2017-12 "Silvio vince, Italia sconfitta" - 39° Parallelo

Per capire i danni procurati all’Italia dal berlusconismo, con tutto il suo armamentario televisivo e giornalistico, basterebbe avere un po’ di memoria. Ricorderemmo molte e variegate cose regalateci da quel ventennio, oltre alle sue vicende familiari, divorzi e cene eleganti incluse, ai suoi telegiornali usati come distrazione di massa e ricerca del consenso, al di là delle sue scivolate etiche, delle figuracce internazionali e delle bugie elevate a sistema, della spregiudicatezza quale unica arma contro avversari e delfini.  Qui, a mio esclusivo uso personale, vado a farmi un breve elenco delle cose certificate sulla qualità dell’uomo e dello statista. Se Silvio Berlusconi sarà nuovamente protagonista, comunque sia, di una nuova disgraziata e devastante stagione politica, non vorrei rimproverarmi fra qualche anno di aver vissuto anch’io nell’oblio mediatico, nella bolla televisiva, nell’italianità destrorsa e populista, da sempre guerrafondaia, vagamente razzista e ignorante. Per non sentire rivolgere da amici, stranieri o straniti, oppure convertiti dell’ultim’ora una semplice domanda: perché?

Quest’uomo, ostentatamente ricco, venuto da un nulla controverso e chiacchierato, era iscritto alla P2 quando quella loggia segreta, guidata da Licio Gelli, voleva sovvertire l’ordine dello Stato. È riuscito a far condannare in modo definitivo il suo avvocato Cesare Previti per aver corrotto un giudice al fine di appropriarsi della Mondadori. Però Previti secondo i giudici, e secondo buon senso, non era il corruttore ma il mediatore, perché l’unico a trarne profitto sarebbe stato Silvio Berlusconi. È stato condannato, per associazione mafiosa, con prove inconfutabili sulle continue collusioni con potenti boss di Cosa Nostra, Marcello Dell’Utri, che non era un manager qualsiasi ma il fondatore di Pubblitalia (raccolta pubblicitaria per tutto il gruppo) e di Forza Italia, il partito emerso in pochi mesi per rimpiazzare la vecchia classe politica, distrutta dall’inchiesta “Mani Pulite” e per “sdoganare” i vecchi fascisti del MSI e i nuovi populisti della Lega Nord. Altre decine di suoi collaboratori sono stati condannati (financo il fratello Paolo) per tangenti, mazzette alla Guardia di Finanza, per evasione fiscale e corruzioni varie, senza mai che nessuno di questi lo abbia coinvolto, pur agendo per suo conto. Arrivando al governo del Paese ha potuto disporre di mezzi immensi per salvare le proprie aziende da un imminente disastro finanziario e sé stesso da una probabile lunga detenzione. Infatti oltre ad una benevola quotazione in borsa delle sue aziende, il Presidente del Consiglio o il Capo dell’Opposizione, andava tutti i giorni in TV (quasi tutte sue, direttamente o indirettamente) a dire che era una vittima dei giudici e ogni tre mesi faceva approvare una legge ad personam che era semplicemente legata al suo problema giudiziario del momento. Così, nel consenso generale dei suoi tanti amici, nel sussiego di quasi tutta la stampa e con una opposizione parlamentare annacquata, sono passate leggi come la depenalizzazione del falso in bilancio, oppure la riduzione dei tempi di prescrizione e altre leggine ad hoc meno appariscenti ma comunque utilissime alla causa. Sui tempi di prescrizione ha giocato con rinvii, malattie e impegni istituzionali, al fine di risultare incensurato anche quando c’erano prove inconfutabili o quando c’erano rei confessi condannati in altri procedimenti, vedi i casi dell’avvocato inglese Mills per i fondi illecitamente costituiti all’estero e del senatore De Gregorio comprato con qualche milione di euro per far cadere il governo Prodi. Il sig. Berlusconi è stato poi condannato in modo definitivo solo per un’evasione accertata sui diritti dei film trasmessi dalle sue televisioni, i cui introiti venivano gestiti da una rete ben organizzata di società estere sconosciute al fisco italiano. Da allora è ufficialmente impresentabile, ma lui è stato sempre presente, ovunque condiziona, determina, sceglie, finge di fare compromessi o di crescere successori, di essere un barzellettiere o un buon padre di famiglia. Affabula i presenti, promette cose complesse, la lira insieme all’euro, meno tasse per tutti e le pensioni al massimo per tutti, sapendo benissimo che l’ascoltatore non si pone il problema se sia vero o falso ma solo che è bello sentirselo dire. Infatti lui stesso si può smentire con una facilità disarmante, magari dopo appena una settimana, senza che nessuno lo possa rimproverare.

Nel 2005, quasi certo della sconfitta elettorale cominciò a pensare ad una legge che al Senato non potesse produrre nessun vincitore e così nacque la legge che lo stesso relatore, il leghista Calderoli, definì una porcata (la madre di tutte le distorsioni successive). In questi mesi, oltre all’ennesima indagine per corruzione in atti giudiziari (Ruby e varie), dopo le rivelazioni di alcuni detenuti, Berlusconi è stato indagato, insieme al solito Dell’Utri, quale mandante degli attentati del 1993 a Firenze, Milano e Roma (anche contro Maurizio Costanzo), perché bisognava creare il clima giusto per la nascita del nuovo partito berlusconiano. Questa notizia è venuta fuori qualche giorno prima delle elezioni siciliane: non solo nessuno ha sentito il bisogno di approfondire tale notizia (mai nessuna domanda precisa e circonstanziata dai tanti giornalisti d’assalto, tranne l’eccezione di Roberto Saviano), anzi, quasi tutti i politici e gli intellettuali di questo Paese si sono subito detti certi dell’estraneità del buon Silvio. Infatti è stato giustamente riconosciuto come il vero vincitore delle regionali in Sicilia.

Ed ecco perché bisogna ricordare e scrivere: la sua fortuna è il nostro dramma, la sua vittoria la nostra sconfitta. L’Italia, nelle sue pulsioni migliori, ne esce sempre irrimediabilmente sconfitta. Lui in fondo è un simbolo e come tale non può permettersi il lusso di abdicare, e forse neanche di morire, perché lui, con il suo sorriso di plastica, copre un mondo sommerso di escrementi che se dovesse saltar fuori, potrebbe davvero far succedere una mezza rivoluzione. E non sia mai, perché al di là di alcune pagliacciate, questo è un Paese che nessuno vuole davvero cambiare. Perché per farlo ci vorrebbe onestà intellettuale, studio delle carte processuali, memoria storica e un po’ di coraggio. Tutte cose troppo lunghe per un twitt.

39° Parallelo - Dicembre 2017

Alfredo De Giuseppe

 

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