2012-10 "Fra ruberie e disinteresse c'è una soluzione?" - 39° Parallelo

Se si doveva aspettare il settembre del 2012 per avere la prova certa delle ruberie della politica, quel mese è arrivato. Ora non si può più scherzare, è giunta l’ora di nuove riflessioni, nuove idee, nuove facce, nuove democrazie!! Noi cittadini, pagatori di tasse, accise, gabelle, imposte, interessi, ticket, tariffe, bolli, noi che siamo il popolo bue che tutto ingurgita, a noi che ci basta una medaglia olimpica per sentirci forti, adesso non ce la facciamo più. Noi che non siamo ancora arrivati all’incazzatura totale, solo perché ancora troviamo al mercato i pomodori e le mele a buon prezzo. E poi spesso ci rifacciamo la bocca con lo spread che migliora e quel giorno pare che tutto vada per il meglio, anche la nostra pasta quotidiana.

Ogni giorno notizie liete dal mondo politico. Dopo averci fatto prendere la sbornia federalista, oggi immettono nel circuito mediatico il dubbio dell’inutilità delle Regioni. Da queste pagine avevo scritto, ben 20 mesi fa: Insomma siamo ancora alla burocrazia onnivora e paralizzante, mentre la propaganda del governo è concentrata su una legge-truffa chiamata “Federalismo fiscale”. Un provvedimento che nulla aggiungerà ai Comuni, che aumenterà ancora i costi della burocrazia e quindi le tasse a cittadini e imprese. In Italia, chissà per quale ancestrale disgrazia, non approcciamo un problema per trovare delle soluzioni logiche, ma approfittiamo dell’esistenza di un problema per lanciare battaglie televisive con nessuna vera soluzione pratica, se non grandi e roboanti parole d’ordine. In quel periodo buio, queste parole non le trovavi su nessun giornale, perché poi in fondo opinionisti e cronisti seguono la corrente, creano il dibattito qundo è già tutto fatto.

Nel momento in cui la Giunta Polverini deflagra nel Lazio, trascinando ulteriormente verso il basso tutta la dignità della Res Pubblica, fa specie vedere come si azzannano i politici delle varie province in previsione del riordino e della loro riduzione prevista dal governo Monti. Nessuno le vuole veramente eliminare, ma tutti devono dire di voler rinnovare mentre stanno cercando il modo di rimanere a galla, come prima, più di prima, pur modificando la facciata della nave. Tutti in difesa del loro particulare, tutti a difesa della loro posizione di casta, conquistata una volta e mai più persa.

Quel che fa riflettere e che fa disperare è che il PD, il partito erede della sinistra storica, il nuovo partito liquido e democratico, il nuovo labour,  il nuovo che avanza, non riesca ad attrarre gli scontenti e la parte più sana dell’Italia che lavora e produce. A ben guardare c’è un motivo: la sua classe dirigente è da anni parte integrante della logica spartitoria e depauperatrice, tanto famelica da essere complice di tutte le nefandezze degli ultimi decenni, dalla legge elettorale (prima subita e poi accettata), fino alla legittimazione della deriva berlusconiana, fino a non farci mai capire davvero cosa pensi il maggior partito italiano, cosa fa, dove vuole andare, quale argine vuole mettere al precipizio attuale.

Ci sarebbe quella cosa definita impropriamente antipolitica (perché forse è politica quella di tutti gli altri?) che è il movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Ha idee innovative e alcune proposte rivoluzionarie, raccoglie la rabbia dei giovani fregati da intere generazioni di spreconi, ma ha un suo difetto di fabbrica che è difficile riparare: il marchio è di una sola persona, se uno sbaglia va a casa con un semplice e sbrigativo post, il leader non è un politico ma un guru, anche se spiritoso. Si può costruire la nuova democrazia su queste basi?

Qui e ora ci sarebbe una soluzione, ma è molto complicata e contorta, come la formazione di una vera democrazia. Incazzarsi per bene, farsi venire voglia di cambiare davvero, poi trovarsi e trovarsi ancora, mandarsi a quel paese e fare cose, senza sosta, cercare propri interlocutori nel paese e nel mondo, organizzare nuove attività e nuove professionalità. Insieme e ancora insieme, cercando di darsi una mano l’un l’altro, se ne abbiamo ancora la capacità.

39° Parallelo - Ottobre 2012

Alfredo De Giuseppe

 

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