073 - Le primarie dei partiti senz'anima - 2019-03-09

Nel 1993 si tennero a Tricase le elezioni amministrative, le prime con elezione diretta del Sindaco. Vinse Luigi Ecclesia che poi resterà in carica fino al 2001. Appena prima di quelle elezioni, in quella fase convulsa che poi fu definita il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica avevano un certo dinamismo le sedi dei partiti tradizionali. C’era il PDS (i democratici di sinistra orfani del simbolo del comunismo), il PSI agli ultimi momenti di Craxi segretario, il PRI, il MSI e naturalmente la DC. Questa era ubicata nella storica sede di Via Santo Spirito, qualche metro prima c’era il PDS mentre il PSI era in via San Demetrio. Sempre all’interno del perimetro del centro storico c’erano anche le sedi dei Repubblicani (roccaforte dell’avv. Ippazio Cazzato) e dei missini (rappresentati da Vito Citto). E non dimentichiamo che anche le frazioni di Lucugnano, Depressa, Tutino, Sant’Eufemia e Caprarica avevano le loro vivaci sezioni di partito. Alle soglie del berlusconismo, Tricase aveva molte sedi di partito, spesso l’una contro l’altra armata. E al loro interno vi erano altre battaglie fra minoranze e maggioranze, non sempre ben educate o in punta di fioretto.

Lungi da me difendere quel sistema partitico che aveva stancato tutti e che fu spazzato nel breve volgere di una stagione, quella di Mani Pulite, perché in realtà nessuno aveva più il coraggio di difenderlo. Un sistema, è bene ricordarlo, che ci aveva portato verso la gestione allegra delle finanze pubbliche, il cui enorme debito è ancora tutto sulle nostre teste e che stava portando lo Stato italiano verso una clamorosa bancarotta, la prima di un grande paese occidentale dopo il dopoguerra. Lungi da me difendere quella prima Repubblica che era anche condita di stragi di Stato, collusione con le mafie, diffusa corruzione e un enorme dose di ipocrisia, in salsa confessionale. Voglio solo esprimere il mio personale gusto di vivere, in molte sere dell’anno, un centro cittadino vivace di politica: potevi saltellare in pochi metri da una sede all’altra e sentire le urla di qualcuno, a cui non stava bene la posizione del suo partito, grida, dimissioni, allontanamenti e infine, compromessi. Discussioni che continuavano accese, contorte e difficili agli angoli precostituiti del paese, posti fra il Bar Dell’Abate e la Torre della Pro-Loco. E poi dibattiti, incontri e politica alla Biblioteca Comunale, ancora al centro, al piano terra, in Via Toma, buona pure per il gruppo di tifosi juventini, che si soffermavano incuriositi per pochi minuti.

Strade, sedi, uomini, facce e articoli, mi son tornate alla memoria passando domenica 3 marzo davanti al seggio delle primarie in via San Demetrio. E annotavo alcune differenze: nessuna vera passione, nessuno è davvero arrabbiato per qualcosa, nessuno dice una cosa talmente nuova da essere preso in considerazione, magari deriso. E manca anche il personaggio pirotecnico che un tempo arricchiva le questioni sociali di un tocco di vero, antropologico umanesimo. Tutto pare scorrere secondo regole scritte altrove, rispettate senza capirne fino in fondo le vere motivazioni. L’assenza di passione rende inutile qualsiasi impresa, la rende sterile, asfittica e difficilmente trasmettibile. La passione che vada oltre il proprio interesse personale, che ne sia anzi un ostacolo, non alberga più nella nostra società e questo rende tutto dannatamente più complicato, perché ognuno fa una partita per sé, senza vere aperture all’altro. Questa catalessi collettiva la si nota in ogni situazione, dai partiti ai sindacati, financo intorno al tifo per le squadre di calcio. Ci siamo anestetizzati e non lo sappiamo, ci hanno assuefatti al peggio e non ce ne accorgiamo.

A Tricase alle primarie hanno votato 596 persone, ha vinto Zingaretti, come del resto è successo in Italia con un’affluenza di circa un milione e ottocentomila votanti (sempre meglio dei 50.000 che votano on-line su una piattaforma privata senza controllo). Oggi le sedi dei partiti, se esistono, sono spesso vuote e chiuse, mai punto di riferimento quotidiano, magari idonee ai manifesti in vetrina durante la campagna elettorale.

Io non so più se era meglio la politica della piazza, del clientelismo spiccio e della battaglia sui valori internazionali o questa di oggi, vissuta per intero sui social media, veloce, maniacale ed egoista, senza un Vietnam da difendere. Ma una cosa so e una cosa vorrei prima o poi raccontare bene: quell’aria di speranza nelle discussioni di piazza, mentre un uomo dal pancione enorme, con l’eterno maglione rosso fumava in disparte e osservava in silenzio i politici, pensando che prima o poi il mondo sarebbe cambiato. In effetti è cambiato.

La mia colonna - il Volantino, 9 Marzo 2019

Alfredo De Giuseppe

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