2023-02 "DIFFERENZIATI e TERRONI" - 39° Parallelo

Non dimentico cosa si diceva quando nel marzo 2001 fu approvata la legge costituzionale, poi confermata da uno sciagurato referendum nell’ottobre dello stesso anno, che ridefiniva le materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva e concorrente dello Stato e delle Regioni. Si diceva, anzi tutti i politici dicevano che finalmente le Regioni sarebbero diventate più virtuose, che ognuno avrebbe governato meglio il proprio territorio, che i governi regionali sarebbero stati cacciati a pedate dagli elettori se non si fossero dimostrati coerenti, seri ed onesti. Nessuno avrebbe mai votato un governatore macchiato di errori, omissioni e demagogia. Questo sparavano le grancasse della politica e dei media ad essa collegati.

Quella modifica, fortemente voluta dalla Lega Nord di Bossi, ma poi approvata dal governo di sinistra nel tentativo (come al solito vano) di soddisfare l’elettorato del Profondo Nord, aboliva un sacco di cose come la figura del Commissario del Governo, chiamato a sovrintendere alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e a coordinarle con quelle esercitate dalla Regione. Aboliva di fatto la facoltà per il Governo di sollevare, rispetto alle leggi regionali, questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Consulta, o questioni di merito dinanzi alle Camere e infine aboliva il controllo, da parte delle stesse Regione, sugli atti delle province e dei comuni (esercitato dal CORECO).

Insomma una specie di gioco al “ liberi tutti” che infatti ha procurato una montagna di danni all’economia italiana, alla sanità, ai trasporti e a tutto ciò che gira intorno alle autonomie locali. Non solo: in questi ultimi vent’anni è soprattutto aumentato il divario tra Nord e Sud, tra Regioni ricche e povere, il Paese è irrimediabilmente scivolato verso un’ignoranza dinamica sul funzionamento degli Enti Pubblici. Con l’aggravio di una corsa disperata ad assumere cariche ed incarichi da parte delle mafie locali e di quelle nazionali, della corruttela diffusa e mascherata, dell’allontanamento dalla politica dei giovani più promettenti per lasciare spazio ad una schiera di arrampicatori della poltrona più comoda, condita di sottoboschi vari, pieni di muffe difficili da eliminare.

Quella del 2001 è stata un’azione criminogena contro l’unità del paese, un risveglio da quel sogno risorgimentale chiamato Italia. Ma chi è abituato a commettere crimini non si ferma quasi mai. Infatti dal 2017 molti stanno tentando di dare la spallata finale all’ipotesi di creare un Paese unito, forte, coeso, solidale. Le Regioni del Nord, quasi tutte, sono a favore del progetto che l’ineffabile Roberto Calderoli, l’estensore delle leggi più anticostituzionali degli ultimi trent’anni, tra cui la famigerata legge elettorale “Porcellum”, ha definito “Autonomia differenziata”.

Le Regioni più ricche vogliono fare e disfare quasi tutto da sole, dice Calderoli, ed è quindi giunto il momento di affidare ai governi locali tutto il gettito fiscale prodotto in quel perimetro geografico per farlo gestire a loro stessi, perché questo, ancora una volta, “avvicinerà la responsabilità del politico al cittadino”. Niente di più falso, demagogico e anti storico. Oltretutto l’attuale Ministro dell'Istruzione e del Merito (?) il Professor Giuseppe Valditara, della Lega, ha lanciato al contempo l’idea di stipendi differenziati per i professori, a seconda della regione in cui si esercita. La scuola italiana verso la fine vita.

