2017-06 "Regioni da eliminare per salvare l’Italia" - 39° Parallelo e Giornale di Puglia

C’è un principio universale che regola la vita dei popoli: ogni volta che in politica si agisce d’impulso, si dà pieno slancio alle pulsioni di “pancia”, senza analizzare pesi e contrappesi, puntualmente si sbaglia. Basta vedere Trump: non ne azzecca una,  perché c’è un abisso fra la sua vittoria ottenuta con promesse impossibili e la realtà del mondo che cambia e ha bisogno di analisi e studi lungimiranti. E lo stesso vale per l’Europa e la nostra amata Italia, che dal punto di vista  della struttura istituzionale  cambia, scambia, converte e riconverte da almeno trent’anni e non se ne vede la fine. L’esempio clamoroso più recente è la vicenda delle Province. Prima estinte a furor di popolo e commenti tv, dimezzate in attesa del referendum del dicembre 2016, resuscitate dall’esito della consultazione popolare, ora delle entità Zombie, sospese far la vita e la morte, ma senza soldi e risorse. Perché qualcuno aveva dimenticato che le Province avevano in grembo scuole e strade e nessuno aveva indicato a chi toccassero manutenzioni, progettazioni e controlli. Tutto era andato bene fino al 1970, poi furono istituite le Regioni, che si badi bene, non sono enti locali (tipo Comune o Provincia) ma enti autonomi che operano in regime di autonomia amministrativa. Quella scelta si è rivelata per l’Italia disastrosa da molti punti di vista. Innanzitutto ha dato la stura a tutte quelle pulsioni autonomiste che per circa un secolo erano rimaste sopite sotto la necessità di costituire finalmente uno Stato unitario che sapesse dare a tutti i cittadini uguali opportunità, dentro regole certe di civiltà e legalità. C’è stata subito la lunga rivolta in Calabria per definire il capoluogo di Regione, negli anni si è dato corpo al Nord a quella spinta xenofoba e divisiva che ha sempre visto il Sud come una palla al piede. Un disastro sociologico e culturale. È arrivato il 2001 e, per arginare una Lega secessionista, si son concesse alle Regioni ulteriori competenze. Da quel momento la situazione è davvero peggiorata in modo eclatante: sanità diverse e onnivore, scuole senza coordinamento, trasporti allo sbando, competenze confuse, la spesa pubblica alle stelle. Unico risultato: tante Italie diverse, impoverite da debiti pazzeschi con in sovrappiù una crescita esponenziale della casta declinata in tutti i suoi peggiori vizi. La dimostrazione più chiara della certezza del disastro la danno di tanto in tanto i governi nazionali che per uscire dal marasma si ingegnano su evidenti retromarce, tipo la Legge Obiettivo, la Riforma Costituzionale che riportava a Roma molte funzioni e tanti altri piccoli tentativi di riordinare competenze slabrate, soprattutto su questioni legate alla sanità.

Ora si impone una riflessione: se le Regioni sono state create come ulteriore intermediario fra i cittadini e le istituzioni nazionali ed europee, possiamo tranquillamente affermare che quel progetto, oltre che fallimentare, oggi è inutile. Infatti con le nuove tecnologie non c’è alcun bisogno di un ulteriore tappo come la Regione, che si interpone per ogni esigenza di sviluppo e di coordinamento. Che senso ha dire che i trasporti sono gestiti a livello regionale nel momento in cui c’è necessità di una complessa e disciplinata interdipendenza fra tutti i mezzi di trasporto a livello nazionale e globale? Nessuno, a meno che non si sia demenzialmente coinvolti.  Le Regioni hanno amplificato le differenze già sublimate dagli ottomila Municipi, sono un cancro da estirpare al più presto dalla nostra vita istituzionale se vogliamo cominciare a progredire e a migliorare i conti. In definitiva ci basterebbero i Comuni che devono occuparsi davvero della vita dei cittadini, le Province che dovrebbero occuparsi delle infrastrutture di un territorio omogeneo (comprese le mille inutili zone industriali e la raccolta dei rifiuti) e i Ministeri che on-line svolgerebbero gran parte delle funzioni richieste oggi alle Regioni. Magari ci sarà bisogno di un ufficio in ogni Comune che possa dare qualche supporto di collegamento diretto, ma solo così avremmo una scuola unica, una sanità uguale per tutti e un risparmio che vale quanto dieci manovre finanziarie d’autunno. E forse una vera semplificazione. Basta non fare la solita riforma all’italiana, dove si cambia nome, si toglie qualche soldo e tutto il resto rimane come prima. Con un’Europa che prima o poi funzionerà, la vera unica Regione dovrà essere l’Italia con le sue meravigliose bellezze e peculiarità, non venti staterelli buoni solo per aumentare confusione e discriminazione.

39° Paralllelo e Giornale di Puglia - Giugno 2017

Alfredo De Giuseppe

 

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