102 - Il depuratore in mezzo al PUG - 2019-12-07

Giuseppe Codacci Pisanelli, costituente, rettore universitario, deputato e anche ministro, nonché per dieci anni sindaco di Tricase, aveva due grandi problemi: non credeva nello sviluppo turistico del Salento (“troppo scirocco”) e aveva dei terreni sulla strada per il Porto che considerava delle ottime rendite agricole. Questi suoi due convincimenti hanno inciso notevolmente nelle scelte delle nostre contrade.

Partendo da questi assunti, agli inizi degli anni ‘50, i suoi terreni non erano in vendita mentre altre famiglie possidenti cominciarono a renderli edificabili, vendendo in modo massiccio lotti piccoli e grandi, per lo più piccoli, per case senza giardino, parcheggi e marciapiedi. Codacci non diede importanza: che si costruisse pure, purché non si toccassero Porto e Serra. Le sue idee, mascherate sempre da un atteggiamento molto english, erano le idee della DC dell’epoca, della stragrande maggioranza di pensatori, consigliori ed elettori. Si lottizzava e si vendeva in ogni dove, escluso sulle strade che portavano alle marine. I Lavari divennero un quartiere sott’acqua ma nessuno pensò di fermare la speculazione; il rione san Leonardo un reticolo di strade inferiori ai 4 metri; la zona stazione una miriade di casette, senza neanche uno spazio verde o destinato a servizi vari. E così fu costruito tutto il paese, e le sue frazioni (ancora peggio, se possibile), senza un’idea precisa, con una scarsa propensione allo sviluppo e alla bellezza. Tutti erano contenti: gli emigranti finalmente potevano farsi una casetta; gli impiegati avevano la doppia villa; gli artigiani lavoravano tutto l’anno; i pochi tecnici diventavano ricchissimi; il partito di maggioranza consolidava il consenso. Uno scempio disorganizzato e tollerato del territorio, declamato dalla classe dirigente come necessità abitativa e come motore dell’occupazione. Da lì partiva il riscatto del nuovo Sud, quello industriale e commerciale, tutto da costruire.

Tanto per confermare questa visione della città, il depuratore a metà degli anni cinquanta viene progettato sulla strada per il Porto e lo scarico finale nella più bella insenatura del territorio (dobbiamo poi aggiungere che quel depuratore non ha mai funzionato perfettamente e la nostra costa ne è risultata fortemente compromessa - vedi relazioni Legambiente). L’unico tentativo serio di porre rimedio al far-west che si andava sviluppando lo mise in atto il Sindaco Cassati nel 1960: chiamò l’urbanista bolognese Marcello Fabbri (che si era proposto fin dal 1956) e cercò di mettere ordine con un Piano regolatore di una certa lungimiranza, anche se lo stesso teneva ormai conto del principio, politicamente condiviso, di non immaginare Tricase come città di mare. Cassati non poté comunque attuare il piano, si dimise e tutto ritornò come prima. Nel 1974 fu adottato un Piano di fabbricazione che fotografava l’esistente e lasciava ampio spazio a tutte le discrezionalità politiche/affaristiche che di volta in volta si sarebbero presentate. Nel 1977 fu poi pensata la circonvallazione, detta Cosimina, che invece di essere vissuta come opportunità di sviluppo, venne progettata e abbandonata per anni come un’ulteriore cesura fra il mare e il paese.

Si poteva avere uno sviluppo armonico della città, uno sbocco ordinato verso le marine, un porto turistico e magari uno commerciale, invece hanno prevalso interessi grandi e piccoli. Quei pochi che osavano dire queste cose già all’epoca erano tacciati di disfattismo, e comunque ben lontani dalla gestione della cosa pubblica. Quando, ancora oggi, sento nell’aria tanta nostalgia per i partiti di un tempo, per la DC soprattutto, devo ripetere che il disastro attuale è figlio di quell’epoca, di quella stagione di furbastri travestiti da politici, di affaristi senza regole ben insediati all’interno delle stanze del potere.

In questi giorni si è ritornati a parlare di Piano Regolatore. L’amministrazione Chiuri, senza una vera maggioranza, sfilacciata in ogni sua visione strategica, con l’aiuto del M5S, spera di riuscire ad approvare il nuovo strumento urbanistico. Non so se davvero porteranno a conclusione l’impresa, ma è certo che la situazione attuale è figlia delle scelte operate decenni fa. Dai pochi consapevolmente furbi e dai molti colpevolmente inconsapevoli (e per questo litigai più volte con quel puro democristiano che era mio padre). In ogni caso non si può partire con un disegno della città, con una visione futuribile senza conoscere la storia, la genesi del disastro ambientale ed economico che abbiamo vissuto in questi anni.

A tutti i consiglieri comunali, i tecnici e i funamboli della politica suggerisco di informarsi, leggere, studiare chi siamo, da dove veniamo per poter intraprendere un percorso davvero virtuoso, per la prima volta. Su questi argomenti c’è un bel libro del 1998, in piena era Ecclesia, di Sergio Bonamico (Sua maestà la lottizzazione) e una decina di articoli sul mensile Nuove Opinioni (di particolare interesse uno speciale del 1982 curato da Francesco e Caterina Scarascia, durante l’amministrazione Serrano). Io li rileggerei prima di pensare ad un piano strategico, valido per le prossime generazioni. Tricase non ha adeguati strumenti urbanistici, chiari e semplici, l’Italia cade a pezzi, fra burocrazia e malaffare, i nuovi politici non hanno memoria e rischiano di mandarci tutti nel baratro della povertà intellettuale. Eppure non rimpiango il muro di Berlino.

 

La mia colonna - il Volantino, 7 dicembre 2019

Alfredo De Giuseppe

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