2010-04 "Lottare per non aver paura" - 39° Parallelo

Per rimanere all’attualità di queste settimane potremmo affrontare l’imbarazzo della Chiesa cattolica rispetto alla pedofilia e al celibato, oppure valutare il valore simbolico e pratico della riforma sanitaria voluta negli USA da Obama,  o meglio ancora l’accordo USA-Russia sulla riduzione delle armi atomiche, valutare con attenzione il nuovo strapotere finanziario/economico di Cina e India. Invece parliamo ancora di elezioni regionali italiane, condite in salsa leghista. Si perché il fenomeno della Lega Nord, prima sottovalutato come momento di espressione di una minoranza razzista, poi magnificato come modello di radicamento del territorio, è diventato l’argomento del giorno, la realtà con la quale confrontarsi. La Lega nasce in regioni ricche, si rafforza nel momento di massimo fulgore economico - gli anni 80 e 90 – e trionfa appena la crisi  riduce leggermente il tenore di vita.

Perché occorre parlarne? Perché questo dato tocca anche noi, nell’estremo lembo della penisola salentina? Per un semplice fatto, poco rilevato dai media: la Lega non è un movimento ideologico, non è un partito antico vestito di regionalismo, è invece uno stato dello spirito, una posizione verso il mondo, un vivere pauroso mascherato da facce feroci. Un mondo di lavoratori autonomi e dipendenti, che hanno visto da pochi decenni un’agiatezza sconosciuta ai loro avi e pensano di vivere nel migliore dei mondi possibili. I loro rappresentanti comunali e provinciali, spesso in buona fede, pensano di poter arginare la globalizzazione con le feste di “polent e usei”, di mantenere la loro ricchezza espellendo prima tutti gli extra-comunitari e poi, se possibile, tutti i terrun. Questo mondo di paure ha abbandonato il pensiero illuministico europeo, accogliendo in sé i tratti del linguaggio barbaro e volgare, ha lasciato ad altri l’arte della mediazione politica per prendersi complessivamente il merito della chiarezza. E’ storicamente provato che questo modo di fare politica, semplicistico e diretto, piace alle masse e diventa quasi sempre il linguaggio del potere dispotico e violento, disposto al sacrificio totale pur di mantenere fede a dei principi che non hanno senso, che non portano al progresso ma alla frantumazione e alla disgregazione di una cultura e di una comunità.

Ecco perché il problema riguarda tutti noi e dobbiamo essere consapevoli che è un problema. Invece la stampa e le televisioni lo presentano o come esempio da seguire o come semplice folklore, facendo in ogni caso il loro gioco. Mai nessun telegiornale dirà che nell’annuale raduno di Pontida, Bossi dice, fra il delirio collettivo dei presenti,  delle frasi come queste: “l’Italia tratta i popoli della Padania come colonie interne da sfruttare economicamente e da assoggettare etnicamente, magari spingendovi le masse di immigrati extracomunitari che dovrebbero secondo le analisi degli illuminati di Santa Romana Chiesa raggiungere i 13 milioni di individui in pochi decenni. Evidentemente per Roma e per gli Italiani il più grave problema della Padania è che ci sono troppi Padani. La razza pura ed eletta dei romanofili pensa di poter dirigere dall’alto le terre incognite padane ridotte a colonie penali celtiche-congolesi  nel nome sacro ed eterno di Roma”.

Come possiamo opporci a tutto questo, perché è giusto fare una battaglia su questo tema? Niki Vendola sulla propria pelle di amministratore ha visto cosa significa il leghismo, mascherato da federalismo: un ministro delle finanze attento solo ai bisogni del Nord, progettualità bloccata al sud, trasferimento in ritardo delle risorse economiche, un decentramento di facciata che in realtà nasconde il peggiore e il più populista dei centralismi. A tutto questo aggiungi un ministro agli affari regionali, scelto nel Sud, precisamente a Maglie, che è la “protesi” del pensiero berlusconiano e quindi leghista e il solito giochetto di questi anni è fatto. Dobbiamo opporci, dicevo, e non dobbiamo avere paura di andare contro il pensiero dominante, aggregarci in forme politiche che capiscano la complessità del mondo attuale, la studino, la vivano come opportunità e non come chiusura. Se dovesse passare la visione egoistico-regionalistica dell’economia leghista (che poi è il ritorno simbolico all’autosufficienza mussoliniana) l’Italia perderebbe ogni possibilità di sviluppo armonico.

Per fare una vera battaglia culturale e politica su tutto questo, dobbiamo andare oltre il PD, che di diventato solo stanza di compensazione delle antiche correnti democristiane e comuniste, senza un’idea portante e senza una visione del mondo. Dobbiamo andare oltre le formazioni dei cespugli che rischiano di creare solo divisioni preconcette. Oggi dobbiamo tornare a parlarci di cose da fare, ma anche e soprattutto di idee e filosofia di vita, di come immaginiamo che possa essere il mondo nei prossimi decenni, non litigare solo sulla contingenza di oggi e sui tanti mini-leader provinciali. Diamoci degli obiettivi alti e lottiamo per questi, poi infine diamo un nome a una formazione politica. Fare l’inverso si è rivelato un suicidio e soprattutto un regalo a gente come quella che è salita sul Carroccio, un carro carico di ignoranza violenta.

39° Parallelo - Aprile 2010

Alfredo De Giuseppe

 

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