2020-12 "La stampa, figlia di Feltri" - 39° Parallelo

Durante le recenti elezioni del Presidente degli Stati Uniti, la stessa notte dello spoglio delle schede, Trump è andato in TV a dire: “ho vinto, se perdo stanno facendo una truffa”. Quasi tutti i giornalisti della stampa e della Tv hanno immediatamente smentito il Presidente, dicendo apertamente: “non è vero quello che sta dicendo Donald Trump, le elezioni sono state corrette, lo scrutinio non è completato, nessuno può dichiararsi ancora vincitore”. Lo hanno fatto anche il commentatore della Fox Television, notoriamente vicino al Presidente e altri giornalisti considerati tradizionalmente di destra. Di conseguenza Twitter ha bloccato i messaggi del Presidente e anche Facebook ha messo un bollino di avvertenza come notizia non verificata.

Questo atteggiamento  dei Media americani è stato giudicato da moltissimi osservatori di tutto il mondo come il vero freno alla deriva autoritaria che rischiava di prendere la politica della più grande potenza mondiale, della più potente organizzazione militare del pianeta. Ancora una volta, la dimostrazione che solo una stampa libera, onesta , informata è il vero antidoto alle follie collettive e personali del potere.

Facevo queste riflessioni collegandole alla situazione italiana. Qui, ad un certo della storia repubblicana, è successa una cosa enorme, non ipotizzabile, che ha cambiato l’essenza stessa del giornalismo. Verso la fine del 1993 Silvio Berlusconi, grande sponsor di Bettino Craxi e di tanti altri politici governativi (vedi Mammì del partito Repubblicano), temendo di essere vicino all’attacco dei giudici di “Mani Pulite”, temendo per le sue aziende in grande crisi di liquidità, decide di “scendere in campo”, di fondare un proprio partito, di diventare il leader del centro-destra. Prima mossa del Tycoon: mobilita tutti gli uomini di Publitalia, quelli governati da Dell’Utri, i buoni e i cattivi, i promotori finanziari e i mafiosi di professione, devono identificare sul territorio uomini idonei a seguire il Cavaliere; seconda mossa: chiama tutti i direttori dei Tg e della carta stampata del suo gruppo e comunica con fare mellifluo ma deciso che la linea editoriale deve cambiare, deve diventare una voce sola. Tutti devono cominciare a spargere il verbo di un nuovo mondo, di una nuova Italia che deve ripartire da lui, di un nuovo partito che deve contrapporsi in modo aggressivo ai partiti della vecchia generazione, quelli della sinistra soprattutto. A questa chiamata alle armi rispondono tutti “siam pronti”, tranne uno, Indro Montanelli. Lui, uomo di destra, aveva fondato “Il Giornale”, lo aveva diretto per circa vent’anni, sostenendo con forza le tesi di una destra repubblicana, consapevole, ordinata, capace di contrapporsi in un corpo solo alla dominante (secondo lui) cultura di sinistra, ritenuta ipocrita e illusoria. Anni prima era diventato socio del suo giornale Silvio, il quale fino a quel momento non aveva osato metter naso nella linea editoriale. Montanelli non poteva accettare quella richiesta di allineamento elettoralistico del suo giornale, non sarebbe stato più in grado di fare il Montanelli, l’uomo libero di dire quel che pensava. Si dimise con un editoriale che fece epoca.

Montanelli fu prontamente sostituito da Vittorio Feltri. Era il gennaio 1994, quattro mesi dalle elezioni che avrebbero sancito il trionfo di Silvio. Da quel momento la stampa italiana ha cambiato pelle. Non c’era più un approfondimento politico, ma un attacco personale all’avversario di turno, interno o esterno che fosse. Non più una divisione su posizioni diverse ma ultras berlusconiani perennemente pronti a tifare ciecamente, contro avversari sprovveduti e incapaci di comprendere la gravità della situazione. Da Feltri sono nati i vari Sallusti e Belpietro, Del Debbio e Porro più una serie di baldanzosi nipotini pronti a tutto pur di conquistare una posizione in seno al regno del Cavaliere Primo Ministro.

Questa schiera di cosiddetti giornalisti (sono in realtà dei dipendenti ben pagati per insultare il prossimo, qualsiasi persona che non sia di chiara fede berlusconiana) sono continuamente in Tv, sono ovunque, perché secondo una malpensata logica spartitoria, rappresenterebbero l’altra parte del pensiero politico. Sono dunque liberi di dire qualsiasi corbelleria, contando sul fatto che nessun annunciatore di telegiornale, neanche il direttore di un giornale prestigioso, oserebbe dire in Italia: “scusate, il sig. Feltri ha detto una tale scemenza che sentiamo il bisogno di scusarci con gli spettatori, dissentendo da ogni sua parola”.

