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2024-02 "L'America da Toro Seduto a Trump" - 39° Parallelo

Per provare a capire perché la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America, rischia (scegliendo) di essere governata di nuovo da un personaggio al limite della decenza mentale e politica come Donald Trump, potrei partire da molte storie dei secoli scorsi. Potrei raccontare della caccia alle streghe del 1600 o dell’importazione massiccia di schiavi dall’Africa attraverso veri e propri rastrellamenti di uomini e donne, che avevano il solo torto di avere un colore diverso della pelle. Potrei partire da un qualsiasi racconto di persone ingiustamente condannate, di vittime del fanatismo e del suprematismo bianco e potrei così tentare di spiegare più plasticamente i motivi della nascita di una Nazione apparentemente libera, ricca e appagata e invece totalmente inespressa, violenta nelle sue contraddizioni, eccessiva in ogni sua manifestazione. Parlerò invece di un capo indiano e cercherò di interpretare le sue parole e le sue motivazioni. Non sarà esaustivo per capire fino in fondo l’ignorante populismo americano e neanche quello mondiale che come un’epidemia (questa sì letale) sta colpendo l’intero pianeta ma farà intuire il DNA, giovane genoma psico/sociologico del Paese più importante degli ultimi 150 anni, il posto dove si è sviluppata la meccanica e la tecnologia, dove si è sperimentato l’attuale modo di vivere dell’homo sapiens. È lì, nel Nuovo Mondo, che è nata l’industria del cinema, la prima catena di montaggio, la prima bomba atomica, il primo uomo sulla Luna, il primo computer alla portata di tutti, il primo telefono connesso con tutto il resto immaginabile. E ancora il marketing aggressivo, l’Intelligenza Artificiale, i robot, i software più sofisticati. Se gli USA vacillano, se sono sulla strada di un’Argentina peronista, se sono sull’orlo di una crisi socio-politica irreversibile, c’è dunque da preoccuparsi, perché ad oggi sono considerati la guida dell’Occidente “illuminato”, la potenza invincibile dell’ultimo secolo.

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2024-01-26 "I DISONESTI DELL'AUTONOMIA"

I DISONESTI DELL’AUTONOMIA

Già nel 2017 segnalai con preoccupazione l’avanzare delle truppe dell’autonomia differenziata. Oggi aggiungerei solo una frase: “onorevoli sudisti, patrioti santificati dagli elettori, siete disonesti e traditori; provo  vergogna per voi, per la mia bella Italia, distrutta e stuprata”.

"SUI REFERENDUM DEL LOMBARDO-VENETO" – FB - Pubblicato in Articoli 2017

Posso sommessamente dire che questi referendum per una maggiore autonomia regionale sono una grandissima cazzata? Avallata per di più da quasi tutti i partiti? Ma siamo davvero una gabbia di matti… Dovremmo lottare per fare gli Stati Uniti d’Europa e siamo qui a rinverdire i granducati dei secoli passati. L’Italia come la Francia e la Germania, dotate di leggi similari, dovranno diventare le macroregioni di un’Europa finalmente unita. Che ce ne facciamo di altri 20 staterelli? Magari in guerra fra di loro per un ospedale o una scuola…

Ho già detto più volte che credo alla Democrazia Mediata e riconosco molti limiti nella Democrazia Diretta. Se all’indomani di un delitto efferato facessimo un referendum sulla pena di morte i Si vincerebbero a man bassa. Se facessimo un referendum in ogni Regione, in ogni Provincia tutti vorrebbero governarsi da soli. E se chiedessimo ai cittadini se vogliono pagare le tasse? Ma si può fare? Ha senso quando i competitor internazionali sono di dimensioni enormi? Oppure tutto questo è il semplice frutto del rimbecillimento collettivo dopo decenni di campagne tv e giornalistiche di stampo razzista e fascista?

FB – 23 Ottobre 2017 - ALFREDO

E’ UN ARGOMENTO CHE, nel disinteresse generale, HO RIPRESO PIÙ VOLTE, QUI DI SEGUITO PUBBLICO IL LINK DI UNO DEI MIEI ARTICOLI, PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2023 SUL BIMESTRALE 39° PARALLELO:

https://www.alfredodegiuseppe.it/index.php/archivio-2023/897-2023-02-differenziati-e-terroni-39-parallelo

 

2024-01-14 "il calcio a Tutino di Tricase"

Il calcio “popolare” è cosa ben distante da quella roba scintillante, tecnologica, quasi eterea a cui siamo abituati oggi, dove tutto è codificato e non c’è più spazio per uno spiraglio romantico. Nel calcio moderno tutto ci appare irraggiungibile, tanto da sembrare un videogioco inventato sulle piattaforme online. Il calcio dei bambini sulle piazze è sparito da anni, lo spirito di aggregazione spontanea e innocente è rimasta in alcune zone più povere del pianeta, vedi Africa e SudAmerica, dove il calcio rappresenta puro divertimento dentro un segno di rivalsa, una fuga dentro un sogno collettivo. Nel calcio “popolare” c’è ancora tempo per l’autoironia parlando di aneddoti, papere e gol incredibili, per darsi un abbraccio, per sentirsi ancora vincolati da un qualcosa che ha perso il sapore delle vittorie e delle sconfitte e ha il solo sapore nostalgico del tempo che passa. Insieme, nonostante tutto.

