005 - Vecchi professori contro Bukowski - 2017-06-01

Nel 1976 quasi per caso mi incontrai con un libro di Charles Bukowski. Avevo diciott’anni e mi piaceva leggere quelle righe corrosive, nuove rispetto alla paludosa letteratura che studiavo a scuola. Una lettura che poi negli anni si è estesa a molti scrittori di quella scuola del disincanto dell’american way of life, a partire dal semi sconosciuto John Fante. Molte volte in questi quarant’anni ho declinato scelte sul crinale di quella visione nichilista della vita, sedotto da quella rassicurante premessa della volatilità della nostra esistenza, dell’inutilità dell’impegno, e dell’ottimismo.  Mi sentivo vicino a gente  capace di scrivere frasi come “La differenza tra dittatura e democrazia è che in democrazia prima si vota e poi si prendono ordini, in dittatura non dobbiamo sprecare il nostro tempo andando a votare”.

Nello stesso 1976 per la prima volta votavano i diciottenni. Era il momento di Berlinguer, il sorpasso sembrava a portata di mano, l’Italia vicina alla svolta che attendeva fin dalla sua unità. Un nostro professore, ad una precisa domanda sull’inutilità del voto gestito sempre e comunque nella storia da fameliche oligarchie predatorie, così rispose: “votare è importante come vivere: niente è perfetto, ma almeno lo voglio scegliere”.

Spesso la pulsione a non votare è stata molto forte. Elezioni con gente impresentabile, mediocre e arrogante, momenti di gravi depressioni sociali mai risolte da politici attenti solo al tornaconto di bottega, politici pronti a mentire spudoratamente per accaparrarsi un voto ingenuo. Ho visto di tutto in questi decenni pieni di corrotti, di politici svenduti, ma anche approssimativi, senza nessun senso del ruolo pubblico, senza amore per le cose belle che ci circondano. E infine gli elettori incapaci di formarsi un vero pensiero, stritolati fra gli affanni di tutti i giorni e un’informazione basata sull’intrattenimento. Poi invece ho votato sempre, anche quando Presidenti del Consiglio e vari mi invitavano ad andare al mare, ho votato nonostante Cossiga, Craxi, Berlusconi e Renzi, a volte contro persone inappropriate e a volte per politici sempre perdenti, ma corretti. Ho votato perché ancora non è stato inventato niente di meglio in una società complessa, anche scegliendo il meno peggio, anche pensando a un amministratore inefficiente o banale. Anche stavolta mi recherò a votare, perché nella vita di ognuno di noi niente è perfetto, ma finché posso scegliere sento di essere vivo. I vecchi professori spesso vincono sul Bukowski che è in noi.

La mia colonna - il Volantino, 1 giugno 2017

Alfredo De Giuseppe

 

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