2017-04 "L'Europa blindata" - 39° Parallelo
Nei giorni della ricorrenza dei Trattati di Roma la cosa che più mi ha impressionato è stata la lunghezza dei servizi dei telegiornali, radiogiornali e financo della carta stampata più progressista sulle misure di sicurezza che si stavano per prendere. L’Europa, l’ideale di un’unione reale, politica e geografica seppellita dietro le norme di sicurezza, le squadre speciali, quelle anti terrorismo e anti sommossa, le telecamere, gli scanner, le camionette blindate e le perquisizioni corporali. Ci hanno spiegato tutto, con tale dovizia di particolari, hanno talmente insistito sulle possibili conseguenze di cortei, attentati e comizi improvvisati che hanno poi dimenticato di farci capire che cosa significasse festeggiare i 60 anni della Comunità Europea. Era talmente specifico e approfondito l’argomento sicurezza che un eventuale terrorista avrebbe avuto materia di studio per capire come colpire evadendo le immense misure di sicurezza, che per essere totali prevedono una sola misura finale: rimanere tutti a casa. Ma non dicevano che i terroristi non dovevano condizionare il nostro modello di vita, di libertà, di visione del mondo? Con questi approfondimenti a senso unico, lanciati di continuo a tutto etere, ho invece l’impressione che il terrorismo abbia già vinto. Andare in un museo, visitare un monumento famoso è diventata un’impresa: ore di fila all’esterno, controlli approfonditi, all’interno un mordi e fuggi, dici ai parenti che sei stato nel posto più famoso, mandi un selfie sorridente ma non hai il coraggio di dire che hai trascorso una giornata da incubo. Noi poveri mortali, sempre più merce di scambio nel mondo che ha bisogno del turismo per far girare l’economia, noi che possiamo vedere monumenti e opere d’arte nelle ore destinate al pubblico e sempre noi che non abbiamo l’aereo privato e neanche uno straccio di elicottero, noi, sempre più, saremo incasellati dentro un mondo militarizzato e normalizzato, dove la sicurezza è al primo posto, la libertà quasi all’ultimo. Mi ha molto impressionato negli stessi giorni di questo marzo 2017 che l’appello del massimo esponente della chiesa cattolica, papa Bergoglio, ad aprire le frontiere (di abbracciarle – ha detto) sia caduto nel vuoto, con comunità che si dichiarano super cattoliche e che non amano avere nel proprio paese neanche dieci ragazzi che abbiano il colore della pelle un po’ più scuro. Certo c’è da salvaguardare la sicurezza, ma non si vuole neanche parlare con quei ragazzi, capire da dove vengono, da dove fuggono e cosa cercano, se noi e loro possiamo convivere, se è davvero così difficile. Possibile che un sud così povero di iniziative, di idee, di lavoro, di scambi con gli altri popoli del Mediterraneo, non trovi questa immigrazione come un’eccezionale opportunità di crescita? No, perché in ogni Comune c’è chi soffia sul fuoco della sicurezza, dell’integralismo occidentale, noi come unici portatori sani dell’economia, della libertà, dell’umanità. La massa popolare, indistintamente, nella sua delirante ma rassicurante dedizione, persegue l’unico fine antropologico che conosce: la paura. Un sentimento, quello della paura, che ben sfruttato può generare dittature, guerre, stragi e soprattutto la sopraffazione definitiva di uno stato di polizia che controlla tutto, tutti e forse ancora di più. Se i 60 anni della nascita ufficiale devono avere un senso compiuto, si dovrebbero affermare in continuazione i valori sociali, culturali e direi filosofici che stanno alla base della concezione di un’Europa unita. Quali sono i politici che oggi stanno perseguendo l’obiettivo di un’Europa davvero unita, davvero patria delle libertà individuali e che sono alla ricerca di diminuire le disuguaglianze fra i loro abitanti? Non mi rassegno a questo senso di paura costante che pervade la nostra vita, a difesa poi di benefici sempre transitori, sempre effimeri. Se continuiamo di questo passo il sogno europeo, al quale molti di noi si sono aggrappati per sperare in una società più giusta, sarà un ricordo lontano e inespresso. Ma c’è un altro rischio connesso all’esasperazione della sicurezza: nella cultura dominante ci sarà spazio per un solo prototipo di uomo, non sarà ammessa la differenza, pena un’emarginazione ancora più profonda. Le differenze invece creano occasioni, scambi e creatività, non dobbiamo disperderle in cambio di una vita blindata. E infine non mi rassegno neanche all’idea che, fra tanti intellettuali, politici, giornalisti, scrittori e artisti, tutti pragmatici fino all’inverosimile, l’unico divulgatore convincente di valori universali sia un vecchietto di oltre ottant’anni, vestito con lunghe vesti bianche, che non è europeo, pare credere nell’aldilà e spera di cambiare pure la Curia.
39° Parallelo - Aprile 2017
Alfredo De Giuseppe