2023-10 "Un anno di Meloni" - 39° Parallelo

Tre domande, tre risposte sul primo anno del governo di destra

In queste settimane si sprecano sui media le rievocazioni dell’ultimo anno, quello governato dalla destra di Meloni, fatto notoriamente storico per due motivi: è la prima donna italiana a diventare Presidente del Consiglio ed è la prima volta che un esponente proveniente dai partiti dichiaratamente neo o post fascisti va a presiedere un governo di un Paese dell’Unione Europea.

Molti sono i richiami alla campagna elettorale del 2022, delle sue promesse, della sua grinta da unica opposizione del governo Draghi, confrontate con le modalità di attuazione del vasto programma iniziale. Ricordo brevemente che Giorgia Meloni aveva talmente ironizzato sul PNRR che l’ha destrutturato non riuscendo più a capirci niente, costringendo il povero Fitto a fare la figura dello scolaretto spaesato. Aveva promesso più Giustizia per tutti e ha messo a capo di quel Ministero l’ex PM Carlo Nordio che, da garantista controverso e sopraffatto dalle antipatie personali coltivate nei suoi anni di carriera, si smentisce da solo creando a giorni alterni nuovi reati per i più deboli e abolendo di fatto l’abuso d’ufficio, dichiarandosi tra l’altro favorevole al pieno ripristino dell’immunità parlamentare. Fratelli d’Italia l’ha votato nel 2022 quale Presidente della Repubblica al posto di Sergio Mattarella (tanto per capire su quale profilo andremo a sbattere dopo l’ottimo Sergio). La nostra Giorgia Nazionale è diventata atlantista convinta un po’ prima delle elezioni: qualcuno le aveva detto che senza il consenso degli USA è molto difficile diventare premier in Italia. Questo atlantismo esagerato, come tutto in lei, l’ha portata spesso a piegarsi a qualsiasi decisione NATO, anche quando non sembrava molto convinta, divenendo addirittura amica personale di Biden che aveva definito stracotto quando questi gareggiava contro il suo vero mentore, Donald Trump. Con l’ex Presidente USA condivide la diffidenza verso la scienza, compreso un velato negazionismo sulle cause del cambiamento climatico. Però in questo lungo anno è riuscita a posizionare tutti i suoi uomini e donne (spesso parenti stretti) nelle posizioni che contano nel mondo della propaganda, dove tutto si capovolge e all’improvviso dalla storia emergono nuovi giganti, dove la Resistenza non è più un valore condiviso ma solo di alcuni, pochi comunisti. Vado a memoria: l’Europa era per lei il centro nevralgico di tutti i mali italiani, ora è diventata l’Istituzione di riferimento costante, dove la nostra Premier si mostra affabile e operosa; le tasse e le accise erano un anno fa il cancro da estirpare ora sono necessarie; le pensioni andavano profondamente riformate, ora invece bisogna essere realisti. Naturalmente il piatto forte è l’immigrazione: per anni ci aveva detto che bastava fare il blocco navale e poi invece se la prende solo con le ONG che provano a salvare qualcuno quando sta già per annegare. Sull’immigrazione e sulla sua stessa essenza ci sarebbe da scrivere tanto, ma basta una sola frase per chiudere: c’è sempre stata, sempre ci sarà e nessuna Meloni fa paura ai disperati del mondo.

Tutto questo è risaputo, ripetuto e ormai acquisito: la ricetta della Meloni non funziona in nessun campo per il semplice motivo che le semplificazioni in forma di slogan ripetute per anni si scontrano sempre con la complessità della realtà fattuale, universale e cangiante. Nonostante questo lei e il suo governo paiono godere di una buona salute, ed è questo che è la parte più interessante della questione, cui cercheremo di dare delle risposte a tre domande fondamentali.

1  -Perché Meloni & Co. sono ancora sostenuti da buona parte dell’elettorato italiano?
2  -Perché i suoi aficionados non sembrano scossi dai notevoli cambiamenti di rotta?
3 - Perché l’opposizione non riesce a risalire la china, pur di fronte al sostanziale fallimento della formula sovranista?

