2018-05-23 "Don Tonino e Tricase", evento a Palazzo Gallone

Trascrizione integrale intervento di Alfredo De Giuseppe del 23 maggio 2018  (Sala del Trono, Tricase, ndr) sul tema “don Tonino e Tricase”

Ringrazio Rocco Cosimo Musio dell’Ass. “Dialoghi e Reti” per l’invito ricevuto. Devo ribadire, come già fatto a suo tempo con Cosimo, che all’inizio ero molto titubante se accettare di essere parte attiva di questo seminario, soprattutto per due ordini di motivi:

  • non volevo partecipare a questo gioco mediatico (e quindi necessariamente un po’ ipocrita) che pare abbia colpito all’improvviso la figura di don Tonino Bello;
  • da non credente, non mi sentivo inserito negli attuali dibattiti relativi alla santificazione di don Tonino, che considero una cosa tutta interna al mondo cattolico, con i suoi riti, i suoi tempi, le sue regole, tutte cose del resto che consentono ancora all’istituzione Chiesa di sopravvivere a dispetto di un’evidente e irrefrenabile secolarizzazione di usi e costumi.

Cosimo però mi ha convinto con alcune considerazioni: cercheremo di parlare della figura, anche laica, del don Tonino parroco di Tricase, inserito nel contesto storico in cui operò, anche in riferimento ad alcuni problemi che accompagnarono la sua permanenza nella nostra città… E poi una voce dissonante, magari in contrasto con le vulgate più di moda, può far comodo al dibattito nel suo complesso, alla crescita di una Chiesa locale ancora alla ricerca di una missione più concreta.

Ed eccomi qui, da intruso, a cercare di ricordare con onestà il don Tonino tricasino (per quel poco di contributo diretto che posso dare in questo momento), anche se gli appassionati interventi di ieri sera di Gigi Lecci, Caterina Scarascia e Claudio Morciano hanno già tratteggiato dal di dentro la sua figura parrocchiale e sociale. 

Io partirei dalla domanda di cosa fosse la Tricase del 1979 e facilmente rispondo:
Viveva di uno strapotere democristiano, il clientelismo era la piaga peggiore per un popolo che doveva crescere, il territorio devastato dall’assenza di un piano regolatore, proprio nel massimo dello sviluppo edilizio, l’emigrazione ancora perno dell’economia, mentre l’agricoltura perdeva consistenza (fine della coltivazione del tabacco) e cresceva esponenzialmente la scolarizzazione superiore.
Come veniva rappresentata la vicenda socio-politica dell’epoca?
Ovviamente non c’erano internet, facebook e i giornali on-line.
Circolavano in paese TRE giornali - riviste che spesso si fronteggiavano sui temi della politica nazionale e locale: Nuove Opinioni, Bollettino Popolare e Siamo La Chiesa.

Siamo la Chiesa, edito dalla Parrocchia di sant’Antonio, andava ben oltre un semplice bollettino parrocchiale. Dalle sue pagine, su impulso anche del giovane parroco don Donato Bleve, partirono inchieste scomode e commenti non propriamente gentili verso potentati economici e politici.

C’era il Bollettino Popolare che era invece un house-organ interno alla DC, dove le notizie erano sempre ben impostate in modo da non interferire con l’azione amministrativa. 

Mentre, sul lato opposto, Nuove Opinioni era il giornale progressista, comunque schierato contro il potere democristiano, di cui riusciva con vari articoli a denunciare metodi e soluzioni non propriamente democratiche; diciamo che aveva al suo interno un certo numero di socialisti e comunisti, oltre a giovani scapestrati come me, e questo lo rendeva di per sé un giornale-contro.

Qualche giorno fa ho aperto la mia collezione di Nuove Opinioni del 1979 per capire i temi di cui si dibatteva in quel momento: c’era l’eterno problema del depuratore con la sua cloaca verso il canale del rio, c’era la volontà di creare una nuova discarica in zona Posti cui si opposero 60 contadini, c’era una giunta litigiosa benché tutta democristiana. N.O era visto come fumo negli occhi perché ne dava conto, con un linguaggio a volte fin troppo spicciolo, direi da pettegolezzo da bar dell’angolo, ma insomma era la prima volta che si leggeva di queste cose sulla carta stampata. La DC era abituata a discutere molto al suo interno, ma a far sapere pochissimo all’esterno di cosa realmente si stesse discutendo.

Vi leggo un passo di una lettera aperta (senza firma e quindi evidentemente condivisa da tutta la redazione) al Sindaco Serrano pubblicata sul numero di Novembre 1979:

“… Ed il bilancio ancora una volta parla dell’arroganza del potere democristiano. Non sono parole o slogan, ma fatti. Fatti che tutti i cittadini attenti alla vita amministrativa del nostro paese, hanno già constatato. Una divisione nettissima e acerrima all’interno del suo stesso partito; un miscuglio eterogeneo di personalismi all’interno della Giunta e, soprattutto, una lotta di potere mai vista prima a Tricase”.