Bene hanno fatto Michele Dell’Abate e il Presidente dell’epoca Salvatore De Giuseppe, a farsi promotori di una reunion di una piccola realtà calcistica come il Tutino che agli inizi degli anni ’90 fino al 1996 calcò i campi di terza e seconda categoria. Oggi, trent’anni dopo, è stato bello rivedersi, fosse solo per dirsi che non tutto è stato inutile.

Eccoci qui, riuniti venerdì 12 gennaio 2024, trent’anni dopo.  

FB, 14 gennaio 2024

Alfredo 

2024-01-12 "PREFAZIONE al libro di Luigi Torsello"

Il libro di poesie in uscita Gennaio 2024 con prefazione di Alfredo De Giuseppe e copertina de "La Pupazza"

Conoscevo da pochi giorni Luigi Torsello quando mi ha proposto il testo di “Fra i muri del Salento”. Lui era stato per decenni lontano dal Salento, aveva pochi contatti e si presentava con un’aria dolce, mite e pensierosa che da subito mi aveva incuriosito. Mi ha raccontato che aveva passioni di vario tipo, dalla ceramica alla pittura, al cinema, ma soprattutto si stava dedicando da tempo, con maggiore impegno,  alla scrittura. Questo suo fervore, questo suo bisogno si leggeva in ogni suo sguardo, in ogni pausa del suo dire, in ogni sua comunicazione fisionomica.

Torsello ha pubblicato libri di poesie fin dal 1980, non è un libro d’esordio, ma, oserei dire che questo non è neanche un libro di poesie. Il linguaggio usato non ha una metrica o una ricerca chiusa nella poetica classica, non c’è una ricerca semantica o uno studio semasiologico innovativo. Qui l’Autore, con semplicità, umiltà e dedizione, ha cercato sé stesso attraverso una cascata di pensieri riguardanti l’esistenza, la società che si disgrega, la nostalgia della giovinezza, l’amore per la natura, la speranza invisibile dentro un futuro complesso. Le sue deduzioni, sempre coerenti, vanno a comporre un mosaico di umanesimo, condito da tasselli neri e celesti, che si rincorrono in un ideale disegno di identità. Questa parola, identità, è forse il segno che lega tutte le poesie, a volte nostalgiche e decadenti, altre volte rivolte ad una critica sociale tendente ad una nuova visione del mondo.

Percorrere sentieri sempre nuovi, privi di muriccioli a secco, senza i quali è infinito tutto quello che non s'allinea ai nostri sguardi” scrive Torsello in una sua poesia, dove questo turbinio di sentimenti alternati e frustati è reso visibile e chiaro agli occhi del lettore. Ma c’è, come dicevo, anche una ricerca introspettiva, perché tutto si riporta dentro di sé, contenitore universale del bene  e del male: “ Perché chiedersi della propria natura, se si è coscienti di essere, e perché volere a tutti i costi essere ciò che non si è?” “Quello che ho compreso della vita è che nemmeno l'alba è sincera, giacché poi ti regala un giorno completamente diverso da quello che ti aveva promesso”. Sono due passi di due diversi componimenti che danno la misura della profonda necessità di capire, cercare i perché e le risposte, intuire che il mondo sta andando in una direzione diversa da quella che ti eri immaginato.

Luigi Torsello ha inteso titolare questo libro “Fra i muri del Salento” non tanto nell’esaltazione della bellezza della natura e delle opere umane presenti nel suo natio angolo di terra, quanto per sottolineare la sua appartenenza, per dare finalmente una dimensione al suo essere, per definire il suo stato identitario, che ha bisogno della natura che lui conosce come bontà fanciullesca e della socialità che lui spera sia ancora vitale. Non è un titolo casuale, è il ritorno alle origini, forse un’illusoria malinconia fanciullesca, dove correre tra rovi e muri antichi sembrava già sinonimo di felicità. Luigi sta facendo un suo originale percorso poetico, forse in via di affinamento, ma certamente vero, senza infingimenti, senza sopravalutazioni dell’esistente, con quel malcelato disincanto che può solo creare benefici personali e collettivi.

FB - gennaio 2024

Alfredo De Giuseppe

 

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