028 - Scrivere, obiettare di Tricase e del mondo - 2018-01-20

Sono nato e vivo a Tricase, nel tacco salentino, all’interno della regione Puglia che sta dentro una variegata penisola chiamata Italia, nel continente definito Europa che invece è abbastanza indefinito con dentro anche isole e ghiacci, attaccato all’Asia, uno dei cinque grandi continenti che formano la terra emersa, bagnata per lo più da un’acqua salata chiamata mare, il cui tutto insieme, per convenzione umana, chiamiamo Terra, uno dei nove pianeti che girano intorno al Sole. La nostra stella emette calore e luce, così come miliardi di altri soli, sparsi nell’universo, che forse si sta espandendo, poi forse imploderà, diventerà un unico immenso ammasso di rocce, gas e calore. Poi, forse, in un arco di tempo per noi non quantificabile, potrebbe riesplodere in un big-bang che farebbe ricominciare tutto daccapo. A quel punto, dopo qualche miliardo di anni, da nuove, variegate e insondabili casualità ci saranno nuove combinazioni chimiche per cui via via si formeranno l’acqua, i batteri, i pesci, i mammiferi, le scimmie e forse per ultimo un essere come l’uomo. Quando cado in questi pensieri cosmici, mi posso estraniare per lunghi minuti da problemi più complessi, tipo Equitalia, i soldi, le tasse, i populismi, la nascita di nuovi partiti, i nazismi e i comunismi. Mi butto nelle poesie di Bukowski che senza dirlo rappresentano il rifiuto totale di ogni cosa e quindi della nostra volontà di capire, intuire, vagheggiare, ondeggiare, orientare. Solo autodistruzione animalesca prima della distruzione totale. Perché pensare, obiettare, criticare, opporre, dialogare, scrivere? Magari è il caso di saltare anni di paziente pragmatismo e buttarsi sulla meditazione dell’ineluttabilità degli eventi.

Accendo il PC, ormai vecchio strumento, poi YouTube di proprietà di un colosso globale, parte una musica di violini, subito dopo, senza interruzione, una schitarrata rock anni settanta, poi una melodia di un poetico cantautore italiano e infine una canzonetta di un ragazzo con poche centinaia di visualizzazioni. Mi emoziono un po’, per un attimo, ma è sufficiente, al di là dei like e dei numeri. È abbastanza per accettare questa vita con tutti suoi limiti, le sue inconsapevolezze, le sue illusioni. Basta un verso scritto bene per accettare, anzi finisci per amare, quest’avventura cosmica chiamata vita su questo pianeta, dove c’è chi inventa cose straordinarie non presenti in natura, chi fa musica, dipinge, scrive. Ne vale la pena: ci sono bellissimi film e grandi monumenti, invenzioni geniali e osservazioni acute. L’uomo ha capito la morte ma nel frattempo ha creato la ruota, il fuoco e poi i razzi per andare sulla luna. Ha generato la competizione e la lotta per la sopravvivenza basata sulla quantità di beni inutili, ma anche le arti e i mestieri, il concetto di libertà e gli anticorpi per combattere le ingiustizie. Ha lavorato per riempire gli occhi del bello, per creare nuove cose e nuove sfide.

In fondo che gusto ci sarebbe stato ad avere un universo senza nessuno che lo contemplasse e lo capisse? Abbiamo intuito come gira il nostro pianeta intorno al sole, sappiamo quanto tempo ci impiega e abbiamo deciso che lo chiamiamo anno. Mentre parte il sound innaturale ma fantastico di Lucio Dalla de il suo Balla balla ballerino, capisco che non è corretto abbandonare e lasciarsi andare come il granello di sabbia che in effetti potremmo pensare di essere. Posso tornare a parlare, obiettar e scrivere di Tricase e del mondo intero, di politica e di noi, di democrazia diretta e rappresentativa, di assessori e follie collettive, almeno per un altro anno, perché vivo a Tricase, nel tacco salentino, all’interno della regione Puglia che sta dentro una variegata penisola chiamata Italia, nel continente definito Europa…

La mia colonna - il Volantino, 20 gennaio 2018

Alfredo De Giuseppe

 

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