Libere fenomenologie del 2022-06-25 - Grillo & Co. all'implosione finale

 

In principio Beppe Grillo era un comico televisivo, che divertiva tra Fantastico e Sanremo. Poi fece una battuta sulle ruberie dei socialisti craxiani e fu allontanato dalla Rai. Da quell’ostracismo iniziò una serie di spettacoli teatrali durante i quali tra parodia e verità frustrava l’inefficienza, la corruzione e la mancanza di visione della classe politica italiana. Dal teatro passò al blog, tanto da raggiungere milioni di persone, non più le centinaia di un teatro tenda. Più il blog tirava, più gli spettacoli erano sold-out, con il pubblico sempre più convinto di andare ad assistere ad una specie di comizio liberatorio. Finché pure lui non si convinse di essere un genio della nuova politica, dal blog nacque un movimento che lui stesso definì Cinque Stelle. Siamo al 2009, arrivarono le prime elezioni, gli slogan erano di facile presa, ma il Beppe decise che non poteva candidarsi, perché lui doveva rimanere un megafono non l’attore principale che invece doveva diventare il popolo intero che attraverso il web avrebbe finalmente espresso una democrazia diretta e non più rappresentativa.

A quel punto, venendo meno la figura di Beppe Grillo come possibile candidato alla guida di un Paese democraticamente gestito da milioni di rappresentanti, ecco emergere dal nulla Gianroberto Casaleggio che era a capo di una modesta azienda di software che aveva avuto il solo merito di curare gli aspetti informatici del “sacro” blog. La “Casaleggio&Associati” infatti aveva un fatturato di poche decine di migliaia di euro e lo stesso Gianroberto aveva tentato la carriera politica nel Comune in cui risiedeva, Settimo Vittone (TO), con una lista civica vicino a Forza Italia, ricevendo numero 6 preferenze personali. Però, anche lui non si candida direttamente nel M5S ma ne diventa il “Guru”, colui che parla poco e sa tutto, colui che indica la direzione e controlla tramite il web i suoi iscritti, parlamentari, confezionando, magari attraverso siti paralleli, fake-news e artificiose trovate partecipative, e poi una democrazia interna intesa come obbedienza insieme a sgrammaticature istituzionali e lessicali.

Con queste premesse il successo delle Politiche del 2013 invece di diventare l’innesco di un vero cambiamento, diventa una burletta all’italiana. Non esiste un vero leader in Parlamento, non esiste un progetto organizzativo del movimento, ma solo idee ben confuse da slogan illusori ripetuti troppe volte e con troppa disinvoltura. L’assenza di una classe dirigente che sappia davvero scegliere e tenere la barra dritta su diritti e cambiamento è drammatica per il Movimento stesso e per l’Italia intera che diventa ancora più ingovernabile e quindi più soggetta al governo di tutti e nessuno.

Infine il grande successo alle elezioni del 2018, con la voglia estrema di governare, con chiunque, purché ci sia da spingere qualche bottone. Questo è il nuovo credo del M5S, ormai orfano del defunto Gianroberto, ma non della piattaforma Rousseau (condotta per dinastia dal figlio Davide) che impone regole strane, bara sui numeri, zittisce chi dissente. E allora parte la diaspora, chi vuole la destra e chi la sinistra, chi parte per il Sudamerica e chi va in doppiopetto anche in spiaggia. Si tira fuori dal cilindro un avvocato e professore universitario, Giuseppe Conte, sconosciuto ai più, mai schieratosi con nessuno, e diventa il Presidente del Consiglio. Dapprima con la Lega di Salvini e poi con il PD di Zingaretti e con Italia Viva di Renzi. Quando si intravede la crisi più nera si arriva a Draghi, passando dunque dall’odio razziale e anti-europeista all’establishment bancario ed europeo, dichiarando ogni volta la ineluttabilità della scelta. E naturalmente confondendo fino alla schizofrenia i tanti elettori, i tanti volontari territoriali, i tanti sostenitori, che a loro volta, ormai rassegnati, hanno seguito ogni balletto e ogni divisione senza una vera mobilitazione rabbiosa. Nella logica della lenta dissolvenza, della continua fuga verso il vuoto politico, che l’Italia offre ormai da decenni.

Dopo anni di litigi, divorzi, cambi di casacca, intruppamenti e giravolte, ora il giovane Di Maio (che sembra più vecchio di Bersani) è schierato da mesi contro il nuovo capo politico, quello stesso Giuseppe Conte che, a suo tempo, lui aveva fortissimamente voluto (forse per arginare lo strapotere quasi manicale del duo Grillo-Casaleggio?). In queste settimane lo strappo si è consumato sull’invio delle armi in Ucraina: Di Maio fa il Ministro degli Esteri omologato alla Nato e Giuseppe Conte gioca a fare il contestatore pacifista. In ogni caso parti in commedia al solo fine di ritagliarsi una leadership comunque rattoppata: Di Maio ha creato un nuovo gruppo parlamentare “Insieme per il futuro” e Conte è stato eletto capo politico dei 5S attraverso una votazione con un solo candidato, escludendo definitivamente la famigerata piattaforma di famiglia. Insomma un casino organizzativo e politico, imploso sulle “disorganizzazioni illuminate” volute dai fondatori.

La consunzione del M5S è un grave danno, anche per chi come me ne ha sempre evidenziato limiti e contraddizioni. Evidentemente la genesi di un partito o di un movimento pesa per sempre nella sua vicenda politica. Quella decisione di non esporsi direttamente da parte di Grillo e Casaleggio e di avere a disposizione una schiera di onesti e imberbi ragazzotti ha generato una serie di equivoci a catena che lo ha portato all’autodistruzione.

Eppure l’Italia avrebbe bisogno di un vero movimento ecologista, basato su solide basi scientifiche. Avrebbe bisogno di un partito lontano dai compromessi para mafiosi e dalle semplificazioni mediatiche. L’Italia avrebbe bisogno di un qualcosa che non nasca sulla rabbia, l’egocentrismo e le paranoie di un singolo, ma su una vera consapevolezza di massa. Certo, la vicenda 5Stelle non aiuta ad avere fiducia e questo rimane il peccato più grave per un intero movimento di popolo.

il Volantino, 25 giugno 2022

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