L’uscita mensile di N.O che, ricordo a tutti, si vendeva in edicola, ma soprattutto si riceveva in abbonamento postale, era una specie di avvenimento, atteso da elettori e amministratori. Io, da ventenne inquieto e impegnato, usavo N.O. come una specie di laboratorio, sia per esperire la passione giornalistica (mai sopita) e sia per far sentire la voce di un Movimento Giovanile che altrimenti non avrebbe avuto voce nei canonici spazi culturali dell’epoca.

Don Tonino Bello, come tutti, leggeva con attenzione il periodico tricasino, dimostrando inoltre quella grande capacità di personalizzare ogni rapporto. Per cui spesso mi fermava e voleva parlare di quello che avevo scritto, come se fosse realmente curioso, come se volesse capire fino in fondo (secondo me c’era anche una sottintesa volontà di riprendere qualche pecorella smarrita). Però io spesso rintuzzavo le sue posizioni, anzi gli rinfacciavo i silenzi della Chiesa sui temi più scottanti della società, dalle guerre alle mafie.

Ed è in questo contesto che si collega l’episodio che stasera voglio raccontare e che seconde me raccoglie in sé molte dinamiche del don Tonino di Tricase e del suo rapporto col mondo circostante. Scoppiava in quel periodo la polemica sulla richiesta USA al governo italiano di piazzare a Comiso, in Sicilia, una base per missili con testate nucleari. Era la dimostrazione finale di quanto l’Italia fosse in realtà una base americana nel Mediterraneo e soprattutto sembrava si stesse di nuovo correndo verso una guerra nucleare, con dimostrazioni di forza da parte americana e russa.  

A Tricase, come in ogni parte d’Italia, vi furono incontri, assemblee, scioperi per far salire il livello di attenzione sul riarmo mondiale e sulla mancata ricerca di azioni di pace da parte di tutte le istituzioni (Chiesa compresa). Io e miei amici ci riunivamo all’interno di un negozio di dischi, che più che un’attività commerciale era una specie di luogo di sperimentazione politica, dove in quel periodo stavamo preparando una serie di iniziative contro i missili americani. Una mattina mi incontrai quasi per caso con Don Tonino, vicino all’edicola di Gigi, “sotto l’orologio” e con franchezza gli dissi che non era possibile parlare cristianamente di pace senza entrare in polemica con queste scelte governative, internazionali, intorno a un tema di tale importanza.

La cosa sembrava essere finita lì e invece dopo una settimana arrivò in redazione il suo articolo sui missili Cruise dal titolo “La pace non decolla dalle rampe dei missili”. Era il dicembre 1979. Don Tonino era a Tricase da circa 11 mesi e scriveva frasi del tipo:

 “…Ebbene, sono certo che molti gratificheranno col medesimo giudizio di compatimento se dico subito, senza mezzi termini che, come cristiano, non  condivido per nulla la decisione del parlamento italiano di accogliere l’installazione di missili americani sul nostro territorio. Tanto meno, poi, riesco a capire come mai parlamentari che (stando se non altro alle etichette) dovrebbero trarre dal vangelo le ragioni di fondo per impostare il proprio impegno politico, abbiano accettato la logica degli strumenti di guerra e non si siano battuti, invece, con maggiore coraggio e minore incoerenza, per forme alternative a quelle suggerite dalla spirale del potere distruttivo.”

Naturalmente, dopo l’uscita del giornale, quando lo incontrai, non mi mostrai particolarmente contento: gli dissi che mancava qualche nome e cognome per essere perfetto. In effetti in quell’articolo mancava anche il nome della DC, che lui attentamente non aveva inserito, parlando meglio degli uomini cattolici eletti. Del resto potevo essere mai essere contento di un parroco?

Poi, riflettendo, intuii che quel gesto invece fu per lui molto importante: intanto aveva simbolicamente scelto di scrivere su N.O e non su Bollettino Popolare o Siamo la Chiesa, e poi con una certa chiarezza chiamava in causa proprio i cattolici impegnati in politica. Non era insomma un intervento marginale, ma questo lo capii molti anni dopo.

Il nostro rapporto continuò così, facendoci complimenti sui nostri reciproci scritti, ma anche dicendoci con chiarezza ciò che ancora mancava. Un mese pubblicai un raccontino su Tutino che intitolai “la fine del mondo è vicina” e lui mi fermò a dirmi: il tuo racconto è bellissimo, insisti, scrivi, approfondisci…ma non ti fermare, sembra come se tu non volessi farlo davvero, come se tu volessi fermarti un attimo prima… (ha avuto ragione, purtroppo). E io scherzavo: pure tu vuoi rivoluzionare il mondo, ma solo fino a un certo punto…
Lo stimavo ma non andavo comunque in chiesa, l’unica sua messa che vidi fu quella in cui divenne vescovo, in piazza Pisanelli. Forse ho anche delle foto di quel giorno.