Senza fare una lunga cronistoria dall’Unità d’Italia ad oggi sui motivi che hanno sempre portato l’elettorato a propendere per le tesi della destra nazionalista e populista, ci sono  da prendere in considerazione alcune novità dell’ultimo ventennio.

Innanzitutto la comunicazione è diventata sempre più aggressiva e di conseguenza ha generato paure a catena, invece che far intuire alcune opportunità e proporre soluzioni. La destra, ben prima della sinistra, ha intuito la potenza dei nuovi media,  la forza che possono dare ad un’idea, per quanto infondata o falsa possa essere. Hanno dapprima iniziato le trasmissioni televisive delle tv berlusconiane create ad hoc per smentire eventuali reportage giornalistici che potessero mettere in discussione l’establishment, poi le stesse son state usate come clave contro qualcuno e infine trasferite con maggior virulenza sui social. Qui, verso il 2009, è iniziato il vero e proprio tam-tam politico, basato per lo più su notizie verosimili fatte passare per autentiche, aumentandone la potenza di fuoco in prossimità delle elezioni. In questo senso non possiamo dimenticare l’exploit del Movimento 5 Stelle, che ha raccolto gli scontenti di tutto l’arco costituzionale. “L’Uomo Qualunque” , il partito fondato da Guglielmo Giannini nel secondo dopoguerra ritornava con Grillo, attraverso il web, prepotentemente alla ribalta. La predicazione era: né destra né sinistra ma giustizia sociale. In genere quando nella storia si parte con questo slogan si sconfina verso un populismo che prepara alla dittatura. Ora che la Meloni è al governo, ora che il nemico è abbattuto, per poter andare avanti si è costretti ad inventarsi da soli un nemico al giorno. Esempi eclatanti ce ne sono a centinaia, ma ne cito uno per far intuire di quel che stiamo parlando: a fine settembre 2023, senza che nessuno abbia mai messo in discussione il governo italiano, regolarmente eletto, d'emblée, la Meloni dice e scrive su un twitt: “attenzione: c’è la sinistra che vuole di nuovo il governo tecnico”. A quel punto parte la grancassa dei soliti giornali e programmi Mediaset e per giorni si parla “del complotto europeo e soprattutto tedesco” contro il governo italiano, i social rincarano la dose, alcuni parlamentari si dicono preoccupati, il popolo tutto si dice finalmente patriottico. Questo giochino riesce sempre, anche quando le promesse elettorali vengono completamente disattese, anche quando si crea dal nulla il mostro, sia esso l’immigrato, il tedesco, o il francese, il giudice, l’ambientalista o la Boldrini o forse anche un Saviano. L’uso sproporzionato e provocatorio dei media è la vera  eredità lasciata da Silvio Berlusconi, che di fatto ha dimostrato come sia facile, avendone i mezzi, modificare la realtà dei fatti, cambiare opinione inseguendo il consenso, senza che il proprio elettorato ti abbandoni. Anzi è molto concreto il “rischio” di prendersi quella marea di popolo indeciso, un po’ disincantato che non ama la complessità dei problemi derivanti dalla globalizzazione, dall’esplosione demografica e dalla conseguente crisi climatica.

 

