possibilità di essere organizzato. L’attuale Amministrazione multicolore di Tricase, ad esempio, non sembra entusiasta di portare a conclusione un PUG: ci sono in corso di studio e approvazione decine di lottizzazioni, dopo vedremo che cosa ne rimane e allora decideremo. Come dopo una guerra, ci sarà da ricominciare tutto daccapo.  

 

il Volantino, 26 novembre 2022

Alfredo De Giuseppe

 

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