2014-08 "Obama, Ghandi e il Nobel" - 39° Parallelo

Quando nel novembre 2008 Barack Obama vinse le sue prime elezioni , mi venne d’istinto scrivere un messaggio ai miei amici: “adesso nel mondo qualcosa cambierà”. Così pensarono in molti, a cominciare dai luminari svedesi che gli conferirono il Premio Nobel per la Pace quasi come un auspicio, la speranza di avere un uomo nuovo alla guida del più importante stato mondiale. Io, altri, tanti pensavamo: è arrivata l’ora di sistemare le guerre inopinatamente aperte in Iraq e in Afghanistan, di dare uno stato ai palestinesi, di moderare gli animi dei paesi che danno sul Mediterraneo, Israele compreso. Con la recrudescenza del conflitto medio-orientale, a sei anni di distanza da quell’elezione, bisogna  ormai sancire il completo fallimento dell’uomo nuovo Obama.  Mi si dirà: non è un dittatore, non ha la stragrande maggioranza del parlamento, non può da solo sconfiggere lobby militari, petrolifere, finanziarie e commerciali. Ma tutto questo è quanto sapevamo al momento della sua elezione. E lui ignorava tutto questo? O è parte integrante del sistema? Si può diventare Presidente USA senza essere parte interconnessa (e in parte compromessa) della propria società?

Obama non è riuscito a chiudere neanche quell’orribile carcere, luogo di torture, che è Guantanamo, non è riuscito soprattutto a dare una nuova speranza, a far vedere un barlume di giustizia mondiale in fondo al tunnel attuale.  In questa lunga estate di morti e inutili invasioni. Obama sembra predicare con un lessico stanco e senza amore per il prossimo. Ancora una volta chiedevamo troppo, volevamo un politico che si impegnasse davvero, anche a costo della sua vita, a iniziare un cambiamento significativo delle relazioni internazionali. Invece siamo ancora all’anno zero, nella notte della civiltà del rispetto, alla perenne dimostrazione del più forte. Armi a non finire, armi sempre più sofisticate e violente in mani di chiunque, democraticamente vendute a tutti, ribelli, partigiani, eserciti regolari, banditi, terroristi e amici degli amici, senza distinzione di sorta.

Gli Stati Uniti d’America spendono una cifra folle per il loro armamentario, più del 4% del loro PIL, Israele addirittura il 7%, l’Italia nel suo piccolo spende 1.7% del suo prodotto (ed è ottava nella speciale classifica mondiale). Una montagna di armi che nessuno mette in discussione, neanche l’Europa che oggi si potrebbe definire l’unica parte del mondo pacificata senza armi (ci son voluti soltanto trenta milioni di morti fra prima e seconda guerra mondiale). Israele continua ad attaccare scuole sotto protezione ONU facendo centinaia di vittime al giorno e nessun capo di Stato, nessun governo reagisce nel modo coerente che  dovrebbe reagire, isolando uno Stato violento. Obama e i suoi gringos amano la soluzione armata, Israele  è il loro 51° Stato, posizionato in mezzo agli arabi, non si tocca, anche se dovesse perpetrare un genocidio su vasta scala.

Per noi europei, italiani del sud, questo è un danno enorme, sia in termini economici che per le numerose sfaccettature socio-politiche. Perché noi dobbiamo avere lo sguardo sempre rivolto al nord per tutto ciò che riguarda le relazioni, la ricchezza, la cultura? Immaginiamo per un attimo un Mediterraneo pacificato come l’Europa e vedremo un’Italia al centro del mondo. Un’Italia che riesce a crescere con i popoli dirimpettai, con i quali riuscirebbe a scambiare merci, uomini e finanza ogni giorno. Oggi siamo il porto dei naufraghi e dei migranti, mentre potremmo essere il paese delle meraviglie. La guerra dei palestinesi, tutto sommato legittima seppur deteriorata da eccessi ideologici, non è solo la loro guerra. L’Europa, l’Italia con essa, dovrebbe avere il coraggio di compiere azioni di vera rottura col passato, riconoscere ai due Stati uguale dignità, farli diventare subito membri della UE e isolare l’America. Non sarebbe fantapolitica se solo avessimo gente al potere con una sola idea davvero rivoluzionaria, un’idea di pace come in tempi diversi l’hanno avuta Gandhi e Mandela. Io proporrei un comitato per la restituzione del Nobel consegnato a Obama e conferirlo a Gandhi che non lo ha mai ricevuto, il Mahatma che qualche mese prima di morire disse: “ La nonviolenza è il primo articolo della mia fede. È anche l'ultimo articolo del mio credo...e poi occhio per occhio si diventa ciechi…”

39° Parallelo - Agosto 2014

Alfredo De Giuseppe

 

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