2019-06 "Se la percezione vince" - 39° Parallelo

Gli italiani che vivono in Europa, quelli che hanno deciso di votare, hanno una percezione della nostra realtà ben diversa da quella emersa dalle urne del 26 maggio 2019. In questa mini-circoscrizione il PD stravince con il 32%, la Lega si ferma al 18 e il M5S al 14, ma soprattutto i Verdi arrivano quasi al 10% e +Europa al 9, con la Meloni fuori dai giochi con un misero 2,5%. Tutta un’altra storia rispetto al trionfo delle destre populiste tra i votanti italiani, con la schiacciante vittoria di Salvini al 34% appena mitigata da un PD al 22. La percezione, questo è il sostantivo femminile più importante della storia politica italiana. Non i fatti, nemmeno i programmi realizzabili, neanche i risultati raggiunti, ma semplicemente la percezione della realtà. Un sostantivo che esemplifica la formazione di un pensiero attraverso soggettive visioni intuitive che il nostro cervello recepisce in funzione dell’ascolto, delle informazioni ricevute, della propaganda, delle immagini, delle bugie veicolate come verità inconfutabili, della forza dei segni del potere. La percezione virtuale da parte di intere masse come unico strumento di scelta politica è ormai un fenomeno globale, studiato e purtroppo complesso da combattere. Se un americano, mettiamo pure un semplice deputato del Texas, affermasse che c’è un problema di sicurezza sui barconi dei clandestini che sbarcano in Europa perché dal satellite ha visto un uomo con un fucile, la notizia rimbalzerebbe come sacrosanta certezza in Italia. A furia di rimbalzi su notiziari TV, Facebook, Twitter e vari, diventerebbe non solo virale, ma anche fonte di nuove apprensioni, quindi di nuove campagne per la sicurezza globale. E così via, all’infinito.

Basta un breve Twitt per innescare un processo dalla durata e dallo spessore incontrollabile. Sulla percezione si gioca oggi il futuro dell’umanità. Se una giovane donna come Greta Thunberg è riuscita a riportare la questione ambientale in prima pagina e a far prendere un sacco di voti ai verdi di mezza Europa è stato grazie alla sua capacità di far percepire l’urgenza del problema, non certo per dati statistici o scientifici intorno al problema. Ha usato poche parole, ma molto evocative. Salvini è bravissimo a far percepire le sue idee come cose facili da risolvere, con la semplificazione delle procedure, un po’ come per qualche anno ha fatto Grillo. Così come fanno tutti i poteri dittatoriali che risolvono le problematiche sociali con pene di morte, persecuzioni, strampalate elargizioni. Non è un caso che in questi anni ci sia una ventata anti scientifica e soprattutto una forte avversione a qualsiasi forma di approfondimento, studio e analisi. Per superare, seppellire ogni pensiero di questi intelletualoidi (ancora viventi in alcune parti del pianeta) bastano pochi aggettivi: buonisti di sinistra, scienziati asserviti alle multinazionali, sessantottini in cashmere. Mi basta qui ricordare che da Stalin a Mao, da Hitler a Ceausescu, da Khomeini fino a Bokassa, il nemico principale era la cultura, intesa come conoscenza variopinta, come accettazione delle diversità e delle complessità.

Quindi gli italiani che vivono all’estero vedono Salvini in una certa ottica, basata sulla ragionevolezza del loro vivere quotidiano, l’italiano medio vede il buon Matteo attraverso la follia comunicativa del nostro amato e martoriato Paese. Lui che prende il rosario in mano (ed io che pensavo che fosse in disuso pure presso le vecchiette di Tricase), lui che fa i selfie con tutti i giovani che lo osannano, che organizza il quiz-trash “Vinci Salvini”, lui che chiude i porti con un messaggino, ignorando ogni basilare regola umanitaria e ogni idoneo comportamento istituzionale. Lui che coltiva le contraddizioni dell’uomo medio italiano, come faceva Berlusconi e come prima di loro aveva fatto nonno Benito. Lui che ha figli con più donne, che si fidanza con una ragazza ventenne, lui che dispensa odio verso il diverso, ecco lui diventa il difensore della famiglia tradizionale e giacché anche della patria vigorosa e della vera unica indiscussa religione (che guarda caso non coincide con quella che predica il suo massimo esponente, Papa Francesco). Una costruzione basata sulle puerili percezioni di paura, sulle cose dette a metà al fine di poter essere contraddette, sulle eterne battaglie muscolari contro i deboli. Basate sulla percezione dell’uomo forte che vince, il buon prepotente un po’ maccheronico, un po’ fascistello. La coesione sociale intorno ad un progetto è cosa da lasciare a qualche sparuto pensatore. In sintesi, il vecchio mestiere di adattare alla modernità la dura legge della giungla.

Mai come in questa tornata elettorale è stata evidente la falsificazione della percezione ideologica. La prova è venuta dal voto amministrativo tenutosi nella stessa giornata in circa 3.700 Comuni: moltissimi hanno votato Lega alle europee e contemporaneamente il Sindaco del PD per il consiglio comunale. È successo in tante città, da Bergamo a Bari, a Lecce fino a Tiggiano. Come se ci fossero due realtà ben distinte: da una parte quella virtuale venduta come reale e dall’altra quella prosaicamente vicina, quella che tocchi con mano. In una ti fai affascinare da parole ossessivamente ripetute, da slogan semplici e da illusioni fallaci e con l’altra ti rimetti magicamente nelle mani di chi può fare qualcosa nella complessità italiana.

La mia impressione, però, è che sempre di più la realtà virtuale, quella percezione indotta, governerà il mondo. Sarà molto complesso lottare in futuro contro questo nemico, molto complicato restare agganciati alla realtà, perché essa scorrerà incessante ogni minuto su piattaforme gestite nei cloud, i cui algoritmi saranno sempre più sofisticati. Ci rimane la consapevolezza che, per non sopperire verso la dittatura del più forte del web, dovremo essere accorti e profondi.

39° Parallelo, Giugno 2019

Alfredo De Giuseppe

 

 

Stampa