2005-09 "Cina e guerra: pari non sono" - 39° Parallelo

Piccola digressione sulla nostra economia inserita nel quadro mondiale di questi ultimi anni fra guerre sante e mondi nuovi.

C’è un luogo comune in questi ultimi anni che giustifica i disastri economici, le difficoltà di questi terribili tempi del nuovo millennio: la Cina. Senza alcuna analisi concreta, senza dati precisi, in qualsiasi consesso, in qualsiasi discorso da bar o da Parlamento, basta dire la sola parola Cina per ricevere consensi immediati, supine approvazioni delle analisi più superficiali. La Cina è diventata la risposta a tutti i nostri mali: potenza dell’informazione mediatica al servizio delle particolarità politiche. Chiude un calzaturificio a Tricase, un cravattificio a Corsano o un ristorante a Tiggiano e la colpa è sempre e soltanto della Cina. L’analisi è presto fatta: lì i lavoratori costano una ciotola di riso, tutto costa meno. E’ una concorrenza che non si può reggere!!

Ma è davvero così? I mali della nostra economia derivano tutti dalle sfrenate industrializzazioni dei paesi dell’estremo oriente? Partiamo dal presupposto che la liberalizzazione degli scambi commerciali definitivamente sancita dal WTO a partire dal gennaio del 2005 è una concausa, e che nell’economia globalizzata niente va escluso, ma vediamo di intuire anche le altre cause.

Innanzitutto la nostra società ha smesso di lottare per il benessere: l’ha raggiunto e non vuole evolversi reinventandosi in funzione di ciò che accade nel mondo. Fino a qualche anno c’erano nel mondo dei sistemi comunisti che impedivano a miliardi di persone di consumare auto, vestiti, alimentari di qualità, vacanze e quasi tutto il resto, escluso l’istruzione e la sanità. Oggi quei popoli vogliono le stesse cose che abbiamo noi e per questo lottano strenuamente. Noi di fatto per mantenere ciò che possediamo, abbiamo due strade, o impedire che quei popoli abbiano quello che abbiamo noi  o guardare avanti, avere il coraggio di buttare all’aria alcune certezze. Una di queste certezze è per esempio uno sviluppo basato sul petrolio: dovremmo immaginare un futuro molto prossimo fatto di energie pulite e rinnovabili. E’ stato provato che se tutti gli uomini del mondo dovessero avere un’auto con le caratteristiche odierne, salterebbe qualsiasi equilibrio planetario, sia dal punto di vista ambientale che economico (intanto la Cina vende 200.000 auto al mese ed ha superato la Germania al terzo posto). Resta a noi, popoli tecnologicamente avanzati e dal benessere abbastanza diffuso, prenderci carico delle trasformazioni dei supporti energetici, risolvere i problemi ambientali e diffonderli in tutto il mondo, come abbiamo fatto con le auto e i telefonini. Questo dovrà essere il nostro orgoglio futuro: far girare questo mondo senza distruggerlo ogni giorno.

Un'altra certezza che dovremmo rimuovere è la funzione degli USA come motore centrale della nostra attività umana. Quasi nessuno dei media internazionali ha la forza di mettere a fuoco con precisione, quanto abbia influito sull’attuale economia mondiale l’idea del petroliere Bush di iniziare una specie di guerra santa della democrazia, dimenticando alcuni insegnamenti basilari di un suo celebre connazionale del 1700, Benjamin Franklin: “ Non c’è mai stata una guerra buona né una pace cattiva”. Invece molti governi europei lo hanno seguito nella logica dello scontro frontale con altri popoli e civiltà al solo scopo di imporre la democrazia. Eppure dovrebbe essere lapalissiano che la democrazia non si impone, si conquista con lenti passaggi culturali basati sullo scambio e la distensione.

 I commenti sulle ripercussioni economiche della guerra sono quasi inesistenti sulla nostra carta stampata e soprattutto in TV, eppure sembra ormai chiarissimo che questo clima da guerra mondiale abbia fatto salire il prezzo del petrolio da 25 dollari del 2001 ad oltre 70 dei giorni nostri (mentre l’aumento della produttività cinese avrebbe generato un aumento non superiore al 10%).  Ha di fatto dimezzato il turismo mondiale con difficoltà di movimento per le genti comuni un po’ per paura e un po’ per denaro. Ha bloccato nel mondo arabo alcune importanti vie di smercio che stavano per aprirsi per i prodotti occidentali ed ha soprattutto fatto avanzare i fondamentalismi di tutto il mondo, compreso quello cattolico.

Dovremmo analizzare la nostra economia con maggiore obiettività e ci accorgeremmo che oltre ai cinesi e oltre al petrolio a quasi cento dollari, c’è la nostra stanchezza, il retaggio di antichi privilegi che nessuno vuol perdere, l’ignoranza culturale di sentirsi sempre meglio degli altri. Non dimentichiamo che i treni sono più veloci, puliti e puntuali in Cina che in Italia, le grandi opere sono orientate su sistemi eco-compatibili e strutturate su nuove tecnologie (mentre la vecchia industria è fra le più inquinanti al mondo), che sono oltre un miliardo di persone e sono riuscite a sopravvivere a millenni di stenti e soprusi.

Quando sentiremo parlare della Cina come l’unica colpevole dei nostri mali, riflettiamo su questi brevi concetti e, quando chiude una nostra azienda, a tavola, a tv spenta o al bar con gli amici, valutiamo le colpe (i ritardi) dell’imprenditore, quelle del sistema Salento e Italia (o Europa) e la scarsa voglia di tutti noi di fronteggiare la vita che si modifica e per fortuna si apre anche agli altri.

39° Parallelo - Settembre 2005

Alfredo  De Giuseppe

 

 

 

 

                              

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