127 - I Blues Brothers a Tricase Porto - 2020-07-04 (+video)

Ho ritrovato un video dei primissimi anni ‘80. Una di quelle cose goliardiche girata fra amici vitelloni, trasferendo i Blues Brothers da Los Angeles al Porto di Tricase. E viene spontaneo chiedersi cosa rappresentò l’inizio di quel decennio per la nostra generazione, quella dei ventenni, quella delle contestazioni, del movimento studentesco, della politica totalizzante. C’era una gran voglia di voltare pagina, dopo gli anni di piombo, le morti politiche, le ideologie contrapposte in tutte le piazze.
Si tentava di venirne fuori. Eppure il 27 giugno 1980 cadeva un aereo con 81 persone a bordo al largo di Ustica, probabilmente abbattuto da un missile e il 2 agosto una bomba esplodeva nella sala d’attesa della stazione di Bologna causando 85 morti e circa 200 feriti. Si tentava di uscire da una stagione stragista ma l’Italia era ancora impantanata dentro le sue guerre fredde e calde, dentro i suoi misteri, nel bel mezzo di una contesa mondiale in cui rappresentava la frontiera, quel confine che non doveva essere superato. Dal mare un Medio Oriente irrequieto, ad est una cortina di ferro dei paesi comunisti: in definitiva una democrazia dimezzata dai fattori internazionali.
A gennaio Ronald Reagan, un ex attore di film di serie B, era diventato presidente degli Stati Uniti, il primo a esprimere compiutamente il concetto che la società non può essere ugualitaria, che lo Stato non protegge tutti, che i ricchi vanno aiutati a diventare sempre più ricchi. Che il mercato saprà trovare le giuste misure della povertà e della ricchezza, perché i ricchi hanno bisogno di lavoratori e i lavoratori in genere sono dei buoni consumatori. Con questa filosofia l’America del sogno democratico finiva definitivamente: c’era spazio per il riarmo, per gli embarghi commerciali e per le disuguaglianze più estreme. Con il 1980 sorge il sole del mondo nuovo, quello del politicamente scorretto, quello della spesa incontrollata, della finanza allegra e scommettitrice su sé stessa.
Nel 1980 Umberto Eco pubblicava “Il nome della rosa” (un capolavoro) e apriva un filone che non si è più fermato e soprattutto l’editoria perdeva le sue certezze della divisione in categorie ben precise. Così come la televisione commerciale cominciava ad avere sempre più importanza, trasformando anche la RAI. Il mondo che era stato bloccato fin dal 1945, con l’arrivo degli anni ottanta subirà violenti scossoni, culturali, sociali ed economici, fino ad arrivare alla fine del decennio all’abbattimento del muro di Berlino e all’implosione non violenta dei sistemi comunisti sovietici. Nello stesso anno il terremoto dell’Irpinia, oltre a provocare oltre 3.000 morti, induce lo Stato a organizzare una Protezione Civile. Il governo era nelle mani sicure della DC, prima con Cossiga e poi con Forlani, in Puglia comandava Nicola Quarta (scomparso pochi giorni fa).
Io ero nel mio Sud, con un manipolo di amici resistevamo, studiavamo il cambiamento da un angolo nascosto, ancora neanche scoperto dal turismo industriale. L’emigrazione verso l’estero stava per finire, si coltivava ancora il tabacco, ma non si andava più a fare l’estate nelle masserie della Basilicata, si costruiva molto ma, come al solito, molto disordinatamente, e con dovizia di particolari personalizzati sulle esigenze dei potenti del tempo. I ragazzi studiavano fuori sede, iscritti finalmente alle Università in un numero adeguato ad un’ipotesi di sviluppo sociale. Nel 1980 iniziavano i lavori di ampliamento del porto di Tricase, c’era il primo raduno bandistico, una rassegna che per alcuni anni raccolse un certo successo provinciale.
Quel video amatoriale, quello scorcio di cinema casalingo, girato con una delle prime camere Sony Betamax SLF1 (di proprietà della mitica Pick Pack) mostra una Tricase ancora antica ma già proiettata come una lumaca verso i nuovi commerci. C’era ancora il distributore Esso in Piazza del Popolo e il Jazz Bar al posto dell’attuale Juventus Club, dove spesso si suonava e ci si ritrovava per un nonnulla. Il sole sembrava più luminoso e le ombre più nette, come se la realtà si percepisse in modo più chiaro. Mentre il film Blues Brothers modificava le modalità di girare un film sulla musica, in Italia, a Sanremo vinceva ancora Toto Cotugno, a Tricase si tentava di capire come uscire dalla crisi, o meglio, come affacciarsi alla modernità. Se fai una breve ricerca sui giornali dell’epoca emerge un paese arroccato su posizioni conservatrici, sulla gestione della politica clientelare, sulla mancanza di programmazione.
Al contrario di quel che può sembrare, al di là della bellezza della giovane età, non ho grandi nostalgie per quel momento storico, nessuna brama di festeggiare il quarantennale. Per un motivo banale, eppure spesso sottaciuto: era chiaro già in quel momento che quel sistema era corruttibile, inquinante, fasullo e impropriamente basato sulla credulità popolare. In pochi ne soffrivamo, altri lo promuovevano, i più lo accettavano. Nessuno osava prenderne compiutamente le distanze e trovare le giuste contromisure. La situazione attuale è figlia di quella fragilità intellettuale, di quell’analfabetismo funzionale, di quella logica “mafiosa” che ha permeato le società del Sud Italia dall’unificazione in poi. Solo così trova spiegazione l’eterna difficoltà di emergere, di non annegare dentro lo stupidario collettivo, che spesso diventa terreno fertile solo per i furbi, i delinquenti e i politicanti di professione.
 
 
La mia colonna - il Volantino, 4 luglio 2020
Alfredo De Giuseppe

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