036 - La questione Vitalone - 2018-03-24

In questi giorni disconnessi di quella che qualcuno dal 4 marzo definisce la “Terza Repubblica”, sono andato a rileggermi tutta la “questione Vitalone” quando nel 1979 e nel 1983 il magistrato romano fu candidato al Senato nel Collegio di Tricase. Una storia vera della prima Repubblica. Ho ritrovato articoli e manifesti dell’epoca, quasi tutti critici verso la scelta della DC. Vitalone era un magistrato amico di Andreotti, chiacchierato su più fronti: rapporti tesi con altri giudici, un fratello avvocato condannato per vari reati, connessioni con i servizi segreti, relazioni con componenti della Banda della Magliana (difesi dal fratello), intrusione nel caso Moro, successivamente imputato nell’omicidio Pecorelli. Tutte accuse, bisogna dirlo, da cui è stato prosciolto, dopo anni di battaglie legali, ma pubblicate prima delle elezioni con grande clamore dal settimanale “L’Espresso”. Insomma, Vitalone doveva essere eletto, e possibilmente in un posto tranquillo, dal quale poter riemergere al momento giusto e senza tante difficoltà. Ma per noi è interessante un altro aspetto: la ribellione di alcune frange della DC locale e addirittura di alcuni sacerdoti della Chiesa cattolica si basava sulla enorme difficoltà di accettare un candidato di Roma, imposto da Roma, residente quasi sempre a Roma. Oggi, dopo il passaggio della seconda Repubblica, questa questione quasi non si pone più: da anni ormai, gli eletti non hanno nessun contatto con il territorio di appartenenza, grazie a a leggi elettorali assurde e a prassi politiche demenziali.

Torniamo a Vitalone: i 14 sacerdoti (con l’appoggio esterno di due vescovi come Mincuzzi e Bello) nel loro appello così scrivevano: “i cittadini del collegio senatoriale di Tricase, per la terza volta, su volontà del consiglio nazionale del partito di maggioranza relativa in Italia, dovranno votare un candidato solo per logica di partito e di corrente: e dobbiamo accettare senza discutere! Ma ormai questi tempi sono passati ed è ora di dimostrarlo. È risaputo che qualsiasi candidato, qui da noi, ha la sicura garanzia di essere eletto. Per questo il nostro Collegio diventa aspirazione delle persone più disparate. Non vogliamo criminalizzare alcuno, né attaccare persone nella loro dignità di uomini e di politici, ma ci ripugna pensare che le nostre terre e popolazioni continuino ad essere ignorate, abbandonate ai loro destini e problemi, per essere valorizzate solo ed esclusivamente come sacca e deposito di consensi elettorali. Ciò offende la nostra dignità di uomini e di cristiani, che per storia, per tradizione e per servizi alla Nazione non siamo secondi ad altri. Continuare a far decidere sulle nostre teste e sulla nostra pazienza, che non vuole essere mai passività, è fatto assolutamente deleterio”.

La stampa locale, “Quotidiano di Lecce” e “Nuove Opinioni di Tricase” in primis, si schierarono apertamente contro questa arroganza del potere. Gennaro Ingletti su N.O. ricordando la cittadinanza onoraria concessa da Tricase a Mussolini nel 1924, si chiedeva perché non darla ora anche a Vitalone? La DC pugliese e tricasina mugugnò a lungo al suo interno, ma poi come al solito si riunificò in nome del bene supremo. Un gruppo di ragazzi definito GGT attaccò manifesti scritti col pennarello (tazebao si chiamavano allora) corrosivi contro la DC e la logica clientelare e scandalosa nella gestione delle candidature e quindi del potere. Il popolo sembrava essersi svegliato. L’aria stagnante, ma tendente alla brezza. Il clero toccò forse il punto più alto del suo impegno sociale, cercando di sovvertire il vecchio collateralismo con la DC, come scrisse Claudio Morciano, imputando alla politica i guasti da sempre presenti al Sud. Ancora i parroci nel giugno del 1983: “vorremmo un politico che avverta la gravità dei nostri problemi quotidiani, che ci rendono sempre più confinanti con l’Africa e sempre meno considerati italiani”.

Nonostante tutto il vento soffiava forte sulla vela democristiana: il senatore Vitalone prese, nel collegio di Tricase, prima il 72% dei voti e nella seconda legislatura il 68%, alla faccia dell’élite ecclesiale, culturale, giornalistica. Il popolo aveva scelto. Poi, appena arrivato sulla scena Berlusconi, il suo partito fu scelto per amore delle promesse e programmi di varietà. Ora il popolo ha scelto in massa il M5S: vedremo in futuro, analizzeremo con attenzione, se è rabbia indotta e momentanea o vera e consapevole liberazione (finalmente!).

La mia colonna -il Volantino, 24 marzo 2018

Alfredo De Giuseppe

 

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