Chi era dunque il don Tonino di Tricase? Come era visto dalla classe politica locale?

Don Tonino in definitiva era ancora timido nell’affermazione dei principi nei quali credeva. Qui l’ambiente era complesso da gestire. Di certo flirtava con i giovani socialisti dell’epoca (Francesco Scarascia, Claudio Morciano e altri), ma anche con i politici democristiani al potere. Nessuno può dire che si facesse trascinare in polemiche di tipo partitico. Nonostante questo, però, da buona parte di esponenti politici dell’epoca la figura di don Tonino appariva alquanto complessa da gestire. Questo va detto con forza: don Tonino non godeva delle simpatie generalizzate della classe politica. Alcune cose che diceva ma soprattutto molte di quelle che faceva venivamo vissute come delle offese al potere costituito e ricordo benissimo dei commenti sarcastici sul prete che andava a portare del cibo ad alcune famiglie povere. Era però ancora timido, dicevo: la sua maturazione si stava compiendo ma non era ancora completa. Cosa che poi avvenne con forza e determinazione durante la sua permanenza a Molfetta. Tricase per lui fu una buona scuola civile, base di partenza per diventare poi il battagliero vescovo che andrà in tv a polarizzare l’attenzione su posizioni precise, anche se estreme. Tricase come base di discussione intorno al ruolo della Chiesa, ancora chiusa in sé stessa, nei suoi riti, lontana dai problemi dell’emigrazione e delle guerre regionali nel mondo. 

Cosa è rimasto oggi del pensiero profondo di don Tonino?

A me pare che a Tricase e dintorni la dottrina laica e pacifista di don Tonino sia ad oggi in larga parte disattesa. Sono rimasto colpito quando il 20 aprile scorso è venuto ad Alessano Papa Francesco per visitare la tomba di don Tonino. Io ci sono andato con la mia telecamerina, quattro o cinque ore dopo (per vedere cosa rimane nel dopo-festival). Parlando con alcune persone, ho ascoltato questa frase di un anziano che si diceva ammiratore del papa e di don Tonino stesso: “che grande persona il Papa, e che grande onore per noi, venire ad Alessano ad omaggiare il nostro grande don Tonino. Solo su una cosa non condivido il papa, quando dice che dobbiamo accogliere tutti i migranti senza se e senza ma… io ho votato Lega”.  Ecco il fulgido esempio della situazione che stiamo vivendo: si sposa una causa, si adora una persona trascendendo da quello che lui davvero pensava e avrebbe fatto. Contraddizioni estreme vissute come normali idee politiche dai milioni di cittadini che non sapendo cogliere le novità che offre la nuova società globalizzata, si chiudono sempre più dentro le loro paure ancestrali. Esattamente l’opposto di quello che predicava don Tonino. Oggi un don Tonino vivo avrebbe voluto meno mostre fotografiche, meno adorazioni personalizzate e più fatti concreti, probabilmente sarebbe andato in Siria, avrebbe cercato di essere accanto al popolo curdo che sta combattendo una battaglia di libertà. Qua nessuno si è mosso, stiamo tutti bene, belli e comodi…e votiamo lega nord.

 

C’è stato un altro motivo per il quale ho infine volentieri accettato l’invito alla conferenza di questa sera. Ed è un motivo più lontano e più recondito. Quando Cosimo Musio mi ha contattato per invitarmi a questa conferenza, stavo leggendo un libro di Renata Pisu che è una grande studiosa della Cina, della sua socialità moderna, non scollegata da antropologia, cultura e tradizione. Il libro si intitola “Né Dio Né legge” ed inizia con questo passo:

“I cinesi conoscono il senso del sacro anche se non hanno una religione, cioè non la concepiscono come una funzione differenziata della società. Sacri per loro non sono degli dei di natura diversa dagli umani, ma i santi o i saggi, i quali, come sottolinea Granet, non hanno mai posseduto la maestà trascendente di esseri divini. La loro costruzione della civiltà è armoniosa, non vi è mai spirito di ribellione, l’umano non si contrappone al divino, la cui trascendenza è inimmaginabile, nemmeno con la disubbidienza come fece Eva. Sono tuttavia sacri, semplici grandi uomini”.

Ecco dunque risolto il mio dilemma interiore. Io supponevo che a don Tonino non sarebbe piaciuto parlare di lui come un Santo da mettere dentro una teca, da tirar fuori per applaudirla ad ogni processione. Però, obiettivamente, è stato un semplice grande uomo ed è giusto essere qui a parlare di lui come un esempio di ricerca armoniosa della pace. 

Alfredo De Giuseppe

 

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