2007-01 "Buche e nient'altro" - Il Gallo / 39° Parallelo

Questo non è un lamento, non vuole essere una provocazione o un’accusa, né fare nostalgiche considerazioni sul passato, e neanche aprire un fronte politico o accademico. Nel mezzo di catastrofi ambientali annunciate, mentre Mastella & C. si battono come leoni per conservare i privilegi del loro 1,8%, mentre il mondo va in silenzio verso un senso globale di povertà, questa è la semplice constatazione  di banali vicende della nostra vita quotidiana nel Salento.

Parliamo delle nostre strade, del record mondiale del dissesto stradale, dello sfascio ambientale e organizzativo legato a tutti i lavori che si fanno su quel lembo di terra che solchiamo ogni giorno, con amore o disprezzo. La cosa funziona così: si progetta un lavoro, si finanzia l’opera, l’impresa inizia i lavori. Fa delle buche enormi dove e come gli pare, finisce il lavoro e ci mette due pezze  di catrame. Alla prima pioggia il terreno sottostante va giù, arriva di nuovo l’impresa e rifà un pezzetto d’asfalto; puntualmente, dopo pochi mesi, la buca è di nuovo lì e allora arriva la squadra del Comune con un Ape Piaggio, mette un pezzettino di asfalto, che a ben vedere è solo colore nero (perché l’asfalto è caro e il Comune non ha i soldi). Per cui la buca diventa un fatto consolidato, anzi quella strada sembra naturalmente nata con i buchi, come il formaggio svizzero. Poi una volta che ti eri abituato a quella strada bucherellata, avevi imparato lo slalom, comincia il lavoro di una nuova ditta, magari il metano o l’acquedotto o l’elettricità e tutto ricomincia. A volte con l’aggravante che l’asfalto, dopo tanti sacrifici umani e meccanici, era stato appena rifatto integralmente. Aggiungete che anche dovesse per qualche mese resistere una strada ben percorribile, troverete tombini di tutti i tipi con relativi dislivelli che crescono ad ogni nuovo manto d’asfalto. E così va avanti da circa sessant’anni e così sarà fino alla notte dei tempi, forse fino a che l’annunciata sollevazione delle acque marine non coprirà tutte le strade delle nostre disgraziate contrade.

Ai rassegnati abitanti non appare strano, benché tutti noi discendiamo dai Romani che oltre duemila anni fa avevano sviluppato delle perfette procedure per costruire strade ed acquedotti. A noi ex portatori di civiltà e inventori di tutto, non appare neanche strano che al Nord Europa o in America, trovare una buca come le nostre è una rarità, direi che è quasi impossibile. Nessuno si chiede come abbiano fatto e allora ho chiesto io, che a volte sono curioso di troppo anche senza essere ingegnere  o geometra. La questione è molto semplice: in quelle nazioni ci sono degli uffici tecnici che coordinano tutti i lavori che saranno eseguiti su quella determinata strada ed il gioco è fatto. Inoltre sulle nuove lottizzazioni si fa una sola volta un grande scavo e ci si infila tutte le tubature del caso e si lascia lo spazio per nuove ed eventuali. Sembra incredibile eppure è solo questo: a dirlo sembra semplice ma a farlo è impossibile. I meandri della burocrazia italiana sono tanti e tali che se uno ci si vuole infilare dentro al fine di fare i propri comodi è facile e redditizio, magari a discapito della collettività e del buon senso. Nei nostri paesini ci sono bellissimi basolati distrutti per allacciare una sola utenza d’acqua (l’acquedotto pugliese ha il record di tombini, uno per ogni casa). Ci sono fili pendenti fin sopra i monumenti più belli. Ci sono tubi dappertutto, sotto terra, sopra terra, sulle terrazze e sulle facciate, azzerando il bello che c’è, che ci difenderebbe dalle invasioni barbariche e ci potrebbe dare la ricchezza. Poveri noi, senza memoria storica e senza progetti per il futuro, neanche per due buche e due strade.

Fino a qualche anno fa scrivere sullo stato dell’asfalto sarebbe stato per me il sintomo di una bieca caduta qualunquista, mentre oggi le buche nelle nostre strade mi appaiono ogni giorno come il paradigma delle nostre inefficienze e incapacità, menefreghismo e corruzione, ignoranza e approssimazione.

Il Gallo / 39° Parallelo - Gennaio 2007

Alfredo De Giuseppe

 

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