2018-06 "Se Stato e individuo fossero in armonia" - 39° Parallelo

Non faccio quasi mai copia e incolla…preferisco sbagliare da solo. Ma qualche giorno fa ho riletto “Cristo si è fermato ad Eboli” e, giunto quasi alla fine del suo capolavoro, mi è capitata questa paginetta, quasi visionaria, che qui riporto, facendola mia rigo dopo rigo, tanto mi ha impressionato per lucidità e attualità. (Ricordo a quei pochi che non lo sapessero che Levi scrisse il libro fra il 1943 e il ‘45, raccontando il suo confino in Basilicata di una decina d’anni prima).

“…Il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. È una classe degenerata, fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale. Finché questa classe non sarà soppressa e sostituita non si potrà pensare di risolvere il problema meridionale.

Questo problema, nel suo triplice aspetto, preesisteva al fascismo; ma il fascismo, pure non parlandone più, e negandolo, l’ha portato alla sua massima acutezza, perché con lui lo statalismo piccolo-borghese è arrivato alla più completa affermazione. Noi non possiamo oggi prevedere quali forme politiche si preparino per il futuro: ma in un paese di piccola borghesia come l’Italia, e nel quale le ideologie piccolo-borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le più estreme e rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse più, lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano. Senza una rivoluzione contadina, non avremo mai una vera rivoluzione italiana, e viceversa. Le due cose si identificano. Il problema meridionale non si risolve dentro lo Stato attuale, né dentro quelli che, senza contraddirlo radicalmente, lo seguiranno. Si risolverà soltanto fuori di essi, se sapremo creare una nuova idea politica e una nuova forma di Stato, che sia anche lo Stato dei contadini; che li liberi dalla loro forzata anarchia e dalla loro necessaria indifferenza. Né si può risolvere con le sole forze del mezzogiorno: ché in questo caso avremmo una guerra civile, un nuovo atroce brigantaggio, che finirebbe, al solito, con la sconfitta contadina e il disastro generale; ma soltanto con l’opera di tutta l’Italia, e il suo radicale rinnovamento. Bisogna che noi ci rendiamo capaci di pensare e di creare un nuovo Stato, che non può più essere quello fascista, né quello liberale, né quello comunista, forme tutte diverse e sostanzialmente identiche della stessa religione statale. Dobbiamo ripensare ai fondamenti stessi dell’idea di Stato: al concetto d’individuo che ne è la base; e, al tradizionale concetto giuridico e astratto di individuo, dobbiamo sostituire un nuovo concetto, che esprima la realtà vivente, che abolisca la invalicabile trascendenza di individuo e di Stato. L’individuo non è una entità chiusa, ma un rapporto, il luogo di tutti i rapporti. Questo concetto di relazione, fuori della quale l’individuo non esiste, è lo stesso che definisce lo Stato. Individuo e Stato coincidono nella loro essenza, e devono arrivare a coincidere nella pratica quotidiana, per esistere entrambi. Questo capovolgimento della politica, che va inconsapevolmente maturando, è implicito nella vita contadina, ed è l’unica strada che ci permetterà di uscire dal giro vizioso di fascismo e antifascismo. Questa strada si chiama autonomia. Lo Stato non può che essere l’insieme di infinite autonomie, un’organica federazione”.

Carlo Levi scriveva queste cose prima della Costituzione Repubblicana, forse andando oltre la stessa Carta fondamentale dei diritti e dei doveri. Concetti che ribadirà ancora meglio nel suo “L’orologio” pubblicato nel 1950, dove denuncia il perpetuarsi del sistema. Un grande scrittore, un grande pensatore: per me una pietra miliare della cultura e della politica italiana. Quando a 13 anni lessi la prima volta Cristo si è fermato…, su segnalazione (o imposizione?) del professore delle Medie, mi fermai agli aspetti più folcloristici del racconto. Poi l’ho riletto intorno ai 30 e vidi delineate con chiarezza e coerenza le condizioni del Sud pre-Repubblica, al di là delle retoriche e delle forzature storiografiche. Oggi a 60 anni mi sembra di leggere un libro poderoso e immortale che tenta di mandarci un segnale univoco: per riformare davvero la nostra società, ripartiamo dall’individuo, dalla sua vita, dai suoi bisogni, dalla sua libertà. Nel rispetto reciproco, fra la persona, innegabilmente unica, e lo Stato di tutti.

39° Parallelo - Giugno 2018

Alfredo De Giuseppe

 

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