2012-01 "Una vetrina speciale" - Il Gallo

Fra le cento vetrine della Tricase commerciale dei nostri giorni, ce n’è una speciale, tanto speciale da essere ormai unica. Si trova di fronte a un nuovo negozio di borse e valigie alla moda, nel bivio più commerciale, più in vista della città. E’ in corso Roma numero 15 la vetrina più sensazionale che tu possa immaginare. All’interno, ad ogni ora del giorno c’è un gruppetto di arzilli vecchietti che parla comodamente seduto intorno a un tavolo, senza alcun obiettivo pratico, ma con il solo intento di stare insieme. Un salotto al centro esatto di Tricase, dove al semaforo si fermano centinaia di auto al giorno. Auto frettolose, i cui occupanti guardano dentro la vetrina con noncuranza, il breve temporizzatore del verde e via. Però quella congrega di amici si nutre di quel traffico, si parla di tasse e del costo della benzina, dell’ultimo funerale, dell’ultima delibera comunale e dell’ultimo (sempre prevedibile) divorzio. Tutto aggiornato in tempo reale, come il fluire del traffico, una notizia passa e va, si può ricominciare con un’altra, senza enfasi e senza rabbia. La vetrina è double-face, tu guardi i quattro uomini seduti al tavolo, loro vedono te. Una posizione ottimale per un negozio o un bar è invece il ritrovo antico dei tricasini antichi.

Il loro modo di stare in quella dimensione non è casuale, ma viene da lontano, dalla tradizione della bottega rinascimentale. L’officina pratica e intellettuale dove si formavano gli artisti, dove può crescere quasi senza disturbare un Botticelli, un Leonardo o un Donatello. Qui il titolare, il capo bottega è Rocco Longo, maestro sarto fin dalla più tenera età. Ha quasi novant’anni, commenta e discute di tutto con l’entusiasmo di un ragazzo. Quelle poche volte che mi fermo a salutare l’allegra brigata, Mesciu Rocco vuole sapere di tutto, come va il commercio, che ne penso dei candidati sindaco, che ne sarà dell’Italia, quanto sono cari gli affitti, quanto rubano i parlamentari, come si calcola l’ultima imposta sulla casa. Non perde un colpo il maestro, afferma come tutti che non andrà più a votare ma poi lo farà, per il semplice fatto che l’ha sempre fatto. La macchina da cucire, benché non più protagonista, è sempre pronta: c’è sempre il pantalone di un amico o di un familiare da accorciare o da rabberciare, è un modo per non perdere manualità.

La macchina da cucire fa lavorare una quantità incredibile di muscoli e acuisce l’udito, perché mentre cuci devi ascoltare cosa dice l’amico e magari rispondere senza alzare gli occhi. Nella bottega di un sarto si parla e ci si sfotte, non si gioca a carte, non si beve, non c’è la tv, non offendi nessuno se non ci vai. Un ritrovo intellettuale, direi, se la parola non offendesse qualcuno. La mattina arriva Tonio Sabato e con il suo sorriso english informa sugli ultimi avvenimenti il maestro, Gino Esposito, Vito Panico, Rocco Musio, Salvatore Scarascia e altri attempati ospiti. Poi si passa al setaccio qualsiasi ricordo di persona o avvenimento del passato, dove ognuno aggiunge un tassello al quadro complessivo, dove ognuno ha la sua ben precisa visione dei fatti. Politica, cronaca e corna, come in un qualsiasi telegiornale. Qualche sera fa si parlava del piano regolatore di Tricase: uno ricordava tutti i particolari, i nomi e i cognomi di chi si era opposto nel 1960 e poi chi aveva brigato contro negli anni ‘70 e ‘80, l’altro diceva che i tricasini son tutti cucuzzari e l’altro sperava nelle prossime generazioni, a patto che si tengano informati. Gente perbene nella vetrina di corso Roma numero 15. Pensionati senza rimpianti e pretese, hanno trovato il loro ritrovo magico, dove trascorrere la vecchiaia senza impigrire davanti alla tv. Gente dagli orari regolari, ognuno secondo la sua organizzazione familiare.

Verso le otto di sera arriva il secondo gruppo formato da Donato Valli con l’inseparabile Italo Santoro e il “giovane” Andrea Musio. Il perno, il maestro titolare rimane lì, diventa motore di scambio fra le diverse anime della compagnia, fra gli amici della mattina e del pomeriggio che lasciano spazio a quelli della sera. L’informazione, anche il giudizio sprezzante, passa di bocca in bocca, divenendo quasi verità consolidata nel breve volgere di una giornata.  E con quel tocco cinico che diverte gli astanti. Trent’anni fa avrei scritto probabilmente altre cose: uno dei tanti luoghi del culto democristiano, il classico sancta-santorum dove clientela si sposa con omertà, dove si pratica il pettegolezzo misto all’ipocrisia del cattolicesimo pre-conciliare. Invece oggi è luogo reliquiale, un sopravvissuto, un posto dove si può vedere cos’era la vita prima del fast-food, prima del diluvio consumistico, dove lo sguardo può posarsi ormai con serena leggerezza. I tempi cambiano e noi cambiamo con lui, è forse un segno genetico dell’intelligenza umana. Guai a pretendere di fermare il mondo e farsi intrappolare nella nostalgia, ma non dispiace se abiti ancora un paese dove ti puoi fermare a guardare con un sorriso una vetrina davvero speciale.

Il Gallo - Gennaio 2012

Alfredo De Giuseppe

 

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