Meloni  e tutti suoi fratelli e sorelle avevano pensato e detto che fosse facile, ad esempio, abbattere le accise sul costo della benzina, oppure che bastasse un po’ di decisionismo per fermare l’immigrazione, o ancora che l’Italia aveva bisogno di una leadership aggressiva per “far finire la pacchia ai burocrati” di Bruxelles. Niente di tutto questo, solo figuracce mascherate da abbracci e sorrisi istituzionali. Marce indietro, comunque trionfali, e risultati in linea con i governi precedenti, spacciati però per novità assolute. Nonostante la stragrande maggioranza dei suoi elettori tutto questo lo abbia ben percepito, la Meloni continua ad avere un grande consenso, supportato dai media di Stato e pompato da vere e proprie centrali social organizzate all’uopo. Sfornare giornalmente dichiarazioni “identitarie” garantisce un consenso maggiore rispetto ai risultati socio-economici del Paese: questo è il segreto, banale nella sua semplicità. Ecco quindi sprecarsi gli slogan semplici brevi e violenti contro il nemico di turno, con categorie già ben pre-determinate, i gay, gli zingari, i neri, gli spacciatori e così via, riducendo il tutto a soluzioni di polizia e di esclusioni forzate (vedi famiglie arcobaleno).  A tutto questo bisogna aggiungere una bella dose di vittimismo giornaliero, spesso purtroppo banalizzato e ignorato dagli intellettuali di questo Paese che , pur vedendo con chiarezza, il tentativo della riscrittura della Storia, si rifugiano spesso in un silenzio dorato oppure in una serie di accettazioni graduali, davvero pericolose (per fortuna è ancora vivo uno come Luciano Canfora).

In tutto questo scenario, l’opposizione non riesce ad avere una sua precisa identità, non cresce nei sondaggi, non vince più neanche le elezioni amministrative nei Comuni più importanti e non sa come organizzarsi. Non sa se deve seguire la destra sugli stessi toni populisti o deve darsi delle proprie priorità, oppure stare a metà strada come sta facendo ormai da decenni. Ci sono state occasioni in cui la sua titubanza è stata sconcertante, addirittura negative alcune sue sottovalutazioni. Aver sottovalutato, ad esempio, il potere mediatico di Berlusconi, non facendo una legge sul conflitto d’interessi, oppure la portata delle fake-news create dalla “bestia” salviniana, o ancora accettare in continuazione governi di “unità nazionale” lasciando a Fratelli d’Italia il ruolo (seppur solo semantico e strumentale) dell’unico partito con le idee chiare. La sinistra ha governato senza mai davvero governare, perché sempre bloccata da governi tecnici ai quali aveva giurato fedeltà, con il risultato di aver dimenticato le fasce di popolazione più deboli, la difesa della sanità pubblica, lo ius soli e l’abolizione della legge Bossi-Fini, la scuola, scelte coraggiose sul clima, in generale la lotta alle diseguaglianze, anche tenendo conto di un nuovo welfare per le piccole Partita Iva. Ora qualcuno sta capendo gli errori degli ultimi decenni, da D’Alema a Renzi, fino a Letta e Conte.  Si, ci metto dentro anche Antonio Conte, che dopo aver traghettato il M5S dal populismo più sfrenato ad un partito di maggiore consapevolezza storico/sociale, si è fermato a metà strada, accontendadosi come sempre di quella riserva di voti che garantisce visibilità, una dignitosa presenza parlamentare, ma non riesce mai a risollevare le sorti della nostra Italietta.

In conclusione, un primo anno dell’era Meloni che ha dato continuità ai governi precedenti sugli assetti internazionali (Europa, Nato, USA) ed economici con le solite elargizioni pro tempore di bonus e controbonus. Le dichiarazioni liberticide in tutti i campi, a cominciare dall’attacco alla Costituzione, all’autonomia differenziata delle Regioni, l’appropriazione di tutte le postazioni mediatiche, l’assenza sostanziale di una cultura storica, la semplificazione dei nuovi  maître à penser , la velocità delle giravolte, il vittimismo di fondo che pervade ogni azione di governo, la disumanità di alcuni trattamenti sui migranti, fanno scattare un campanello d’allarme per il futuro.

Un’Italia autoritaria è sempre alle viste, considerato anche lo scenario internazionale che potrebbe  favorirla. Perché la risposta definitiva è che alla maggioranza degli italiani, semplificazione per semplificazione, piace un dio a cui rivolgersi per risolvere i problemi familiari e un monarca che governi in nome di tutti. Tutto il resto è Tik-Tok.

39° Parallelo – ottobre 2023                                                                                      Alfredo De Giuseppe

 

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