Non io, semplice cittadino di un sud spappolato, ma il Sole24Ore, il giornale degli industriali, segnala in questi giorni che “alcune materie sono insofferenti a essere parcellizzate per le esigenze specifiche di un territorio. Oggi più di ieri possiamo dire che scuola, autostrade, ferrovie e reti di comunicazione o energetiche chiamano in causa l’indivisibile interesse nazionale. Da come, quanto e cosa si insegna ai nostri ragazzi dipende l’identità culturale del Paese. Al pari, le scelte sulle modalità di produrre energia devono rimanere fuori dal perimetro di un governatore regionale, anzi il tormentato iter del price cap europeo sul gas sottolinea la necessità di una decisione corale e sovranazionale. Eppure in un contesto che tende a erodere dall’imperium nazionale valutazioni un tempo interne, questo disegno di legge guarda con nostalgia al feudalesimo medievale, rievocandolo”.

Aggiungo che la pandemia ha dimostrato quanto sia importante avere un coordinamento nazionale sulla sanità pubblica e non lasciare alle Regioni scelte strategiche che vanno a differenziare i cittadini, questo si, per censo e luogo di residenza.

Tutto questo viene mascherato, come ormai aduso a tutti i governanti, da una serie di slogan e di sinonimi che fanno davvero rabbia, per la semplicità con la quale vengono prima coniati e poi accettati da un’opinione pubblica ormai decerebrata. La parola secessione è sparita dal vocabolario politico, ma in realtà è lo stesso progetto bossiano che circola sotterraneamente almeno dal 1990. Infatti il ministro Calderoli vuole dare la sensazione di cogliere questa preoccupazione e quindi condiziona la differenziazione autonomistica alla normativa dei livelli essenziali delle prestazioni. Ma è solo una sensazione, perché il disegno di legge va in senso opposto in quanto blocca le risorse alla situazione attuale che di per sé è già disomogenea e quasi collassata.

Chi si oppone a questa visione del mondo, dell’Italia parcellizzata, divisa, condizionata, interrotta e derubata? Non certamente i signori dell’attuale maggioranza di destra e neanche il PD che ha molti esponenti al suo interno (vedi Bonaccini) che nel 2017 richiese l’Autonomia Differenziata anche per la sua Emilia Romagna. I 5Stelle fanno altre battaglie e se possibile nessuna in profondità. Il terzo polo di Calenda e Renzi sta pensando a come diventare primo polo (piccolo consiglio: si vince inventando una decina di slogan e ripetendoli a pappagallo per 5 anni, tipo “eliminiamo le accise” o “l’Italia agli italiani”).

Dovrebbero opporsi le Regioni del Sud, le Province e i Comuni, chiamare alle piazze, organizzare sit-in davanti a Montecitorio, scioperare, chiudere momentaneamente sedi istituzionali per far capire la gravità di un disegno discriminatorio e divisivo, oltre il limite fattuale di questi ultimi decenni. Invece il massimo di cui siamo capaci è una letterina a Mattarella, firmata controvoglia da un centinaio di Sindaci (si tenga conto che il Sud ha circa 4.000 Comuni).

Forse non ci resta che diventare seguaci di Pino Aprile, che con il suo “ Il Nuovo Terroni” (in libreria dal 25 gennaio ’23) ritorna sulla questione meridionale post-unitaria e sbandiera episodi a raffica sulle malefatte dei “sabaudi”. Ad esempio nel beneventano è ben nota l’imprecazione “scappiamo ch’è arrivata la patria” lanciata dalle mamme alla vista dei soldati. A sostegno di tale invito, Aprile cita il diario delle spaventose imprese compiute subito dopo l’Unità d’Italia dalla 45° fanteria sabauda nei paesini di Pontelandolfo e Casalduni per sopprimere le rivolte dei contadini, con stupri, omicidi di massa e infine radendo al suolo tutte le case. Il tutto sotto il comando del capitano Fiorentino Crema che aveva creato una colonna mobile chiamata “la compagnia dei ladri”.

Scappiamo che è arrivata “la Patria”, gridavano i contadini nel 1861. Non vorrei che oggi, anno 2023, dobbiamo di nuovo organizzarci per “scappare dalla Patria”.

 

39° Parallelo, febbraio 2023                                                                                                    

Alfredo De Giuseppe

Stampa