2014-07-26 "Andando alla serra" - Il Volantino

Se non sei un viaggiatore esperto, ti trovi a Tricase, nella piazza titolata a quell’insigne giurista patriota, sconosciuto ai più, che fu Giuseppe Pisanelli, se è un sabato pomeriggio, non hai l’auto e vorresti andare alla Serra, ti accompagno io, non ti preoccupare. Faremo insieme questo viaggio e rallentando un po’ la normale velocità di crociera, ti porterò fino alla meta. Ci teniamo sulla destra, prendendo la discesa, perché a sinistra si va al Porto. Tralascio di commentare l’asfalto che appare come il paesaggio lunare fotografato  dalla Apollo 11, perché appena finite le ultime case, inizia la periferia, la solita tremenda, trasandata periferia. Sulla sinistra scorgi un vecchio capannone abbandonato. E’ di proprietà comunale, era nato come deposito di prodotti agricoli di una cooperativa, poi è divenuto il centro di spazzature varie, parcheggio di automezzi e attrezzi pubblici ormai in declino. Proprio affianco sorge l’edificio che era il macello comunale. Da decenni è semplicemente un rudere. Sul ciglio stradale c’è una casa diroccata che doveva essere parte integrante dello stesso macello: se mi chiedi perché stia così non te lo so dire, nessuno te lo saprà dire. Proseguendo, sempre sulla tua sinistra, arrivi al depuratore. C’è un leggero vento di scirocco, l’odore dell’aria diventa nauseabondo, ti meravigli che sia così vicino alle case e allora qui dobbiamo proprio fermarci. Il depuratore è stato progettato nel 1956 da amministratori poco lungimiranti che non hanno pensato che quella strada potesse essere la naturale prosecuzione del paese verso il mare, hanno inquinato l’insenatura più bella e leggendaria di Tricase, il Canale del Rio, e hanno affossato l’unico vero possibile sviluppo della città. Gli amministratori successivi hanno solo peggiorato la situazione concedendo licenze edilizie, sanatorie in deroga per case, officine e ricoveri di ogni tipo o progettando nuove oscenità come quella buca enorme che doveva essere la cisterna delle acque reflue da utilizzare per l’agricoltura. Mai funzionante, ma ormai indelebilmente presente affianco al depuratore. Case private e giardini di verdure a pochi metri dalle puzze peggiori e, per non farci mancare niente, un ricovero di barche esteticamente molto discutibile (ma la barca non doveva essere un segno della bellezza e dell’ingegno dell’uomo?). Case ovunque, quasi sempre inutili e brutte, in barba al divieto totale di costruire su quelle strade che portano al mare: non sarebbe stato meglio un piano ben fatto che permettesse di fare delle cose belle e funzionali, anche per la collettività? Faccio appena in tempo a ricordare al mio amico che Tricase non ha mai avuto un qualcosa che assomigliasse ad un Piano Regolatore (quando si farà sarà solo aria fritta) che ci appare sulla destra il vero ecomostro tricasino, l’albergo della Diocesi, un’aberrante costruzione cui è stato dato il nome di Casa Per Ferie San Basilio. Una costruzione tipo case popolari in mezzo alla bella campagna di Palane, senza alcun senso del colore, dei materiali e della praticità, aperta solo un mese all’anno; se cerchi un responsabile non c’è, nessuno ti dà un’informazione coerente, semplicemente è sorta da sola, “Miracolo Edilizio” lo chiameranno i posteri. E siamo all’incrocio con la litoranea, vedi la chiesetta della Madonna dell’Assunta e se ci credi fai una lunga petizione, poi giri a sinistra e sei nell’insenatura della Serra.  Lì cominci a vedere l’azzurro del mare, il costone verdeggiante del Calino, rimani attratto, dimentichi le sviste umane e inizi una serie di lodi al cielo e agli spostamenti tellurici della crosta terrestre. C’è la torre saracena che qualcuno vuole adattare a chissà che cosa, la piscina seminaturale con annessi gazebo in plastica pesante, il porticciolo scavato fra le rocce e infine la piscina blu del ristorante Grotta Matrona che negli anni ’70 fu la cosa più fotografata della nostra costa. Gli occhi rimangono estasiati dalla luce, dal mare, dalla varietà del tutto circostante. Mentre ti parlo dell’acquaviva e del lavaturu, arriva la telefonata di due belle sorelle che hanno un pezzo di terra appena sotto il Calino. Andiamo a fare due foto, a prendere un thè, il riposo del sabato pomeriggio. Le due salentine, fiere della loro tricasinità, sono lì fra mirti e capperi, avvolte da alberi di ulivo piegati dal vento e rotti dalle pietre dentro un fazzoletto di terra rossa ben tenuta e amata per discendenza. Loro, le sorelle appassionate di piante, arte e cultura, essenza dell’antica ospitalità greca, della disinteressata amicizia, sembrano la sublimazione dei nostri luoghi.

Mi consola che anche il mio ospite occasionale condivida un pensiero: nei prossimi anni ci sarà tanto da abbattere, modificare, sistemare, rendere armonico con la natura, ci sarà lavoro per tutti. Ma ad una condizione: che alcuni sguardi, pensieri e stili diventino pane quotidiano della maggioranza silenziosa che ancora oggi, andando alla Serra, non osa guardarsi intorno.

Il Volantino - 26 Luglio 2014

Alfredo De Giuseppe

 

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