Questo ha permesso, a caduta, una serie di cose, una più grave dell’altra. La continua delegittimazione dell’avversario politico basandosi su piccole disavventure quotidiane. “Berlusconi ruba? Si ma anche Marino non ha pagato la multa del divieto di sosta. Voi criticate il mio padrone, io vi spio fino al colore dei calzini. Tu giudice osi giudicare il mio unico punto di riferimento e io ti dimostro che sei un comunista, perché una volta, a 16 anni, eri fidanzato con la sorella di uno che a volte scioperava contro il governo Andreotti. Tu parlamentare appena eletto osi mettere in discussione il potere vero, quello dei soldi e del magnate più importante della storia italiana: io ti distruggo con due articoli contro i tuoi figli che fumano marijuana”. Insomma, tutto un calderone malsano, puzzolente, dove tutti sono sporchi, brutti e cattivi.

Un costante inquinamento dei pozzi, con conseguente avvelenamento dell’intero panorama politico-sociale, che ha chiaramente sdoganato tutto un linguaggio scurrile, un ragionamento semplificato e una disastrosa ignoranza concettuale. Il linguaggio scritto, ormai talmente rapido e irriverente, da diventare una battuta da bar, appiattendo le differenze, i ragionamenti e le riflessioni. In questo contesto ogni concetto, anche il più retrivo, è diventato accettabile: i giornalisti lo hanno a volte creato, spesso avallato, comunque giustificato. In nome di un comportamento anomalo e assolutamente diseducativo tenuto dai maggiorenti delle loro stesse aziende.

Questi giornalisti/dipendenti, invitati costantemente da tutti i Media come fautori del necessario dibattito, quello interessante in cui bisogna urlare, hanno dato il meglio di loro stessi quando hanno parlato delle donne, di una donna. Rosy Bindi era brutta e vecchia, la Boldrini una saccente inguardabile, la Boschi solo una grande gnocca, la Raggi una patatina, la Merkel una culona, Carola Rackete una figlia viziata che salva vite umane per sfuggire alla noia. E così via, per anni, giorno dopo giorno. Gente capace di scrivere fiumi d’inchiostro per giustificare “la nipote di Mubarak”, amica minorenne di Berlusca, che poverino non sapeva nulla e se sapeva era solo per aiutare povere ragazze in cerca di successo.

La loro immagine della donna è ferma ai bordelli in voga fino agli anni ’50 insieme alla mamma che accudiva tutti con amore e dedizione eterni. Gente da psicanalizzare per parecchio tempo, eppure noti e potenti, posizionati nelle giuste stanze, per contrapporre una bugia a una verità, per denigrare la correttezza, per diventare campioni del politicamente scorretto.

Qualche giorno fa il fondatore milanese di un noto sito, Facile.it, sotto l’effetto di droghe di tutti i tipi, ha stuprato con violenza inaudita una ragazza di 18 anni che aveva avuto la disavventura di essere invitata insieme ad altri amici ad una sua festa privata. Vittorio Feltri, con il suo consueto stile, ha scritto il 25 novembre, lo stesso giorno in cui si ricordavano le vittime della violenza contro le donne, che in fondo la ragazza sapeva di non andare a recitare il rosario. A questo punto si sono alzate molte voci contro quella posizione sessista e a dir poco giustificazionista. Fra le altre Laura Boldrini scrive un articolo aspramente critico nei confronti di Vittorio Feltri e lo invia a HuffPost, uno dei più noti e accreditati siti al mondo per la diffusione di notizie e commenti. Il sito, sempre attento alle notizie più scottanti, stranamente non pubblica l’articolo di Boldrini. Dopo poche ore viene chiarito il tutto: HuffPost, nella sua versione italiana, è edito in collaborazione con il gruppo Gedi (Repubblica, L’Espresso, Stampa, ecc), diretto da qualche mese da un certo Mattia Feltri, figlio di Vittorio. Lui si è così giustificato: “non lo potevo pubblicare perché in un passaggio si faceva un “apprezzamento spiacevole” su mio padre”. A dimostrazione che il mondo dell’informazione è ormai nelle mani sbagliate, con le logiche invertite, fautore delle peggiori pulsioni umane. Colpevole dell’abbrutimento collettivo, di cui i giovani scrittori dei social non sono che piccoli, dilettanti seguaci di cotanto giornalismo familistico.

39° parallelo – dicembre 2020

Alfredo De Giuseppe

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