2015-04 "...di Nord e Sud" - 39° Parallelo

Mi chiedo, se lo saranno chiesto in tanti: perché i Sud sono più poveri dei Nord? Il Sud America è ricco di minerali, di flora e fauna, ha un clima stupendo eppure è cento volte più povero del Nord America, dove USA e Canada hanno raggiunto livelli mai visti di opulenza; tutta l’Europa del Sud ha meno opportunità del Nord, dove Paesi come Svezia, Norvegia e Danimarca che pure hanno problemi di clima, di trasporti e risorse naturali, hanno sviluppato un welfare davvero invidiabile. Tutta l’Africa è Sud, ma per assurdo anche l’Italia, la Spagna e altre nazioni del nord hanno i loro sud. Perché intere parti di territorio sono meno sviluppate di altre, perché questo dato viene dato per scontato?  Le risposte più comuni sono sempre le stesse: è un intreccio storico/culturale che ha generato diverse velocità di sviluppo; il freddo del Nord ha favorito un’organizzazione più consociativa e quindi più forte; gli inglesi invasero il Nord dell’America, mentre il Sud fu lasciato a spagnoli e portoghesi, protestanti contro cattolici, rigore contro ipocrisia, regole certe contro anarchia burocratizzata; l’Africa è stata sempre terreno di sperimentazioni colonialistiche dei paesi europei; le multinazionali hanno interesse che il mondo sia diviso fra ricchi e poveri; le guerre, non la geografia, hanno sancito le ricchezze e le povertà; i politici, pur di vincere, hanno sposato le mafie locali decretando per sempre il sottosviluppo.

Tutte ragioni che hanno un loro fondamento, eppure nessuna che mi soddisfi in pieno, nessuna che mi permetta di capire tante cose nel loro profondo, perché alcune nazioni si arricchiscono con il petrolio e altre no, perché il clima caldo aiuta la California e danneggia il Congo o il Darfur, perché Padre Pio esiste a San Giovanni Rotondo e non a Glasgow, perché Napoli è sporca e Verona pulita.

Ora che questa vicenda non pare più di moda, ora che la Questione Meridionale è fuori dalle agende dei governi, mi azzardo a speculare intorno al tema.  Mi sono convinto negli anni che il Sud, i sud di tutto il mondo, le popolazioni che li abitano abbiano avuto nei confronti del vincente modello di sviluppo attuale una duplice visione. Da una parte l’aspirazione di raggiungere i paesi più ricchi, dall’altra la segreta, inconfessabile paura di diventare tutti uguali, delle persone perfette dentro una noiosa società moderata, dove tutto funziona al meglio. E’ come se gli abitanti dei vari Sud del mondo nel loro DNA abbiano sviluppato nei secoli un anticorpo al comandamento unico, al rigorismo centrale, allo Stato forte, al pensiero totalizzante. Nei Sud c’è una diffidenza atavica verso parole molto comuni quali leggi anticorruzione, esportazione di democrazia, bene comune, missioni di pace, equità sociale e fiscale, dignità del lavoro, che pur essendo percepite attraverso i media come necessarie e giuste non riescono a colpire nel profondo del cuore. Gli anticorpi frenano l’Organizzazione, percepita per lo più come restrizione della propria libertà e quindi meglio rivolgersi ai santi per risolvere qualsiasi cosa, meglio un padrino che lo Stato avvolgente, meglio un disastro edilizio che un piccolo alveare per tutti. L’uomo dei sud a questo punto mette in discussione il modello statale e sovranazionale di sviluppo armonico, si difende con una semplice dose di rassegnazione e di fatalismo. Senza saperlo e senza approvarsi in pieno. Però giunti allo stadio attuale, dall’incombente disastro ambientale alla sopraffazione di mafie politiche, una breve riflessione va fatta. Il modello occidentale/americano esportato in tutto il mondo sta mostrando tutte le proprie debolezze: non si può continuare in nome di uno sviluppo senza limiti portare alla morte il pianeta e le sue bellezze, portare le persone ad inseguire un perenne successo economico per soddisfare bisogni sempre più inutili alla vera essenza dell’uomo (la ricerca della felicità). Ora è giunto il momento che i Sud facciano sentire una loro visione del mondo, non solo avere come riferimento la ricchezza del Nord. Qui e ora ci sono le potenzialità per determinare un diverso modello dove le piccole comunità si creino un minimo di autonomia economica e da questo ripartire. Ad esempio il Sud Italia decida che cosa vuole, cosa intende fare del proprio territorio, come vuole difendersi dalla sopraffazione delle mafie e delle multinazionali, come vuole organizzare i propri consumi, parta da qui una vera proposta rivoluzionaria che possa avere qualche chance di successo rispetto al modello Coca-Cola (di cui siamo tutti vittime, io ancor di più). Non possiamo attivare lamentazioni di vario tipo se stiamo ancora alla rincorsa di quel modello. Saremmo sempre perdenti, perché gli altri son partiti molto prima. Non possiamo fare la stessa gara, qualcuno sta facendo i cento metri, noi dovremmo prepararci a fare i quattrocento, l’intero giro di pista.

39° Parallelo -Aprile 2015

Alfredo De Giuseppe

 

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