2011-02 "Semplificare nel Paese delle false riforme" - 39° Parallelo

In questi mesi di incredibile distacco dalla realtà economica e sociale dell’Italia, dovendoci occupare quotidianamente dei guai, dei soldi, delle paranoie e dei giochi erotici del nostro caro Premier, è passato sotto silenzio anche un interessante studio della Confesercenti.  Un’analisi che ci regala dei dati impressionanti: ogni singola impresa, anche la più piccola, ha ben 694 scadenze fiscali all’anno, dicasi 2,75 adempimenti ogni santo giorno lavorativo. Il mese più intenso è luglio con ben 74 scadenze, mentre quello più leggero è maggio con solo 49. Tali numeri hanno preoccupato la Commissione Europea che ha avviato un programma di riduzione degli oneri amministrativi pari almeno al 25%. Si calcola infatti che ogni azienda spenda una cifra non inferiore ai 2.000 euro l’anno per adempiere alla burocrazia fiscale. Cifra che si va chiaramente a sommarsi all’importo delle tasse vere e proprie e a quella del consulente e dei legali: è il calcolo delle ore di lavoro investite per correre dietro agli adempimenti comunali, statali, regionali, provinciali e di numerosissimi enti preposti solo a prelievi. Senza parlare delle code endemiche di Banche e Poste.

Insomma siamo ancora alla burocrazia onnivora e paralizzante, mentre la propaganda del governo è concentrata su una legge-truffa chiamata “Federalismo fiscale”. Un provvedimento che nulla aggiungerà ai Comuni, che aumenterà ancora i costi della burocrazia e quindi le tasse a cittadini e imprese. In Italia, chissà per quale ancestrale disgrazia, non approcciamo un problema per trovare delle soluzioni logiche, ma approfittiamo dell’esistenza di un problema per lanciare battaglie televisive con nessuna vera soluzione pratica, se non grandi e roboanti parole d’ordine. Siamo così costretti a sentir parlare di riforma della giustizia senza che si parli del suo pratico funzionamento, a sentir i leghisti predicare la semplificazione legislativa  riducendosi ai falò dimostrativi di tomi e codicilli ormai inutilizzati. Nessuno che parli del disastro ferroviario italiano e delle soluzioni necessarie, eppure quasi tutti i paesi europei in questi ultimi anni hanno dato dimostrazione di grande efficienza nel trasporto pubblico. Nessuno che parli del disastro dei nostri porti, sia quelli mercantili che turistici, abbandonati perché costosi e inefficienti. La raccolta dei rifiuti è affidata, incredibilmente da decenni, specie al sud, a gestioni straordinarie, senza mai un piano realistico  e comprensivo per la loro riduzione e il miglior smaltimento. Potremmo continuare con un lungo elenco, che va dai musei fino alla velocità della rete internet, per passare soprattutto dalla scuola, in ogni sua sfaccettatura.

In mezzo a tutto questo, inarrestabili le tasse tartassano piccole e medie imprese, prima con aliquote insostenibili, poi con adempimenti al limite della follia e infine con un rapporto di sudditanza del cittadino che lascia davvero basiti. Qualcuno dovrebbe chiedersi se il dato di evasione fiscale, il più alto del mondo occidentale, non sia direttamente collegato alla farraginosità del nostro sistema e contemporaneamente all’enorme quantità di adempimenti a cui è sottoposta una qualsiasi azienda. Proposte non se se ne sentono, si parla semplicemente di aumenti o diminuzione delle aliquote, mai della sostanza del problema, il cui cuore rimane l’inefficienza dello Stato in tutti i suoi meandri.  Sarebbe necessaria una riforma epocale che  riformasse il fisco, che poi in definitiva è il nostro rapporto con lo Stato.

Ad esempio un artigiano o un piccolo commerciante potrebbero ogni anno autocertificare in anticipo il loro ipotetico reddito, mettiamo centomila euro l’anno e su quel reddito pagare tutte le imposte possibili immaginabili  raccolta in un’unica tassa, magari divisa in dodici rate mensili. Si passerebbe così dalle attuali 649 scadenze ad appena una ventina, con dentro le tasse comunali, per la pubblicità, per la spazzatura  quant’altro. Utopia, perché questa procedura farebbe subito capire a chi vuole iniziare un’attività quanto grande è la percentuale che si arroga in realtà lo Stato Italiano per poi offrire dei servizi medio-bassi: l’importo della tassazione, delle imposte, dei balzelli vari supera di gran lunga il settanta per cento del fatturato.  E poi ci vorrebbe una legge severissima rispetto alla autodichiarazione iniziale: per chi denunciasse il falso, pene gravissime e fine dell’attività. Invece noi teniamo intasati i tribunali di ricorsi contro lo Stato e degli Uffici delle Entrate contro i contribuenti, in un valzer davvero stucchevole.

Se davvero si volesse dare impulso alla competitività delle nostre aziende, si dovrebbe cominciare a discutere di queste cose senza doversi prendere a schiaffi sulle sottane di regime, senza doversi inventare ogni giorno una nuova bugia, dalla quale scaturisce una nuova tassa che va a soddisfare caste fameliche di un regime galoppante.  Invece di far finta di voler cambiare la nostra devastata Italia attraverso il federalismo mascherato di Tremonti e Bossi, si potrebbe iniziare a ragionare su come semplificare in modo razionale la vita delle nostre aziende. Sempre che l’Italia si svegli dal sogno/incubo televisivo e torni a studiare.

39° Parallelo - Febbraio 2011

Alfredo De Giuseppe

 

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