2007-12 "Un treno di lusso nel 2007" (Inedito fino al 2022-03-04) - FB

Metà dicembre del 2007, giorni di scioperi e gran freddo. Per andare a Roma prenoto un treno Eurostar, veloce, da Lecce alla capitale in circa sei ore. Voglio anch’io utilizzare i mezzi pubblici per partecipare al salvataggio del nostro pianeta, per essere un cittadino migliore del rapido funambolo dell’autostrada che irrimediabilmente sarei stato anche in questa occasione. E poi sono con due figli: sarà divertente stare seduto con loro e parlare di tutto, aprire il portatile e collegarsi ad internet, giocare a carte e commentare.

Partiamo in orario. Nella nostra carrozza, c’è una sola toilette sulla cui porta c’è un adesivo: questo WC è fuori uso, si prega utilizzare gli altri; sorrido per l’italiano ferroviario ma comincio a dubitare dell’utilità di aver pagato il sovrapprezzo della prima classe. Ma forse è uno stratagemma per far sgranchire le gambe a tutti: penso che è bello avere qualcuno che si preoccupa della tua circolazione sanguigna. Apro il computer e mi collego ad internet, vorrei prenotare on-line il viaggio di ritorno, ma il segnale è discontinuo: è praticamente impossibile avere un collegamento stabile, meglio spegnere e scrivere qualcosa. In fondo sono ottimista: penso che sia bello che Trenitalia sia più favorevole alle tradizionali forme di relazioni culturali rispetto alle nuove tecnologie, così disumane e fuorvianti. E quindi comincio a scrivere, ma ahimé la batteria è quasi scarica: prendo il cavo elettrico e mi collego all’apposita presa di cui è dotato ogni singolo posto. Peccato: la mia non funziona. Comincio ad avere dei gesti di nervosismo, chiamo il controllore e chiedo cosa sia successo alla mia presa elettrica, lui dice che forse manca la corrente a tutta la carrozza, ma avrebbe controllato e prima o poi avrebbe avvertito il capotreno. Ho scherzato con lui: perché il capotreno è un elettricista? Senza dilungarmi molto: la corrente per il mio PC non c’è. Tutto ciò mi fa ipotizzare la vita prima dei personal computer e di questi pensieri filosofici, obiettivamente, devo ringraziare la meticolosa cura delle Ferrovie dello Stato. Allora decidiamo di andare al bar, un buon caffé ci farà rilassare, nonostante tutti dicano che sia una bevanda eccitante. Al bar i panini sono già finiti e siamo a metà del viaggio, rimangono patatine al formaggio. Almeno il caffè pare non finire mai. E noi felici di tanta rigorosità e del subliminale messaggio (basta con l’inutile abbondanza) ci prendiamo due confezioni di patatine al formaggio, un caffé e un cappuccino. Costo: € 7,50, tiro fuori una banconota da 50 e il barman mi guarda come un marziano e con disappunto: non ho resto, qui non abbiamo mai moneta. Allora penso che mi venga offerta la colazione: no, devo solo andare in giro per il treno a cambiare i soldi. Faccio l’esperienza e mi va bene.

Per fortuna mi ero attrezzato con un libro e due giornali e il tempo sembrerebbe passare in fretta. Io e miei figli, d’altronde, non possiamo parlare più di tanto, per non disturbare tutti quelli che parlano al telefono. Gli unici che non hanno mai utilizzato il telefonino durante tutto il viaggio sono stati due coniugi inglesi, turisti di dicembre e stranamente assorti dal panorama. Qualcuno accenna allo sciopero dei camionisti che ha bloccato l’Italia in questi giorni, lamentandosi il giusto, senza sapere mai nulla dei veri motivi dello sciopero: a noi buoni cittadini che può interessare del fermo di un manipolo di padroncini, evasori, sporchi e cattivi? Ma qualche argomento da approfondire ce lo dà ancora una volta Trenitalia: fra Benevento e Caserta il treno si ferma. Dopo dieci minuti una voce gracchiante e difficile da interpretare dice che siamo “bloccati per un guasto sulla linea”. Stavolta ne voglio sapere di più e vado alla carrozza 3 dove c’è una specie di cabina dei controllori: una mortificata signorina mi guarda e subito mi dice “non so niente, non so quando ripartiamo e neanche il motivo del guasto”. Ringrazio solo a gesti, torno al mio posto e mi basta quel breve tragitto per intuire che molte cose che a noi appaiono incomprensibili sono disposte in modo da far del bene: non dando informazioni non c’è possibilità che qualcuno si agiti e tutti restano convinti al loro posto, in fondo ottimisti sulla soluzione del guasto. In effetti dopo circa 45 minuti ripartiamo e siamo così felici che sembra ci abbiano fatto un regalo: stiamo viaggiando regolarmente. Non è bello avere sussulti emotivi e poi tornare alla normalità?

Ma l’imponderabile è sempre dietro l’angolo (è un insegnamento degli antichi greci, addirittura) e quando siamo nei pressi di Roma il treno si ferma di nuovo, inspiegabilmente. I viaggiatori fanno nei primi quindici minuti una ridda di ipotesi: nuovo guasto, binari occupati da qualche categoria in lotta, un suicidio, il ghiaccio e forse un black-out. Arriva la solita voce e ci informa, stavolta con dovizia di particolari che “siamo fermi per furto di cavi di rame sulla linea elettrica”. Lo dice con una tale leggerezza che sembra una delle tante frasi prestampate sui manuali di viaggio. Risate e disappunto fra i passeggeri: molti hanno individuato in meno di dieci secondi i colpevoli, che non potevano che essere rumeni. Ma che aspettiamo a rispedirli tutti a casa? O meglio ancora in galera e poi passati nelle camere a gas? I civili passeggeri della prima classe di un Eurostar si sono proprio incazzati. Ma ancora una volta, in appena 40 minuti il guasto (il furto) è riparato e possiamo ripartire. Arriviamo a Roma con circa 90 minuti di ritardo: le camere a gas possono aspettare e così tutto il resto. In questo Dicembre non c’è traccia di efficienza e modernità, di cultura d’impresa e voglia di lavorare, di comprensione e organizzazione, e mentre i telefonini impazzano, intravedo il Colosseo e mi emoziono per niente.

 

Dicembre 2007 (inedito)

Pubblicato su Fb il 7 marzo 2022                                                               

Alfredo De Giuseppe

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