2010-12 "Un Natale ateo, ma buono" - 39° Parallelo

Da non credente, razionale e tollerante, sono convinto di una semplice verità empirica: la religione cattolica, così come tutte le religioni, è una  costruzione umana, modificabile e modificata nei secoli. Lo so che questa asserzione spesso genera sconcerto nei credenti più ortodossi, ma la storia umana è fatta di scritture, errori, omissioni, costruzioni e ricerche, e la religione che è parte della storia, non è esente. Invece, la dottrina religiosa, per essere tale deve affermare delle verità  rivelate e assolute da un ipotetico ente esterno all’uomo e quindi infallibile. Nella realtà queste verità sono tutte fallibili e spesso si deve ricorrere a nuove verità e nuove rivelazioni per evitare che le precedenti diventino enormi e scoperte stupidaggini.

Di un’altra cosa sono certo: pochissimi cattolici conoscono la storia della loro stessa religione. Quanti di loro hanno ad esempio approfondito ciò che avvenne nel Concilio di Nicea del 325? Quello fu un episodio fondamentale nello sviluppo della religione di Stato legata alla vita di Gesù Cristo, per come è stata tramandata dal primo medio evo ad oggi. Un concilio convocato dall’imperatore Costantino per dirimere le dispute teologiche fra chi voleva un Cristo più umano con tutte le sue pulsioni, romantiche, sessuali e storiche, e chi voleva solo un figlio di Dio formato della stessa sostanza del Padre e nato da donna vergine e immacolata. Inviterei molti lettori a ricercare con obiettività quante verità sono state costruite ed elaborate come veri e propri editti statali fin da quel primo concilio, non a caso voluto e condotto da un imperatore romano. Una storia umana con tutte le sue classificazioni: sovrapposizioni etniche, compromessi culturali, necessità moralizzatrici della società.

Anche il Natale non sfugge a questa regola. Fino al IV secolo nessuno aveva indicato il giorno del 25 dicembre come data di nascita di Gesù, tanto meno i Vangeli. Fu una pura disputa teologica, iniziata in Egitto e  conclusasi dopo circa 200 anni a indicare la data attuale del Natale. Questa data si sovrapponeva facilmente a delle vecchie celebrazioni, che iniziavano ad essere bandite dalla vita sociale in quanto contrarie alla dottrina di Stato: i popoli del Nord Europa festeggiavano il solstizio d’inverno e i romani le feste dei saturnali. Il termine Natalis era già usato nel calendario romano per indicare la nascita dell’Urbe; inoltre, per mantenere legati anche i popoli d’oriente, era stata introdotta dall’imperatore Eliogabalo nel 220 d.c. la festa della nascita del Sole (Mitra), da tenersi il 19 dicembre e poi spostata al 25 dicembre. Ancora date: l’idea della Immacolata Concezione fu oggetto di vere e proprie guerre teologiche e filosofiche per diversi secoli e infine divenne dogma solo con bolla papale del 1854, il presepe fu costruito e immaginato la prima volta 1.300 anni dopo la nascita di Cristo e furono i nobili napoletani del XVIII secolo a darne l’attuale struttura narrativa. Poi all’inizio del 1900 è arrivato dai paesi nordici l’albero insieme a Babbo Natale, che a sua volta si rifaceva al San Nicola turco e al Santa Klaus olandese.

Insomma, come tutte le storie umane, anche il Natale è una storia di sovrapposizioni, leggende, necessità di semplificazione. Ma è anche la necessità di darsi delle date per festeggiare, per abbandonarsi alla quiete, alla frenesia o all’euforia, che da sempre hanno caratterizzato la socialità dell’uomo. Darsi delle pause, magari in coincidenza con fattori naturali legati all’agricoltura, era un bisogno per tutti i popoli.

In questa prospettiva festeggiare il Natale da non credente non mi disturba affatto, non mi crea alcun imbarazzo: vivo in questo momento storico con queste regole e queste tradizioni. E’ il periodo deputato a rincontrare i familiari, è l’occasione per una stretta di mano disinteressata, per la ricerca di un momento di serenità. Il Natale è la festa in mezzo all’inverno: immaginate che tristezza da ottobre a marzo senza il Natale: solo buio e freddo con al massimo un po’ di televisione, senza il fuocherello collettivo, i dolci, il panettone e le pittule. Il Natale è un’aria di festa che trascende la vera nascita di un profeta/filosofo di circa 2000 anni fa: è la necessità di sentirsi vivi nel bel mezzo della bufera. Oggi il Natale è la miscellanea di tutte queste cose, la festa dell’Occidente ricco e consumista, la sovrapposizione perenne, umana e in evoluzione di qualcosa di ancestrale. No, non mi sento un escluso da questa festa, partecipo, gioisco e me ne lamento, a secondo dei momenti. Se fossi nato nel 58 a.c. sarei ubriaco 7 giorni di seguito, avrei fatto festa con gli schiavi che in quel periodo si potevano comportare da uomini liberi, avrei scambiato gli auguri con tutti gli amici e non avrei creduto alla leggenda che vedeva Saturno vagare per le campagne invernali abbandonate e che poteva tornare nell’aldilà solo al prezzo di grandi sacrifici culinari. Siccome sono nato nel 1958 d.c. non mi ubriaco, festeggio moderatamente, non credo ai miracoli e alle resurrezioni, compro e ricevo regali, posso pure fare un pensierino a come essere più buono. Perché nella ricerca di migliorarsi, al di là delle fedi religiose (oserei dire, nonostante) ogni occasione è buona.

39° Parallelo - Dicembre 2010

Alfredo De Giuseppe

 

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