062 - Un depuratore sbagliato - 2018-11-24

Nel 1952 fu progettato il depuratore di Tricase. L’opera fu realizzata nel 1956. Al tempo c’erano circa 12.000 abitanti, un’economia molto povera, dedita quasi tutta all’agricoltura e all’artigianato. Era il tempo di Giuseppe Codacci Pisanelli, il cittadino più illustre: in quegli anni era diventato, per un breve periodo, Ministro della Difesa con un governo De Gasperi, aveva contribuito alla fondazione dell’Università degli Studi di Lecce, di cui divenne Rettore (lo sarebbe stato dal 1955 al 1975). Soprattutto, da politico tradizionalista, quasi da destra anglosassone, era stato uno dei padri costituenti nel 1946 ed aveva l’ultima parola sulle scelte importanti che riguardavano la sua Tricase, la sua dolce dimora estiva, dove amava conversare con i suoi concittadini. I quali, puntualmente, lo aspettavano sotto casa, in un’ordinata fila cronologica, per chiedergli qualsiasi cosa, soprattutto un posto di lavoro fisso e sicuro. Sicuramente la questione ambientale non era all’ordine del giorno.

Quando l’Acquedotto Pugliese realizzò l’opera, Sindaco della città era il col. Antonio Resci. L’acqua sporca veniva buttata per strada, i rifiuti organici e inorganici venivano raccolti in fosse casalinghe che spesso disperdevano i liquidi in falda, di tanto in tanto passava per la città un camioncino comunale che raccoglieva i liquidi più fetidi per poi rovesciarli senza alcun controllo in campagne isolate. Insomma una situazione igienica alquanto deficitaria, mitigata da un consumismo molto limitato (assenza di imballi), da una moltitudine di piccoli contadini autosufficienti che erano artefici dell’intero ciclo dei rifiuti, compreso il fuoco che andava a distruggere i residui più complessi.

La giunta comunale, Codacci-Pisanelli, altri notabili, grandi elettori e politici si convinsero facilmente che costruire il depuratore in mezzo ai campi più produttivi dell’intero agro tricasino poteva essere un beneficio anche per l’agricoltura. Infatti loro stessi erano i proprietari terrieri più facoltosi e pensavano che l’agricoltura sarebbe rimasta in eterno l’unica attività produttiva della zona (non era stato così negli ultimi millenni?). Pisanelli non credeva ad uno sviluppo turistico ed un convinto assertore della micro-agricoltura. I contadini avrebbero potuto disporre di letame di buon livello prodotto dal depuratore e i loro terreni erano i più prossimi a tale produzione. Il fatto che il tubo finale andasse a impattare il mare attraverso l’insenatura del Canale del Rio, forse uno dei punti più suggestivi dell’intero Salento, aveva un’importanza molto relativa.

La cosa filò lisca nel primo periodo: pochi attacchi alla fogna, nessuna controindicazione ambientale, nessuna contestazione all’opera ritenuta necessaria: il super lottizzato Acquedotto Pugliese gestiva il tutto nella massima autonomia. Negli anni ’60 e ’70 gli utenti della fogna pubblica aumentarono notevolmente, si aggiunse l’ospedale, alcune piccole attività e naturalmente uno sconsiderato uso della chimica fertilizzante. Nel febbraio 1977 fu il giornale Nuove Opinioni a rompere il muro di silenzio, a dire con chiarezza che era stato superato il limite di sopportabilità di un’opera inquinante, mal pensata e mal realizzata. Fu denunciato apertamente un sistema denominato by-pass che in definitiva era una saracinesca che a seconda delle esigenze portava i liquami a mare senza alcun processo di depurazione. Nel 1978 il pretore di Tricase, Giuseppe Tuccari, sequestrò il famigerato by-pass del depuratore di Tricase. La notizia arrivò sui quotidiani regionali e nazionali. La vicenda clamorosa e quasi unica a quel tempo impone al Presidente Leuzzi di scrivere una lettera a difesa di Acquedotto Pugliese, apparsa in prima pagina sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 12 marzo ‘78 in cui sostanzialmente dice: “nel progetto del 1952 erano previsti due pozzi Imhoff mentre in realtà ne fu realizzato solo uno; il depuratore è insufficiente e va ampliato”. Da allora ad ogni estate, con l’aumento della popolazione residente, il depuratore va in crisi, emana miasmi, spesso ha sversato in mare acque molto ben colorate. Ogni due o tre anni iniziano lavori di manutenzione, di ampliamento, di ristrutturazione, di ottimizzazione, senza mai abbandonare la malsana idea di allungare la cloaca verso il largo, con un tubo posticcio e sotterraneo. Mai nessun politico, tecnico o funzionario pubblico ha ipotizzato lo spostamento del depuratore, vero portatore di guai nel sistema urbanistico della città.

La scelta sbagliata di quella posizione, al centro delle due strade che portano al Porto e alla Serra ha impedito di immaginare lo sviluppo di Tricase verso il mare e al contempo di rovinare uno degli approdi costieri più suggestivi. Se mai un Piano regolatore esisterà nel nostro Comune dovrebbe partire da questa domanda: che fare del depuratore? Modificare la modalità di smaltimento, rivedere lo sbocco in mare, risistemare l’area circostante sono sicuramente cose costose, lunghe, difficoltose, da realizzare con il coinvolgimento di più enti, dell’Europa e magari dell’ONU. Ma senza questa scelta Tricase rimarrà monca nella sua identità. Né totalmente marinara e neanche campagnola attiva, con un centro storico divenuto periferia e con le frazioni dimenticate: bloccata sulla via di mezzo, ancora pisanelliana.

La mia colonna - il Volantino, 24 novembre 2018

Alfredo De Giuseppe

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